L'ALTARE DEL PASSATO
Avanzo imperterrito. Secondo tavolo, settimo posto. Ma no! Ma sì! Eppure no! Dove è la mia vicina? Dove le belle spalle ambrate che mi servivano di
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pellegrinaggio: dalla piazza San Marco con i piccioni svolazzanti intorno agli sposi sorridenti, al PortofinoVetta, dove la snella figura di Nada si disegnava
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giovane, modellato in una creta rossigna dove la stecca d'uno scultore maestro abbia segnato poche rughe improvvise; gli occhi di pura turchese hanno un
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marcia e di vinaccia, dove il cielo appariva dall'alto come un nastro sottile e tortuoso, fra le mura decrepite dei palazzi nobiliari. Rivedo il palazzo
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dalle barbe prolisse che s'inseguono, folleggiano, si confondono. Dove la nave lacera l'onda, la brace sprizza, crepita, s'infiamma, e la scia è così
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boschi, dove la mia nostalgia poteva illudersi di vivere ai giorni di Carlo Emanuele II; visitai il Castello dei Laghi, sostai alla Bizzarria, il
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visitatori che salivano e scendevano, un albero carico di colibrì smaglianti che si mettevano a trillare agitando le ali, un Tempietto Greco dove al suono
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indagatori dove a tratti, come sul ritmo del pensiero, l'iride azzurra era divorata dalla pupilla color velluto; e quegli occhi, quel profilo perfetto, quel
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Colosseo, il Palazzo dei Dogi, tutte le moli ben più illustri e più celebrate, ricordano il fulgore, di qualche secolo; poi è l'ombra buia dove tutto
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, l'essenza dell'Ineffabile, dell'Uno, dell'Assoluto! Un laido mercato dove ogni grazia ha il suo ciurmadore come quei grandi magazzini europei dove speciali
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di me con il grido del terrore e della tenerezza: ero slegato, avvolto non so dove, trasportato non so dove, dalle sue braccia. Un'ora dopo, adagiato