LEGGENDE NAPOLETANE
sorridente mestizia che aleggia in quello che scrivete, io veggo ogni tanto una divagazione vivace. Voi non avete dimenticato il nostro mare, il nostro bel
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Là, dove il mare del Chiatamone è più tempestoso, spumando contro le nere rocce che sono le inattaccabili fondamenta del Castello dell'Ovo, dove lo
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finestra, Tecla? È un'ora che guardi nel buio, quasi vi scorgessi qualche cosa. - Guardo il mare, Bruno, rispondeva lei con la infinita mestizia di chi
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le bianchezze immacolate della neve che dànno la vertigine del candore; mancano le rocce aspre, brulle, dai profili duri ed energici; manca il mare
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gialle, rosse e bianche rifulgono; i colli sono splendidi di luce; il mare brilla tutto come un migliaio di specchi; sulla punta del cratere qualche
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Il bigio palazzo si erge nel mare. Non è diroccato, ma non fu mai finito; non cade, non cadrà, poiché la forte brezza marina solidifica ed imbruna le
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poeti non ti destano che un sorriso di pietà; essi sono morti e vive Napoli bella ed immortale, vive la gioventù gioconda, vive il glauco mare, vivono
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sulla sponda del mare dove s'incurva il colle di Posillipo, ma errava ogni giorno nelle campagne che menano a Baia ed a Cuma; egli errava per le colline
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Santa Lucia dove i bimbi sono bruni, magri e nervosi e rassomigliano ai pesciolini svelti del mare, egli si fermava a guardare i tonfi che essi fanno
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orizzonte, che ignora l'alba, che ignora il tramonto, che ignora il mare, che non sa nulla del cielo, nulla della poesia, nulla dell'arte; questa
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caldo e vivo che pare ancora il riflesso del sole, gli occhi di un bel verde smeraldo, glauco e cangiante come quello del mare, le labbra fini e rosse