Personaggi e vicende dell'arte moderna
muraglia cingeva la villa del Vesinet, Utrillo era sorvegliato dalla mattina alla sera: misantropo, taciturno, diffidente, quel vecchio in pigiama somigliava
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Era capace di sparire nel punto più remoto della gran villa e di rimanervi fino a quando la moglie non l’avesse scovato, tremebondo e colpevole
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Non che l’artista si ponesse al lavoro contro voglia, come inghiottendo una medicina: la docilità dei suoi atti, compiuti per obbedienza, non era
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bruttezza, e attraverso questo odio amò con pari intensità il «mondo dei belli», dai quali era escluso; il vizio del bere fu per il sublime nano una
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guerra mondiale era passata — per lui invano — sopra i suoi giardini fioriti.
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e, sotto sotto, critica personalità di Vuillard, non era semplice.
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nei suoi numerosi viaggi e trasmigrazioni per il mondo, l’Europa in tasca: e c’è perfino un pizzico d’Italia nel nome suo, Pougny, ché il nonno era
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La Mostra allestita nell’Aia napoleonica non era certo completa, come quella grafica, nel 1950, di Toulouse Lautrec. Le opere ad olio, elencate dagli
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«nazionale». Per la generazione dei francesi di avanguardia successiva a quella dei divisionisti, la responsabilità era davvero enorme.
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, senza dubbio tra le più belle della scelta. E lo scultore ci rispose che era sua intenzione continuare sulla via delle donne «con lo spazio nel mezzo», ma
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, contenente la figura, ma come spazio interno, contenuto dalla figura. Lo inserimento del mondo esterno nel mondo interno dell’uomo era già nato col cubismo
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, fuori di Francia, era piuttosto conservatrice, quanto a linguaggio, e neppure in Francia, rivoluzionaria; all’epoca del «ritorno all’ordine» e subito
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Lando Landini aveva colto nel segno quando nel suo bel saggio su «Paragone» scrisse che lo sviluppo dell’arte di de Staël era una «avanzata a tentoni
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cantarla, da ringhiata che prima era. Ecco che le creature del suo indistruttibile misogenismo, per una prova del nove di adulto, vengono
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dei surrealisti rispetto alla desolazione umana dei personaggi di Ben Shahn era posto con rigore, come pure la differenza fra i turgori magniloquenti
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Però era destino che mi incontrassi con Giacometti in quella estate. Ero andato a Ca’ Pesaro dove era esposta una magnifica antologia dei grandi
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— di esprimere criticamente il mio pensiero. Giacometti disse che nel mio discorso c’era «del buono», sopratutto quando io volevo riferirmi alla sua
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De Pisis era un signore distinto, quadrato, dal viso energico; pareva un sud-americano, quando stava seduto al sole, colla testa in su a guardare in
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perditempo, goloso, querulo, pettegolo perfino, tingeva di luce, svariava in atmosferiche architetture di pennellate. Era la sua una chiacchera da poeti
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Parigi e di Venezia, capace — diceva De Pisis — perfino di mentire. E quando Cocò fu ucciso, sembra, da uno dei giovinastri dei quali il pittore era amico
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Dove non era stato De Pisis! E come riusciva nel suo insaziato viaggiare a rimaner sempre dentro il suo mondo, a tingere monumenti, fiumi, piazze
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voglia», dicevano. Melli invece sapeva bene una cosa: era profondamente insoddisfatto delle mode sublimi dei suoi contemporanei: aveva troppo rispetto per
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moda, contro la miseria e le persecuzioni, era un fatto già consegnato alla storia. Parlava di sé con amor proprio, ma senza orgoglio, e mostrava le sue
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Spazzapan non era un artista bohémien, almeno nei modi e nei gusti; e benché abbia vissuto quotidianamente nella misura più diretta la sua avventura
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la grande ammirazione per Scipione ebbe anche radice in una somiglianza, diremo quasi in una omertà fra lui e i suoi ammiratori: quanto c’era in
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Gino era un giovane robusto dalla fronte alta, sulla quale cresceva una chioma tra bionda e fulva, splendente, gli occhi sporgenti a fior di tempie
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Sportivo una volta, non si era rassegnato a «fare il tisico» dalla mattina alla sera; e passava sovente al Bar Ferraris, dove il grande giocatore
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C’era poi la faccia social-letteraria nel prisma di Scipione: c’era l’amicizia per il suo collega d’arte, Mario Mafai e per l’Antonietta sua moglie
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dell’ultimo trionfatore in una Mostra. Non stupirà quindi il fatto che intorno al 1930 «el Luis», ovvero «Spazza», come era chiamato dai pochi amici
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Un provinciale, va bene; ma è un fatto che l’impressionismo di Maccari era ieri, e più oggi, una cosa sua personale, era un modo, io credo, di
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ininterrotto allo scopo di non essere inghiottito dal presente. Per Spazzapan disegnare era ricordare e insieme vivere; e alla fissità dei motivi (i
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A vederlo disegnare c’era da stupire per la meravigliosa mobilità e la fantasia degli espedienti che gli suggeriva quel suo modo frenetico e
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stato e poi non se ne parla più...». E non era questa una forma di scontentezza in se stesso, un timore di apparire artista manchevole e sperimentale
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Ma le sollecitazioni del suo viaggio in Calabria furono ben più prepotenti. In Calabria non era possibile guardare soltanto contemplando; qui il
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. Ovviamente, in una antologia come quella che ha potuto mettere insieme Castelfranco, non era facile, e forse neppure possibile, tentare una linea di sviluppo
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pittura per la scultura da parte di Raphael sua moglie una pittura che era «tonale» — dicevano i tonalisti — ma che poco o nulla aveva a che fare
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» di gesso, sabbia e cemento; ma, come scriveva Valsecchi, l’artista era davvero arrivato a mettere a nudo, per ricominciare un nuovo discorso, lo
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appassionate, soprattutto con un vasto quadro «Difesa contrastata», che misurava cinque metri di altezza e un paio di base. Era quello un momento assai
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avventura nella pittura «senza contorni», tentato da un gusto astratto, «formalistico», che era alle porte; gli rimproveravamo di non avere avuto
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A Lionello Venturi, che si era recato per conto della Biennale a chiedere allo scultore le opere per una Mostra, Costantin Brancusi, malgrado la
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considerata scultura: i doganieri decretarono che, all’aspetto, l’oggetto era un pezzo di metallo e che per questo doveva pagare; anzi all’opera numero uno del
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aver speso delle somme. Ché Brancusi, pur sobrio al punto di nutrirsi di polenta e cipolle come cibo principale, era ricco, dopo tutto: le sue sculture
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Ma quella dell’impasse Ronsin era per Brancusi la casa più vera del mondo, era, a dirla tutta, l’unico vero mondo di Bancusi perché nei due ambienti
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Qualche cosa di simile era già avvenuto in Italia per opera dei futuristi a cominciare dal 1909; ma al fondo del nostro movimento, nonostante le sue
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Ma il mondo era impazzito da un pezzo per i dada, era, la gigantesca faccenda della guerra, il prodotto di una antica consunzione, della continua
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Ecco, la «legge del caso» non era poi così affidata al puro arbitrio come si potrebbe arguire da questi esempi; era, evidentemente, un «caso» tutto
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Quando l’artista cominciò a scandalizzare i professori d’accademia con i suoi «colpi di scopa impazzita», regnava incontrastato David, il quale era
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dava a «copiare attentamente le distrazioni di Raffaello» era un pedante, privo di amore per il suo prossimo e corto di fantasia. Il modello per
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ellenica, per il suo profilar di figure «scomposte» dentro barche immaginarie e mari neri, come era accaduto col suo primo lavoro esposto al Salon nel
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«Io sono un ribelle, ma non sono un rivoluzionario» era uso affermare il Maestro: e nei limiti, appunto, della ribellione al quieto vivere dei
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