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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254846
Saltini, Guglielmo Enrico 33 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

e col sentimento. Allora appariranno manifeste le cause certe dello scadere dell’arte dopo Michelangiolo, della totale sua rovina nel cominciare del

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ordine di date), uscirono dalla sua scuola; laonde anche per questo rispetto merita d’esser chiamato restauratore dell’arte. — Giuseppe Valentini da

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salute, e ciò gli permise operare indefesso per l'arte sua che molto amava. Pure l’invidia e la malignità non ristettero dal morderlo e lacerarlo, perchè

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Siena, oggi stanza del Collegio Tolomei, e devesi pure a lui l’ampliamento della chiesa di San Francesco, pregevole edifìzio della sua patria.

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Belle Arti sotto il conte Digny. Conseguito nel 1825 il premio di concorso, e dato saggio della sua abilità con alcuni lavori che il maestro gli fece

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palazzo di Viareggio rimasto incompiuto, sono monumenti che basterebbero soli alla fama di un artista. Ma l’opera sua degna dei più bei tempi dell’arte è

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come architetto; le belle qualità dell’animo che l’adomavano traspaiono all’esame della sua vita privata; e le virtù cittadine risplendono chiare nell

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quelle romane; il Bazar edificato a spese di suo padre nel 1834, e che ritiene il nome di famiglia; la sua casa in via dei Calzajoli nel 1843 e il

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il gran Michelangelo avrebbe veduto avverarsi la sua profezia, se oltre la tomba si conoscessero le umane miserie.

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(1837), che angelo di modestia in quella sua nudità, s’imparadisa obliando la salma corporea. Ma dove il concetto apparve più filosofico, e più compiuta

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può nè deve scordarsi mai d’essere per sua natura monumentale: a noi rimane accennare quali fossero le opere per le quali venne in cosi chiara

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, nel 1820 ottenne la pensione di Roma. Di là inviava le copie del Mosè di Michelangiolo e di un leone del Canova, poi una sua vaghissima Leda. E

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studioso dell’arte. La statua di Galileo Galilei (1839), che ammirasi nell’aula della Università di Pisa, in atto di mostrare agli scolari la sua scoperta

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studio della zootomia e della filologia fu sua cura principale. E di questi lavori è ricco il nostro Museo, ma anch’essi si vorrebbero indicati con

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comparata, che in gran parte sono opera sua, come tutti dovrebbero sapere, se almeno per la storia dell’arte, si ponesse a ciascun lavoro un

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le pitture della cappella del Sacramento nel Duomo della sua patria, e la sala elegantissima detta del Buon Umore, nella Accademia fiorentina di Belle

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, specialmente nella reai Cappella, e quelli della SS. Annunziata e di Sant’Ambrogio; ed a porgere più adeguata idea di quella sua strana fantasia, basti dire che

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, passava nel 1792 in Roma a completarvi la sua istruzione d’artista, collo studio assiduo del bello, e anche per quella nobile gara d’emulazione, che suole

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suo cinto maraviglioso; la stessa sposa di Giove che risveglia il sonno nella sua grotta, e quel terribile Aiace che scaglia una gran pietra sopra

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quella sua indole focosa, che talvolta sdegnava il vincolo delle regole), il Bezzuoli rimane sempre nella triade onoranda, che rinnovellò l’arte tra noi

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Firenze, la Samaritana al pozzo nella sua villa di Fiesole, il deposto di Croce nel Duomo di Pistoja, e quella vaghissima danza della prima giornata del

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altro nei freschi. E sebbene oggi le opere che fece non sieno in fama come ai tempi della sua giovinezza, non possono negarglisi pregi nella

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altri dipinti di minor conto, ma tutti ricchi di molti pregi; dopo colorì l’Anacoreta che sta leggendo, bellissima figura che fu l'ultima sua. Sebbene

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di Lazzaro. È anche opera sua un quadro della galleria Capponi, Michelangelo che fa il modellino del Mosè, figura di molto sentimento e assai bene

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bellissima circolare ove è effigiato Apollo nella sua quadriga ornata dal ballo delle Ore, sostenuta dalle nubi e tirata da quattro focosi corsieri (1854

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tempi in Firenze. Mercanteggiò anche di stampe, ma senza ritrarsi dall’esercizio della sua professione, di cui fu operosissimo cultore.

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, rame compiuto nel suo ottantesimo anno, attese all’arte indefesso, bastandogli sempre quella sua acutissima vista e la fermezza della mano. Discorrere

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vuolsi, ma più infelice. Dato saggio della sua abilità nell’intagliare in rame, con alcuni pensieri che fece per una raccolta pubblicata dal pittore Anton

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valentissimo. Sono sua prima opera oltre alcuni disegni, fatti in aiuto del padre, di pitture del Camposanto pisano, e di altre del buon tempo, le più

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perfezione. Chiamato poi a Firenze da Ferdinando III, quivi passò il resto della sua vita, e v’ebbe fiorita scuola nell’Accademia, casa, stipendio, ed agio a

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la ricca collezione che s’era fatta di libri d’arte; i quali, comperati dopo la sua morte dal regio erario, furono il cominciamento della presente

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, dette mano ai ferri per ritrarre sul rame la sua fatica. Ma a un tratto infermatosi, moriva lasciando poco più che contornato questo Cenacolo.

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poi nel 1779 il disegno della famosa sala della Niobe per la Galleria degli Uffizi, ed è infine sua lodata fatica la riduzione del soppresso ospedale

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