Narco degli Alidosi
se ti porta ferita?» «Se la ferita non fosse come il morso del cinghiale, o la cornata del cervo, ma come di spina, io preferirei, Blabante: e
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mi condannò a non potermi avvicinare a chi amo senza svanire! Perciò, amato amante, o lontani, o niente!» Narco e Blabante si risero uno sguardo. «Ma
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dall'alto del castello e del cavallo quando andava e tornava da cacce o battaglie, o dal seggio da dove salutava i sudditi che, due volte al mese, gli
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mai mi accorsi di questa voglia di cavalierato...» «Mio signore» annunciò Blabante «certi semi stanno per anni nella terra, e nessun occhio o piede che
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conto...» Narco tacque, confuso. Poi sorrise: «Non ti taglio la testa, né ti batto o frusto, mio furbo amico, e generoso. E ricorderò questo calcolo
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signorile andatura, svegliavano la sana curiosità dei rustici e dei pellegrini, e quella insana dei grassatori o amici di grassatori, che in quella
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piante, le siepi, o almeno i fiori della strada? Per quanto io vedo, signore, essi chinano il capo, o nascondono i petali dietro tronchi o zolle, ma
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bocca a bocca si danno, e non sulla guancia, per affettuosi saluti, o in fronte, per casta benedizione. Ma poiché ti vedo come stordito e quasi offeso, ti
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braccio di ferro l'albero di Kronof. Ma bada: nessuno lo tocchi con corda o con lama, con fuoco o con fumo, con laccio o con bastone. Tu solo, e con la
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distingua il bene dal male: ma non tu sarai, o terrai il fiato che hai». «Sarà Blabante il nuovo signore!» disse Narco. «Molte prove di ingegno e
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