Piccolo mondo antico
davanzale della finestra. Ancora sette ore e comincerebbe per lui un'altra vita. Fuori delle pochissime persone che dovevano prender parte
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scura come se qualche cosa in lui le fosse straniero e ripugnante. Spesso Franco la sgridava con ira e Maria piangeva, lo fissava attraverso le lagrime
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ambedue le mani e il professor Gilardoni gliele afferrò. Stettero così alquanto tempo, immobili, lottando, a labbra serrate, con l'emozione, lui più
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d'ossa, come se i colleghi nemmanco esistessero e il mondo non guardasse che a lui; a levante la camera dell'alcova dove accanto agli sposi dormiva nel
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lustravano le scarpe da sé. Il più destro di mano era Franco e a lui toccava di attaccare i bottoni agli amici quando non volevano umiliarsi ricorrendo al
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l'avvocato, insistette con lui e con Pedraglio perché partissero subito. Era successa una cosa straordinaria, doveva parlarne a sua moglie, non poteva
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sincera. Conveniva dunque andare da lui sul tardi, fra le quattro e le cinque. Pasotti si figurava già di tenerselo fra le unghie, di maneggiarlo a sua
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che qualche nuvola cominciò a passare fra lui e lei; prima eran cirri, adesso eran cumuli e stava per giungere uno strato definitivo. Egli era più
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riluttante anche lui come un pecorone. Venne il curato di Cima, devoto alla marchesa, venne il prefetto della Caravina, tutto, in cuor suo, per
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proprio a fondo così come può. E incominciamo pure da lui." "Lui è un superbo, un furioso, un prepotentone. Avrà attaccato lite cinquanta volte, qui, per
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osava quasi dirgli perché il conte di Cavour si interessasse a lui. Gliene aveva parlato egli stesso, Dina, e il conte s'era mostrato dispiacente che
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veduta mai; ma queste fantasie poetiche a lui non venivano e poi si trattava di un viaggio così breve! No, gli passò invece nella mente l'immagine di Maria
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lode. Avrebbe voluto almeno sapere che quando il Gilardoni gli aveva mostrato quelle carte vi era stata in lui una lotta, che il sentimento più giusto
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spalle né volle più saperne di lui nel poco tempo che visse ancora dopo la morte del suo agente. Il giovane entrò nell'insegnamento, fu professore di
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professore, la sua adorazione per Ester vorrebbero un poema. Lo zio Piero diceva di lui ch'era diventato ebete. Ester temeva che diventasse ridicolo e non
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, con una rapida mimica imperiosa, non so quali istruzioni, e uscì anche lui. La povera donna venne fuori per l'ultima, tutta rinfagottata nel suo
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Franco. "Apra, signor Maironi." Era la voce del Ricevitore. Franco aperse. Entrò un signore vestito di nero, in occhiali; dopo di lui, il bestione
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all'amico avvocato V. pregandolo di venire appena gli fosse possibile. Voleva saper da lui come avrebbe potuto usare delle carte possedute dal Gilardoni
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semplice neppur sognasse di aver il menomo merito verso sua sorella e sua nipote. Che avrebbero mai fatto senza di lui, povere donne, con quelle magre
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tre, andiamo a svegliar Maria". Quando fu con lui nella camera dell'alcova, invece di aprir le imposte, gli domandò cosa fosse accaduto. Franco le
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