Le due vie
spettatore, perché codesto spettatore si storicizzerà subito in un determinato modo e in un determinato tempo, e a noi certo interesserà enormemente
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filologia di mettere a contributo le fonti dalle quali si può dedurre il genere di dialettica che di volta in volta si è stabilita, o perché non si è
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nelle constatazioni della «morte dell’arte», come infatti è accaduto, soprattutto in Italia, né solo perché è stata tradotta in italiano l’Estetica di
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Perché tuttavia l’opera sia riconosciuta come opera d’arte, e non come un’opera o mancata o incompiuta o prodotto fortuito, bisogna che all’analisi
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prodromo dell’opera aperta, perché il gioco funambolico di Mallarmé sarebbe stato quello per cui, l’intercambialità dei fogli, la possibilità
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tratta dello scetticismo superficiale «di doman non c’è certezza», perché il domani esiste, nella coscienza attuale, solo come estensione dell’oggi
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tutto diventa interno non già perché incentrato nell’occhio umano, ma perché tutto il comprensorio esterno (e presto, con i piani paesistici
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all’opera d’arte, perché la feticizzazione avviene non sul valore d’uso, che adattato alla struttura dell’opera d’arte si configura e si trasforma nel
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dei festoni dei Della Robbia o del Ghiberti, sono invece, e volutamente, espresse con rozzezza, con colori più aspri e violenti del vero, proprio perché
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attuale: né può prendersi in seria considerazione un’avanguardia del presente, perché concetto in sé contraddittorio, né far consistere l’avanguardia nel
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quella attuale che sembrerebbe pianamente attestarla. Mentre la morte hegeliana tornava di scena perché Marte non era più semantica, si veniva già a
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avanguardia scade a designare il semplice traguardo del presente. Sicché se l’astrattismo di ripresa post-bellica non era avanguardia, perché chiaramente
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che apparirà subito che l’opera d’arte non andrà estratta, isolata, messa fra parentesi, proprio perché essa stessa, come noi la riceviamo, risulta
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rovesciamento, perché mentre il fotografo si parte, e non potrebbe essere altrimenti, da un oggetto — e qui si poneva il parallelismo con la costituzione
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opera in potenza, ma in atto. Ed è per questo che non si è andati oltre l’informale, anche se le materie vanno scomparendo, perché addirittura alle
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dal suo singolarissimo porsi fra i fenomeni ma è la condizione stessa del suo apparire come tale. Perché si eccettua originariamente dai fenomeni, l
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reale della fotografia: la sua irrealtà sta nel qui, perché la fotografia non è mai vissuta come illusione, non è mai una presenza (contrariamente
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apparenti: il passaggio dal muto al sonoro e al parlato fu laborioso, appunto perché bisognava imparare a padroneggiare questa ricchezza eccessiva — davvero
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storia della pittura. Vale tuttavia soffermarsi su questo argomento, perché è una delle fonti di maggiore ricorrente equivoco nella storia della pittura
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, anche eliminando la fotografia dalla seconda ipotesi, non è tolta di colpo ogni possibilità di equivoco, perché noi possiamo legittimamente avanzare l
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alla tradizione formale borgognana da cui pure derivava, proprio perché la novità sostanziale avveniva alla base, alla costituzione d’oggetto e non
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Proprio perché la struttura dell’opera come essenza si realizza nel procedimento tecnico, e questo non è che il mezzo per manifestarsi come epifania
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collimazione reciproca, che, all’atto della recezione, avviene fra l’opera e la coscienza ricevente, perché, proprio in quel momento, la coscienza
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mentale provvisorio, perché è chiaro l’artificio per introdurre, come ipotesi di lavoro, un postulato senza di cui scomparirebbe l’oggetto stesso della
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vanno tenuti nettamente separati i due momenti, indipendenti eppure complementari, perché senza il primo non vi sarebbe il secondo, ma senza il secondo
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decifrato. Perché allora costitutivamente l’opera d’arte fosse un messaggio, occorrerebbe potere riscontrare nell’opera d’arte — in qualsiasi opera d
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secondario del messaggio, ma anzi il carattere costitutivo. Se la definizione precedente riguarda la struttura del messaggio — perché si abbia messaggio si
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Senonché avviene qui un capovolgimento, perché quel tasso di disordine che caratterizza l’entropia di un fenomeno diventa, nell’informazione, l
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teoria medesima ha suscitato, perché indizia l’impossibilità di risolvere i problemi di fondo della semantica sulla base positivistica su cui si regge
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nel tempo in cui nasce. Occorrerà che quegli elementi originali siano divenuti ridondanti alla coscienza ricevente perché l’opera d’arte venga
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Ci siamo dilungati nel riportare la critica del Boas al Dewey, perché, essendo una critica formulata in terreno finitimo a quello del Dewey, era
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inerzia nel suo discorso, proprio perché il punto di stazione di chi considera l’opera d’arte all’atto della recezione, e il punto di stazione di chi
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diversa posizione e connotarsi in modo più complesso, proprio perché diverso sarà il fascio di intenzionalità, — di assunzioni e di aspettanza — che, al
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, empirico o no, a cui la parola perviene, proprio perché la depurazione, ovvero categorializzazione che nel concetto si persegue, tende ad estrarre
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sono le indagini che si collocano, come solo culturali, nel secondo ramo della critica. Perché l’essenza dell’opera d’arte è di costituire una
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coesistere, proprio perché la loro coesistenza non altrove si produce che nella coscienza, e la coscienza, nell’opposizione di realtà e segno, rivela le
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questo punto risulta incontrovertibile, perché l’intenzionalità accomuna tutte le manifestazioni della coscienza, e proprio in seno all’intenzionalità
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facilitazione, dato che si parte dall’immagine pubblicitaria, proprio perché: «nella pubblicità, la significazione è sicuramente intenzionale: sono
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’architettura è il significante: ma l’architettura come opera d’arte conterrà tutto questo e lo trascenderà, non perché annulli la materia o il significato
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è tale. Sorge allora il quesito circa il criterio per distinguere quale sia la struttura veramente essenziale, perché un’opera d’arte si manifesti
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con una lingua è più apparente che reale, in quanto che manca il nucleo essenziale perché si abbia lingua, l’unione arbitraria del significato nel
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, perché, non trattandosi qui dell’opera d’arte nella sua essenza come realtà pura, ma in quanto tale dandola ormai per ammessa, e dovendosi ulteriormente
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identità. Osserva allora Heidegger che «la formulazione corrente di questo principio come A=A non è esatta, perché l’eguaglianza non è identità, e che, ad
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che non si possono misurare contemporaneamente alla quantità u». Le conseguenze di questo principio sono immense, perché se ne deduce che al
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Dove non ci sia quantità, ma qualità, il principio di causalità non si può applicare, perché, mancando la possibilità di verifica sperimentale, l
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conseguenza e chiarisce perché appaia così incerta, in taluni nessi che pure risultano irrefragabili, la determinazione dell’agente a cui spetta di impersonare
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deduce dalla conseguenza dell’atto stesso, in quanto che l’intenzionalità esiste anche se l’atto non ha sortito «effetto», perché l’interruttore era
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La mimesi come imitazione del mondo dell’esistenza non si sa perché possa indurre ad una catarsi che l’originale, il mondo dell’esistenza, non
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che non si adatta né al livello causale né al livello intenzionale. Non si risolve al livello causale, perché tesi e antitesi non sono causa ed
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. Ma è chiaro che la dialettica della storia, appunto perché desunta dalla storia, e cioè dal passato, si constata, ma non si predetermina: è una
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