Iris
Ma la mousmé dalla verandah di Kyoto arresta quel moto, quel linguaggio, quella agitazione, quell’incertezza nei desiderii, così essa rispecchia
Iris
umane, nella servile adulazione di quel saluto.
Iris
Oh, il disperato urlo di terrore di Osaka, ritto davanti alla finestra spalancata, gli occhi in quel profondo nero dell’abisso nel cui fondo, ironia
Iris
ceffo di quel pupazzo padre e la voce rauca di Kyoto che le fanno erompere in piccoli gridii di protesta, di rivolta, di sdegno!
Iris
desiderî di fanciulle, di mostri rimorsi d’uomini, – o bei colori, la capricciosa fanciulla vi spreme in gocce incoscienti, ma pure voi anche in quel
Iris
’orrore di quel silenzio!… E il vecchio si agita e cammina! Vuole entrare nella sua casa e se ne allontana! – Urta nella siepe di biancospine, vi si
Iris
. Quante volte non ha essa invidiato chi sapeva trarre codeste misteriose dolcezze da quel delicato istrumento di acero rosato ed ebano?! E un sàmisen
Iris
di belle donne, dai piedi nudi e le capigliature sciolte, sotto la luce di infinite lumiere, sempre uguale, in quel formicolìo di gente affannosa che
Iris
insozzare di fango al Casa Verde, la verandah, Kyoto, lo splendore delle vesti di Osaka, sorpresi questi due alla improvvisa apparizione di quel padre
Iris
E infatti – (e ciò riempie di estremo stupore quel pubblico di mousmé) – il pupo Jor riesce ad avvinghiare il pupo Dhia e, così abbracciato, portarlo