Manuale Seicento-Settecento
nulla di preciso: né la verità di fede né la bontà di una concezione politica si possono dimostrare od imporre con un dipinto o un edificio. L’arte è il
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Rettorica di Aristotele, e nel De oratore di Cicerone, che ne dipende. Vi sono vari modi di persuadere: presentando la prova, dimostrando con argomenti
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, mobile, colorito. Non è tale in sé, bensì nel soggetto che si accosta alla realtà, e ne compie l'esperienza, con la capacità di vedere al di là della
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Cinquencento. Si dedica alla tecnica dell’incisione, se ne vale per riprodurre criticamente le opere dei maestri, del Correggio e dei veneti, specialmente
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sentimento; né può sorprendere che l’attenzione si volgesse specialmente ai quello che si considerava il pittore del sentimento, il Correggio. L’Annunciazione
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pittura si rifà o rivive il fatto: se ne scoprono i motivi profondi, gli esiti trascendenti. Annibale estende l’esperienza dal reale al possibile; il
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sola realtà che è il presente. Come Annibale, il Caravaggio pensa che i manieristi non capiscano Michelangiolo e Raffaello: ma, per Annibale, non ne
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della vita interiore, della più profonda realtà umana. Non è né contro, né al di sopra, ma dentro il reale, ne costituisce il significato più autentico
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composizione «storica» né nei gesti eroici delle figure. Si fa reale nella realtà concreta dei fatti e delle persone. Vocazione di San Matteo: è la chiamata
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’immagine, ma ne garantisce il pieno, subitaneo, globale darsi alla percezione sensitiva. Si capisce anche come i suoi temi preferiti siano il ritratto e l
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tecniche, né di verifiche linguistiche; compito dell’arte è dare come sensazione viva, reale, i fenomeni immaginati; siano essi naturali e
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di Caravaggio, per lui la storia non fa problema, né è dramma, come è per Reni: di conseguenza la pittura non richiede catarsi, ma è essa stessa un
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grandi, decorazioni delle cupole correggesche, dipinge, a Roma, nel 1625-27, «senza difficoltà d’invenzione né dubbio di pennello» (Bellori), l’Assunta
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possa rifare: non ne esalta, ne distrugge il significato. Di fatto, quando sotto l’imitazione perfetta si cerca la natura, si trova il mito, l’evocazione
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quattro pilastri, con due ordini di nicchie. ln quelle in basso, più profonde, Bernini colloca quattro statue gigantesche; ne esegue l una lui stesso
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nell’ambiente urbano; né meraviglia che lo schema rotondo diventi ellittico come nel contemporaneo colonnato di San Pietro, dato che il Bernini tende
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strada) appare scomposta in tre elementi: la parte visibile del perimetro convesso della chiesa; le due basse ali che ne invertono la curvatura collegando
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delle Fratte. S’è parlato anche troppo dell’accento ambiguo, tra mistico ed erotico, di queste immagini: le più conturbanti tra quante ne ha lasciate
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FRANCESCO BORROMINI (1599-1667) è il grande avversario del Bernini; con la propria opera ne contesta, punto per punto, la poetica universalistica. E
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trova alle prese con un grande spazio, di cui non può mutare né le misure né il perimetro. Chiude le antiche mura come in una teca, sfrutta tutta la
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L’edificio non deve essere una rappresentazione dello spazio né la forma allegorica di concetti religiosi o politici: è un oggetto che l’artista
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piace Rubens perché, fiammingo, ama il classico e non lo sente come storia né come ideale, ma come vita e presente; gli piace Poussin perché, francese
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più concepito come superficie-limite, ma come organismo plastico. La facciata è addossata ad una delle absidi semicircolari dei bracci; ne riprende
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pascaliani della «géométrie» e della «finesse»; come Montaigne, avrebbe potuto confessare che in fondo dipingeva sempre per se stesso, né c’era altro da
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opposte: Rubens ne ammirava il fare veloce, la sensualità dell’immagine, il suo darsi immediatamente alla sensazione; per Poussin il dipingere è
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di erudizione archeologica (benché tutto sia rigorosamente documentato), né per polemica religiosa, opponendo il cristianesimo primitivo alla
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Delle scuole pittoriche del Seicento la napoletana è, dopo quella di Roma, la più importante. Ne dipende, in gran parte, anche peri vari artisti che
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comunicazione visiva, il pennello di Luca-fapresto addirittura anticipa l’immaginazione creativa, anzi ne può fare a meno, ricorrendo all’inesauribile
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sconvolgente esempio degli affreschi di Pietro da Cortona che, a Firenze, non riuscì né a far eseguire il suo disegno per l’ampliamento di palazzo Pitti né
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genovese, BERNARDO STROZZI (1581-1644); né mancano assai presto di farsi sentire, in una situazione comunque aggiornata, le novità caravaggesche, sia
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emiliano. Ne sono protagonisti G. B. CARLONE (1592 c.- 1677 c.), DOMENICO PIOLA (1627- 1703) e, maggiore tra tutti, GREGORIO DE FERRARI (1647-1726).
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, larghi interventi scultori: lo scultore che collabora col Longhena e ne integra l’opera è il fìammingo GIUSTO LE COURT (1627-1679) che, nell’ altare della
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coetaneo del Caravaggio e certamente ne vide le opere a Roma, dove dimorò alla fine del secolo: il luminismo del San Francesco in estasi è un
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VITTOZZI, architetto civile e militare orvietano, chiamato a Torino nel 1584} e va notata la coincidenza cronologica, né soltanto cronologica, con la
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di spazio o, più precisamente, di immagini di spazio. Né lo spazio, che per il Guarini è infinitamente più esteso di quanto la mente umana possa
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La razionalità del Fuga prelude certamente al razionalismo neoclassico; ma la materia a cui si applica ed a cui vuol mettere ordine è, né poteva
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sentimento. Si salvano i bozzetti, nei quali si ravvisa chi sa quale immediatezza pittorica; e se ne tira la conseguenza che il Canova sarebbe stato
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