Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

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Manuale Seicento-Settecento

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Argan, Giulio 23 occorrenze

Manuale Seicento-Settecento

prodotto dell'immaginazione e il suo fine precipuo è di insegnare a esercitare l’immaginazione. E importante perché senza immaginazione non v’è

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lavorano perché questa è la pena della colpa originale; ma le opere non hanno valore al di là della vita terrena, non salvano. È il principio di

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capiti, proprio perché li hanno assunti come modelli modelli e li hanno esteriormente imitati ignorando o tradendo la loro storicità profonda, la

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verità oggettive della natura e della storia. Perché, allora, rievocare il mondo d’immagine della cultura classica? Perché l’antichità è, per

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morale. Annibale accetta il mondo classico come mondo poetico: il Caravaggio lo rifiuta proprio perché è un mondo poetico, che allontana da quella

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sono fuori della cultura, perché la cultura non è un principio d'autorità, è un'esperienza che rende più chiari, ma anche più aspri, i problemi

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modo di catarsi, perché nobilita i fatti nel tono, nel modo, nello stile del racconto. Identificando l’arte con la mimesis, questa non può che essere

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longitudinale maderniano non c'era raccordo; ed era difficile trovarlo perché i quattro enormi pilastri della cupola, intoccabili, formavano una

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rivelazione; contempla Dio nel mondo e si sente salvo. Il Borromini è come chi prega, invoca la grazia: sa perché prega, è pieno di fervore, ma non sa se la

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un ritmo alterno, più larghi e più stretti, elimina gli angoli perché il ritmo giri tutt'intorno, li trasforma in corpi convessi come se la

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piace Rubens perché, fiammingo, ama il classico e non lo sente come storia né come ideale, ma come vita e presente; gli piace Poussin perché, francese

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, racconto visivo, vivace, brillante: imita tutto, ma non può essere imitata, è arte egemone, perché più direttamente "visualizza" l’immaginazione (anche e

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religiosità del proprio tempo; lo fa perché la religione è rito, che ripete per l’eternità quell’istante; ed è la storia che blocca l’istante nell’eternità

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, composta eloquenza apologetica. È un Bossuet in tono minore: predica l’ossequio all’autorità assicurando che non lo fa per conformismo, giammai, ma perché

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grande, al posto di affreschi incassa tele nel soffitto fastosamente adorno, perché la , pittura non rinunci al brillante colore ad olio e alle spavalde

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insieme ragione e fede, logica e fantasia. Fantasia e non solo immaginazione, perché la logica di Dio non è logica della natura né quella dell’intelligenza

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, perché Dio, fenomenizzandosi, non può mostrarsi che come strana, mai veduta bellezza. Si spiega lo sfruttamento delle ombre, benché controllate dalla

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certe architetture di giardino. E fatta perché dalla piazza, nelle serate di gala, si vedano almeno le luci e lo sfavillare dei costumi. Dietro la

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certo perché disponga di nuove materie cromatiche, ma perché riesce a sostenerlo, a spingerlo con il gioco più serrato, più incalzante, più agile degli

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erudita dell’antico. E qui si sbaglia davvero, perché lo studio canoviano dell’antico non è affatto winckelmaniano e dal gusto neoclassico non è Stato

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scuro che è così com’è e produce l’emozione che produce perché include la figura e fa tutt'uno con essa. Inutile cercare di separare la cosa, la

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dell’antico, è la giustezza della distanza che impone allo spettatore, il suo darsi come figura e spazio insieme, come forma immutabile perché ha

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idealistico del Canova; e la classicità stessa lo affascina perché è morta e la Stessa violenza delle passioni che la fecero, come storia, drammatica (l

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