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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

254830
Saltini, Guglielmo Enrico 50 occorrenze
  • 1862
  • Le Monnier
  • Firenze
  • critica d'arte
  • UNIFI
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Le arti belle in Toscana da mezzo secolo XVIII ai dì nostri

da parte, e vennero messi in sodo nuovi argomenti dei quali l’estetica saprà quando che sia vantaggiarsi, e già incomincia a farlo. Ancora qualche

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veduta Roma, si dette ad operare e non senza lode. Sono ivi di suo disegno la Canonica di Santa Maria delle Carceri, la porta del collegio Cicognini e l

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delle Fabbriche. Di qui poi l’incarico d’inalzare per la regina d’Etruria la facciata della villa deirimperiale; ma fattone appena il portico

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Siena, oggi stanza del Collegio Tolomei, e devesi pure a lui l’ampliamento della chiesa di San Francesco, pregevole edifìzio della sua patria.

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Non pertanto mentre fiorivano in Toscana gli architetti fin qui ricordati, altri ancora studiavansi esercitare l’arte loro con amore e con gusto

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GIUSEPPE MANETTI fiorentino (n. 1761, m. 17 febbraio 1817) studiò in Roma l’architettura eoa molto profitto, e al suo ritorno in patria, appena di

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riedificata con suo disegno (1818-32), l’atrio maestoso che serve d'ingresso al Collegio Tolomei in Siena (1818), la chiesa e la canonica di Fogliano

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GIOVANNI LAZZARINI da Lucca (n. 1769, m. 1834) esercitò con lode l’architettura. Le molte chiese da lui edificate nel contado lucchese; vari ponti

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paludoso e che rendeva l’aria malsana, appresso Livorno; le moltiplici strade rotabili in piano e in monte costruite in diverse parti della Toscana; la

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dell’Elba lo ebbe carissimo, e benché assai giovane designava affidarli opere importanti nell’isola. Nè l’età provetta smentì la gioventù promettitrice

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Diremo adesso dei viventi seguendo, secondo il metodo nostro, l’ordine cronologico delle date di nascita. — STEFANO MINUCCI di Firenze (n. 1791) fece

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, nè a sufficenza esposte e dichiarate, da cavarne idee generali, che rispondano al diffìcile quesito se l’arte sia o no veramente in progresso tra

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Noi abbiamo veduto qual fosse in Toscana l’Architettura innanzi che il Paoletti ed i suoi valorosi allievi la riconducessero a più veri principii; ma

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Non pertanto Pietro Leopoldo I riformando l’Accademia di Belle Arti, nella speranza di ridestarle dal letargo in che erano miseramente cadute, volle

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Pompeo Giuseppe Signorini, sono degni di ammirazione; questo singolarmente, ove a ricordare le virtù del defunto, che fu non timido amico del vero, l

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’oggi per le case d’ogni privato cittadino e dei poveri stessi. Elogio che vale meglio d’ogni frase rettorica. L’anno istesso modellò per l’Inghilterra

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. 1795, m. 14 maggio 1853) ebbe da natura e dallo studio l’amore e la pratica dell’arte; ma per avversità di fortuna, non riuscì che tardi a levarsi

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; ma la furia popolare, che non sempre rispetta nelle tele e nei marmi l’opera sudata dell'arte, in quei torbidi civili la travolse e spezzò. — Emilio

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Però non crederemmo avere sodisfatto intiero l’obbligo nostro, se dopo aver parlato della Scultura, non ricordassimo quel bravo CLEMENTE PAPI, che ha

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modellatori di cere, furono il Susini, il Calenzuoli e il Calamai; e per essi l’arte raggiunse nuova perfezione in Europa. Accenneremo brevemente

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cui il saggio dovrebbe riposare tranquillo all’ombra onorata delle opere proprie; ma diserto d’ogni speranza, gli si velò per un istante l’intelletto, e

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FRANCESCO CALENZUOLI fiorentino anch’esso (n. 4769, m. 46 marzo 4847), fu allievo del Susini, che lo prese seco di quindici anni, quando avuto l

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), apprese l’arte nello studio del Calenzuoli; ma le cose sue all’occhio degl’intelligenti rimangono di gran lunga inferiori a guelle del maestro; ed ebbe

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evo spuntò l’aurora della nuova civiltà, l'arte bambina promise Raffaello; ma nel passato secolo fatta decrepita, parve invece volesse lasciarsi

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TRABALLESI (n. 1728, m. 14 novembre 1812) fu pure grazioso e immaginoso pittore. Lavorò assai bene in patria uno sfondo per l’oratorio di San Fiorenzo

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, che serviva alle funzioni dottorali, e quella destinata alla musica nel palazzo de’ Pitti, furono pitturate da lui; ma l’opera che valse a dargli

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, per la ricchezza e convenienza dell’inventare e pel modo di colorire. Anche esso però imparava l’arte a Roma, studiando sotto Niccola Lapiccola e

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appena, il Benvenuti venne chiamato a dirigere la nostra R. Accademia. E da quel tempo può dirsi che incominciasse per l’arte una nuova èra. Abbandonati i

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pregi di disegno; l’amplia tela per la galleria fiorentina de’ principi Corsini, esprimente Priamo trascinato a morte da Pirro, quadro di assai bella

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amarono di molto affetto; e quando fu commesso al primo il quadro della Giuditta per la cappella d'Arezzo, volle ad ogni modo che fosse allogato l’altro

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condusse tre dipinti che l’Accademia fiorentina conserva, Aiace figlio d’Oileo che vuol salvarsi dalla tempesta (1814), il pastore che toglie il fanciullo

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’opera nostra faticosa, consentiamo a darla in luce, solamente perchè ci stringe la inchiesta di far conoscere in qualche modo l’arte odierna toscana

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quella sua indole focosa, che talvolta sdegnava il vincolo delle regole), il Bezzuoli rimane sempre nella triade onoranda, che rinnovellò l’arte tra noi

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; quindi (1829), l’entrata di Carlo VIII in Firenze, accolto dalla Signoria, dal Clero e dai principali cittadini il 17 novembre 1494, troppo ben nota

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, nelle pareti e nelle lunette della quale dipinse l’Incoronazione della Vergine, la Chiesa Militante, e il voto fatto dai Fiorentini dopo la pestilenza

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.) non fu nell’arte da meno del padre e del fratello, e forse l’uno e r altro avrebbe superati se più lunga gli fosse durata la vita. Disegnò da prima

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del Benvenuti, si fece presto una maniera propria e secondo quella operò. Il primo suo quadro giovanile, l’Erminia che scuopre il bel sembiante ai

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; l’arco di trionfo fuori la porta a San Gallo, eretto nel 1739, quando Francesco II di Lorena veniva a Firenze per raccogliervi l’eredità medicea, e

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di figura cinquant’anni fa, era stimata opera da levarne il pensiero, l’averla ai nostri tempi tentata e con ottimo risultamento, dimostra chiaro i

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, vogliamo brevemente intrattenerci, per compiere meglio che per noi si possa l’ufficio nostro.

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, miseramente si uccise, dopo aver prima rovinati col bulino e con l’acqua forte i migliori rami che avesse fatti. Una delle stampe più stimate di questo

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meritò l’onore di ritrarre di presenza il Granduca Ferdinando III, Napoleone Bonaparte quando era generalissimo, e poi la vedova regina d’Etruria

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14 giugno 1761, m. in Firenze l'8 aprile 1833). Suo padre Filippo incisore fiorentino non senza pregi, erasi colà recato per intagliare alcuni

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nostra, o interpretandone male a proposito il significato e lo stile, parve l’architettura durante il secolo XVII e la prima metà del XVIII scadere

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; la chiesa de’ Ricci da lui nel 1769 ridotta alla presente grandezza, e in fi ne il convento e l’oratorio di san Firenze dei Padri Filippini

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calcografo, e a lui diletto come fratello, l’intaglio del David del Guercino, tavola che si ammira nel palazzo dei Pitti; poi il Bambino del Maratta, il

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circa il 1770, m. a Firenze nel 1816?) che intagliò con somma diligenza la Cena e l’Aurora incise dal suo maestro, ma in dimensione minore circa di un

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Ma l’allievo del Morghen che più sali in fama tra noi, e che oggi è capo di una bella e fiorente scuola d’incisori, è Antonio Perfetti di Firenze (n

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del Cardellino e l’altra la Bella Giardiniera, opere insigni di Raffaello, furono da lui incise maestrevolmente a genere finito, e la prima in ispecial

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Ma l’uomo d’ingegno vigoroso, che colle fatiche e l’industria seppe emergere dalla oscurità a cui pareva lo avesse condannato la fortuna, fu GASPERO

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