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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254942
Saltini, Guglielmo Enrico 50 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

Da molto tempo si lamenta mancare all’Italia una compiuta storia delle arti belle, che nello svolgimento dei fatti e nel modo estetico di

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Ma se al regio architetto Paoletti si deve grande riconoscenza per quello che fece, più assai conviene tributargliene per quello che seppe insegnare

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questi avea fatta al palagio dal lato della meridiana; e sebbene molte e non comuni difficoltà gli si parassero innanzi, seppe vincerle tutte, e la

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Paolo eretta in Livorno nel 1832. Eletto poi gonfaloniere nella nostra città, nel 1842 procurò che dal Comune si aprisse più ampliamente quel tratto di

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teatro che nel 1834 costruiva al Borgo San Sepolcro è tenuto assai bello, e la forma elegante data fino dal 4837 alla prigione delle Stinche, quando si

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che fece sul Serchio, e la ricostruzione in città del teatro del Giglio quale oggi si vede, sono opere pregevoli; singolarmente quest’ultima, che ha

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, peregrinando a Roma e in altre parti d’Italia. Di ritorno alla patria fu ingegnere di ponti e strade e anche si piacque della scenografia; ma ebbe merito

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del fosso coperto di Livorno, detto il Voltone, e la piazza che vi soprasta, ricorda le opere più belle che mai si facessero di quella specie. Condusse

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fece in patria. Ricordiamo il Conservatorio della Santissima Annunziata da lui nel 1824 ridotto quale oggi si vede, e dove è ammirabile la scala voltata

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statue dell’Arco di porta a San Gallo, opere del Foggini, del Ticciati, del Masoni e d’altri scultori, che si reputavano allora abilissimi, basta a

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maestri. E da ciò si potrebbe trarre argomento di vita; la quale vogliamo sperare apparirà manifesta a questo concorso aperto per la facciala di Santa

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imbarbarito del tempo, che tanto si compiaceva di codesti materiali trovati, in cui tutt’al più si loda l’abilità di un lavoratore. Mancato lo Spinazzi (17

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Imperiale. E tanto anche allora parve bella, che si volle conservata tra i cimelj nel regio palazzo. Oggi è all’Esposizione di Londra.

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acconciarsi presso un lavoratore di alabastri in Volterra. Applicò quindi al disegno nell’Accademia fiorentina, e ben presto si dette a lavorare di

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rinomanza. Il nome del Pampaioni si fece noto circa il 1827, per un piccolo monumento commessogli da certo signore pollacco a cui la morte aveva rapito una

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. 1781, m. 1854), seppe dell’arte tanto da non essere dimenticato, quando si allogarono le statue degli illustri toscani, e nel 1845 fece quella di

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Diremo ora dei viventi che onorano la scultura in Toscana. Ma qui ci si conceda più che altrove la parsimonia del discorso e dei giudizi

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E anche vogliamo dire alquanto della ceroplastica, arte già fino dal secolo XIV praticata in Firenze per le figure votive, che si mettevano nelle

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letterarie, peggio assai sarebbe di queste artistiche; ma si domandano raccolte di fatti e di date, cronache fedeli insomma, che riescano guida sicura

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di rilievo assai bene. Datosi con molto amore allo studio dell’anatomia, tanto necessario a chi voglia andare innanzi nell’arte, si dette a modellare

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laboratorio, in breve rimase solo il Calenzuoli, che innamoratosi dell’arte, studiò indefessamente il disegno e l’anatomia, e si fece valente. Chiamato

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studio della zootomia e della filologia fu sua cura principale. E di questi lavori è ricco il nostro Museo, ma anch’essi si vorrebbero indicati con

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legno ed avorio, che salite già in alto grado nel secolo XVI, rifioriscono oggi mirabilmente. Da qualche tempo si ammiravano in Toscana i lavori

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vero risiede, volle seguitare i più strani capricci, e si ridusse una matta convenzione, quasi diremmo una parodia. Pietro Leopoldo I, salito al trono

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conto. Più che altro si occupò di ritratti e, buoni o cattivi, ne fece a quanti forestieri capitarono in città; ed acquistò fama grandissima in gran

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Arti. Ma oltre la fama che gli venne dalle opere numerose, meritò onorato ricordo, per aver trovato una certa terra verde mare, da cui si cava quel

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una volta, ecco come si opera. Guai ai maestri dell’arte che disputano e scrivono, soleva dire il Canova, è segno che non osano e non sanno fare.

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qual tempo si rese finalmente alla patria. Ivi tra le altre si ricordano le sue storie d’Apollo dipinte a fresco nella sala della villa Mansi a

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, fregi, soffitte, facciate, insomma ciò che dicono in arte far quadrature. Dipinse pure a olio con gusto, più specialmente frutta e fiori, e si attentò

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Oloferne. E non si tosto venne scoperto questo macchinoso dipinto (1804), che il nome dell’artista fatto europeo, parve rivendicare all’Italia il

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Tutto quanto si racconta in questo libretto intorno ai principali architetti, scultori, pittori e incisori toscani, che sono stati da mezzo il secolo

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pregi del Bezzuoli; ai quali quando si fosse congiunto maggiore studio nel comporre, un po’di parsimonia nella tavolozza, e tal volta più cura nel

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pennello, fosse più di sovente veduta, si avrebbe maggior riverenza al Bezzuoli. E infine, per tacere di tanti e tanti altri, ricordiamo la immensa tela

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sala del palazzo Estherazy a Vienna, ove rappresentò Giove e gran parte dell’Olimpo; ma tornato in patria, si dette ben presto ai soggetti storici e

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costretto a indietreggiare. Da Venezia recò una copia dell’Assunta di Tiziano, che si conserva nel palazzo dei Pitti. Fece quindi il bozzetto di un quadro

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Passiamo ora agli artisti viventi, a quelli che operarono o tuttora si adoperano ad onore dell’arte italiana! Giuseppe COLLIGNON di Siena (n. 19

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a costoro poco abili, fa dubitare seriamente si avessero in poca stima gli architetti del paese.

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progressi. E se fino allora, con poche eccezioni, tutte le opere si riducevano ad ornati e fiorami di specie diversa, da indi innanzi si pose mano a

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orientale si volle tutta incrostata di pietre preziose.

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non furono gli ultimi a farlo avanzare, operando nel duro metallo ciò che a stento si fa sulle tele e nei marmi; di essi e delle cose loro principali

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E primo d’ogni altro per ordine di tempo si fa innanzi nella bella schiera dei nostri CARLO GREGORI di Firenze (n. 1719, m. 1759) che fu incisore a

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molta pratica che avea del miniare. Si dà pure a lui il vanto di avere introdotto nell'arte il metodo d’incidere a granito, da lui condotto alla maggior

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Contemporaneo al Bartolozzi si levò nell’arte un altro fiorentino, VINCENZIO VANGELISTI (n. 1744 circa, m. in Milano nel 1793), meno grande, se

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belle tavole dei preziosi monumenti d’Ercolano e Pompei, pel Museo Borbonico che si pubblicava a Napoli. Fece quindi la raccolta dei sarcofagi, urne e

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migliori sue opere d’intaglio si annoverano gli affreschi celebri del mentovato Camposanto, per lui ridotto all’antica bellezza, pubblicati da MolinieLandi

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, nitidezza e grandiosità nel taglio, e così bene vi si ammira serbato il carattere di quel celebre dipinto. Dopo la Giurisprudenza intagliò il miracolo del

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dopo la morte del padre, attese assai alle cose toscane, come mostra quel suo bel trovato per dare qualunque figura ai tartari, che si depongono dalle

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calcografo, e a lui diletto come fratello, l’intaglio del David del Guercino, tavola che si ammira nel palazzo dei Pitti; poi il Bambino del Maratta, il

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terzo. Tra le sue stampe si ricorda anche con lode Cefalo e Procri tratta da un quadro del Benvenuti. — NICCOLÒ PALMERINI genovese (n. 1779, m. 14

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di S. Matteo in Accademia di Belle Arti, eseguita nel 1781. Quanto poi il Paoletti si conoscesse di meccanica e d’ingegneria lo mostrarono e il

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