Manuale Seicento-Settecento
: si rappresentano i cieli aperti alla visione del santo, ma si precisa con estrema acutezza la qualità del tessuto della sua veste, la luce che batte
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luce è più bassa, i riscontri tonali si riducono ad un chiaroscuro più marcato, di ogni figura è letteralmente descritta la nobiltà del gesto e del
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più profondamente nella realtà, ad intendere più duramente i suoi contrasti: l’ombra e la luce, il vecchio apostolo analfabeta e l’angelo giovanetto
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volgono sorpresi, tranne l’avaro che conta i soldi, come Giuda i trenta denari. Con Cristo e San Pietro entra una lama dura di luce: investe le figure
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un fatto che si protrae nel tempo, e che proprio la lentezza, la durata, rende più tragico. Non v’è più, dunque, un lampo di luce, non più uno scontro
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. Lo stesso lampo di luce rivela i tre momenti della vicenda: il santo strappato dall’altare e colpito dai carnefici; lo sgomento e la fuga degli
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vistose, per i più brillanti effetti di luce e di colore. L’arte barocca, nel complesso, è un’esaltazione troppo enfatica del valore della vita per
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soddisfa: è infatti (Jaffé) lo stesso Rubens ad offrirsi di sostituirlo con un altro, ben più impegnativo: invoca i «perversi lumi» e la «sciagurata luce
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«riporta la luce formante di Caravaggio a una sorgente di luce interna al quadro, sfruttando l’ombra non come matrice di luce, ma come una
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), già a Sezze, è opera di capitale importanza: come giustamente nota il Brandi, «l'antecedente della luce, calda e pastosa, è l’oro delle cupole di
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naturali agli effetti di luce e di variarla secondo la qualità dei colori locali: interpretando cioè in senso tonale il luminismo caravaggesco. Questa
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variamente al contatto della luce, incidente o radente, che forma nitidamente i volumi. Nel terzo decennio passò a Genova, poi in Francia e in Inghilterra; e
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quadro sacro a episodio di vita quotidiana, ma vissuto con un fervore interno che si esprime nella luce irradiata dall’impasto pittorico animato dal
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di luce ed ombra: sviluppa invece quei toni intermedi, che il Caravaggio annullava. Il chiaro e lo scuro si traducono in una vibrazione tenue di gamme
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(1611) cita esplicitamente le due successive versioni del San Matteo Contarelli, l’etimo della luce pastosa, calda, che si sovrappone al colore e
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luministico, come nel corpo del cavallo, sulla cui muscolatura scattante è tesa una superficie morbida, sensibilissima alla luce. V’è nel Mochi, infine
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essere umano e natura. Il modellato fluido e fremente fa sentire, insieme con i corpi, la luce e l’aria che li bagnano: la nostra immaginazione
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Le navate, con la loro corsa prospettico-luministica, raccordano lo spazio esterno, aperto, con la zona piena di luce alta e costante, quasi astratta
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, sfruttando la gradinata come prospettiva accelerata e i ripiani come zone di luce intensa, che rompono l’ombra della volta a botte.
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-piano di un quadro. Lo spazio è dunque reso mediante larghe, espanse zone di luce e di ombra: la massima luce concentrandosi nel vano dell’altare, che
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massima espansione spaziale, muove grandi masse di luce e di ombra, sfrutta le possibilità illusive della prospettiva. Il Borromini si esprime per
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luce sempre diversa. Al nicchione del secondo ordine, ricavato a sguscio con la falsa prospettiva del catino, fa contrasto nel primo il volume
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proseguimento della forma del vano, così all’esterno è avvolta da un tamburo lobato, che si sviluppa nell’aria e nella luce con un chiaroscuro tenue, ma
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cornicione — per concentrare la luce sulle complicate cornici ad edicola, concave e convesse, delle finestre incassate. Non è scenario, prospetto
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portico e della loggia. Nei due casi, si hanno vigorosi contrasti di luce ed ombra: l’interesse per l’arte veneta, che già notammo nell’opera
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sospeso, sulle cui pieghe diritte trascorra, con lievi variazioni, la luce.
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scanalate per scandire la luce fin nelle minime gradazioni. Ormai la definizione dello spazio è tutta affidata alla modellazione della parete e alla
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simbolico-naturalistico, una foglia di palma. Le colonne libere nel pronao e ai lati del corpo mediano regolano, quasi filtrano la luce che lambisce, con
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che «gira» col graduarsi del chiaroscuro s’innesta il pronao classico, col suo vuoto scuro e profondo, su cui spiccano in luce colonne e frontone. E la
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proprio i caravaggeschi francesi avevano portato al limite del virtuosismo) non suscita sbattimenti di luce e ombre profonde, ma una penombra
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accendono di luce, l’atmosfera vibra, le fronde si agitano, le acque si increspano. Ma è un’evocazione, un miraggio, come sono evocazioni le figure che
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liberato dal carcere, dando un’interpretazione del Caravaggio che sarà fondamentale per lo sviluppo della cultura napoletana. La luce non estrae dalle
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cose. Nel Gusto, la luce fredda, avvolgente, incide le pieghe del giubbotto troppo stretto, dà risalto alla faccia un po' stupida del personaggio
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’ ributtante è quasi ridimensionalmente appiattito dalla luce frontale. Non meraviglia che si dedichi, nella città di Della Porta, all’analisi fisiognomica; ma
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drammatico delle grandi composizioni, l'ampiezza dei suoi scenari percorsi da correnti e lampeggiamenti di luce è, chiaramente, la pittura veneta del
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mondo di cose indagate a fondo nella loro effettiva presenza visiva e sensoriale: anche la luce non ha altra funzione che svelare, traendone
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frequenti da sprigionare luce dall’impasto stesso, animatissimo, del colore a tocco. E, la sua pittura, il «miracolo tecnico» del Seicento napoletano: da
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grava sull’edificio, ma lo risolve nell'aria e nella luce. L’anello esterno, con cappelle radiali, dissimula l’attacco della cupola, che sembra portata
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patetica dell’episodio è soltanto un palpito più frequente della luce e dei colori. Il tocco leggero dà al colore trasparenze delicate e un’estrema
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opposizione di luce e d’ombra della pittura di GIULIO CARPIONI (1613-79), che si ricollega indirettamente al classicismo di Poussin: Ma è un
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dello spagnolo Zurbaran (Milano era spagnola). L’insistenza sul tema, la fissità della prospettiva e della luce, la vicinanza di altri oggetti (libri
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materiali umili, il mattone, che diventano preziosi nella luce.
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logge che mitigano la luce dei finestroni; e da esso partono quattro gallerie a croce di Sant’Andrea. È la più «rococò», la più francese delle opere del
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della cupola, tutto esposto alla luce, e la profondità squadrata, scura del pronao. Il Juvarra esagera di proposito il rapporto tra i due valori
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più una realtà da rappresentare, ma una materia duttile — luce, atmosfera — che l’artista plasma come vuole. Quel che conta, dunque, è la tecnica
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cava, con un nobile movimento di rampe: un’architettura aperta, che sciorinava lungo il pendio modulato dell’argine il gioco fitto della luce e
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studiati in rapporto e non per contraddizione alle opere. Se il modellato del bozzetto è impulsivo, spezzato, quasi violento nei contrasti di luce ed
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, espanso e s quasi sfogliato nella luce e nell’aria, del Morlaiter e degli scultori veneti del Settecento. Al contrario, il modellato dei bozzetti canoviani
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definito il proprio rapporto con la realtà naturale e nulla più può cambiarla. Da qualsiasi punto di vista, in qualsiasi condizione di luce il suo valore
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in proporzione, e non più solo in Contrasto, i due partiti di luce e d’ombra.
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