La tregua
: stavamo trasportando alla fossa comune il corpo di Sòmogyi, il primo dei morti fra i nostri compagni di camera. Rovesciammo la barella sulla neve
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sulla pelle nuda veniva a conflitto con tabù ancestrali. Ma trovò un grave intoppo quando venne il turno dell' ultimo del gruppo. Nessuno di noi sapeva
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spirava sulla faccia della terra: il mondo intorno a noi sembrava ritornato al Caos primigenio, e brulicava di esemplari umani scaleni, difettivi
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continuo. La sentinella era un mongolo gigantesco sulla cinquantina, armato di mitra e baionetta, dalle enormi mani nodose, dai grigi baffi spioventi alla
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snidare i renitenti, e li inseguivano poi in corsa pazza come in un gran gioco di rimpiattino, altri si erano messi sulla porta, ed esaminavano uno per
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questione, ma molti altri gli affidavano merce da vendere, senza contratto, sulla pura fiducia, in modo che il danaro non gli mancava. Una sera sparì
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Cesare lo avvicinava, con la famigliarità impertinente degli uccelli che razzolano sulla groppa rocciosa dei rinoceronti, e si divertiva a provocarne la
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erano, Sore e la sua silenziosa sorella. Erano, come noi, sulla strada del ritorno. Avevano lasciato Samarcanda in marzo, e si erano messe in via come una
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, gigantesco e canuto, scalzo: fissava il cielo con occhi spenti, e a intervalli chinava il capo e si segnava croci col pollice sulla fronte. Nella via
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abbandonati sulla pista da gente che per la stanchezza rinunciava a portarli oltre. Per un poco ci illudemmo che li avrebbe restituiti all' arrivo
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La gallina, e la notte passata all' addiaccio, ci fecero bene come medicine. Dopo un buon sonno, che ci ristorò quantunque avessimo dormito sulla
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faccia. Allora decisi di partire davanti a me, all' ingrosso verso nord (e cioè lasciandomi sulla sinistra un tratto di cielo leggermente più luminoso
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manifestò gioia né angoscia né sorpresa né indignazione: accettò, ringraziò, ma non se ne andò. Tornò a sedere sulla panchina nel corridoio, zitta e
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ovvia già nel titolo, "Il Naufragio degli Abulici": gli abulici eravamo noi, gli italiani smarriti sulla via del rimpatrio, e assuefatti a una esistenza
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avvicinava, il capostazione lo attendeva sulla banchina, tendendo in alto una corona fatta di frasche a cui era appeso un sacchetto; dalla locomotiva in
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La tregua
tozza e sgraziata, piatta come una scatola, che portava dipinta sulla fiancata una stella bianca e non rossa: una jeep, insomma. Un negro la guidava
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