Le Fate d'Oro
Una notte di vento impetuoso un ra- gazzo scalzo camminava in fretta sulla via maestra che conduceva alla città. I gàttici inchinavano le tremule
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giorno, invano i fiori profu- mosi del tiglio attiravano a sè le raccogli- trici di miele; invece della solita attività, regnava lo sgomento e la
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C'era una volta un Conte, che aveva un bellissimo castello. Egli incuteva terrore a tutti. Ognuno gl'invidiava il suo valore in guerra, i nu- merosi
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detto. Il Nano dor- miva saporitamente. Il Manovale gli mise una mano sotto il guanciale, acchiappò i tre oggetti, e poi risalì su. La Fata lo aspettava
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porto in quel momento e la mamma aveva preparato una buona ce- netta. I bimbi, ancora spaventati, narra- rono della porta di cristallo. - Bambini
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ciecamente alla vecchina, come a me stesso. - I sudditi mormoravano e dicevano che il Re era ammattito. La vecchina ordinò che fossero ab- battuti
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padre, che temeva un giorno o l'altro gli rimanesse morto da un accesso di bile, si raccoman- dava a tutti di ubbidirlo e compiacerlo. Così i ministri
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scemavano. Allora incominciò a regalare i suoi ve- stiti, ma gli orecchi non scemavano. Dette tutto quel che le era superfluo, ma gli orecchi eran sempre
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in faccia a quelli che trovava a di- sputarsi, e ne inveleniva le contese; i frammenti di vetri li spargeva sotto i piedi dei poveri animali, affinchè
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per il Principino di cuori, erede del trono, e per i Principini, figli delle Regine sue amiche. Le torte, in numero di otto, furono cotte nel forno
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moscone dalle ali d'oro che se lo prese, e volò via. La vecchina, che aveva visto il mo- scone col panettino in bocca, piangeva da intenerire i sassi
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viaggiatori che erano costretti a fermarsi in quel punto per abbeverare i cammelli. - Oh! - esclamava - se potessi an- dare alla Mecca, avrebbero termine i
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- versò la piazza lassù per aria. In città tutti avevano abbandonato le case, i lavori; i vecchi, i malati, si face- vano trascinare in piazza per
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fosse al mondo. Non soltanto il padre e la madre anda- vano orgogliosi di lei, ma anche tutti i sud- diti, grandi e piccini, del loro vasto reame. Una
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giù in cantina a guar- dare i suoi tesori. Questi almeno non morivano, e l'oro e l'argento gli avrebbero luccicato sempre davanti agli occhi. Ma quella
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nascita che tutti i medici, tutti i maghi e tutte le fattucchiere del regno, non erano riusciti a guarire; era muta. Il padre, ricchissimo mercante, che
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grandissimi pos- sessi. Ma il Conte e la Contessa sua mo- glie spendevano tanto per i poveri e fa- cevano per Capo d'anno tanti utili regali a tutti i
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guardi se uno si accostava per coglierne una ciocca, i fiori diventavano spine lun- ghe lunghe, le foglie si convertivano in ortica, e gli steli
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cumu- lava le funzioni di cuoca e di ciurma. L'ammiraglio era seduto a poppa e fa- ceva dondolare nell'acqua i lunghi tram- poli, mentre la nave
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C'era una volta una povera bambina, che camminava nell'inverno sulla neve con i piedi nudi, e nell'estate sulla terra aridissima e infocata. Questa
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C'era una volta, nel tempo dei tempi, a Smirne, un mercante turco, che posse- deva ricchezze favolose. Ogni giorno i suoi bastimenti, che
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fretta, e che ci avrebbe pensato. Intanto i due fratelli maggiori cresce- vano ed erano divenuti due giovinotti. Il po- polo si affezionava ogni giorno
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comuni a tutti i mortali, colpirono ben presto il po- vero mercante. Una burrasca fece naufra- gare tutti i bastimenti che aveva in mare, carichi di
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