Iris
Bella e antica fantasia nipponica, sono essi forse gli Ōni del tuo mondo superstizioso che scendono radendo gli squallidi fianchi della squallida
Iris
(ritira con paziente cautela l’uncino e trae a sé divelto un inviluppo di ortiche. – Gli altri ridono)
Iris
(con enorme sforzo il fortunato cenciaiolo svincola l’uncino rovesciando fuori dal blocco di fango… lo scrigno… di un sasso. – E gli altri ridono).
Iris
O Morte, Signora Misteriosa, quanto sei grande nella tua pietà, Tu che tanti mari e cieli eterni poni fra gli umani e i loro dolori!
Iris
Iris è svenuta; essa giace ora rivolta nel tetro velo del Vampiro, e intorno la Morte e la Bellezza vigilano ad eludere gli sguardi dei passanti.
Iris
Là in un angolo un bouddah ride, i piccoli occhi sfuggenti, la enorme epa floscia giù a sfascio sul loto simbolico che gli fa da piedestallo.
Iris
(Ed ora sono i ricchi paraventi che attirano gli sguardi d’Iris: uno è dipinto da Hokusaï e raffigura Daīkoun che fa piovere denari d’oro su di una
Iris
Ed è in quella trionfante visione che gli occhi della mousmé si chiudono, onde sul suo pallido viso è ancora la calma della tenera giovinezza
Iris
(Gli altri errano, un dietro l’altro, indagando i guizzi delle lanternuzze entro ai cespi delle erbe grasse e ortiche e cardi selvaggi, insensibili
Iris
In verità rassembrano fantastiche creazioni, così la penombra caliginosa li trasfigura! No; non sono gli enti permalosi e ad ora bonaccioni delle tue
Iris
Oh, il disperato urlo di terrore di Osaka, ritto davanti alla finestra spalancata, gli occhi in quel profondo nero dell’abisso nel cui fondo, ironia
Iris
sorriso e l’altro, colla sua faccia strana e buffona, comunichi una allegrezza bonaria, quella che tanto sa ingannare i fanciulli e gli esseri miti.
Iris
contendono gli orpelli di Kyoto – un moto di vita sfugge dal piccolo corpo di Iris – e allora, atterriti da quella vita laddove essi supponevano solo la
Iris
(Il giovane s’avvicina alla intimorita mousmé che non osa sfuggirgli, tocca colle mani la testa di Iris; costei chiude timorosa gli occhi. Al tocco
Iris
a lei gli steli, steli che si snodano e si stendono intorno al corpo suo come braccia umane, e lo sollevano alto,… alto,… là,… lontano,… lontano,… su
Iris
sottili bambou nel risalto del villaggio; – il ruscello canta gaio ed azzurro il ritornello che gli viene dalla canzone serena ed azzurra del cielo; – e
Iris
si agita, ognuno tratto da una febbre, gli occhi accesi, violento il sangue nelle vene, le labbra umide, semiaperte e il respiro ad aneliti brevi, di
Iris
col suo Jor fra le mani gli fa ripetere le dolcissime parole che le sono rimaste nella mente e nel cuore, le dolcissime parole colle quali, nel dramma
Iris
alla sporgente verandah che circonda fuori la Casa Verde, impediscono alla luce di penetrarvi, e, dentro, i trasparenti sourimoni di Gakutei, gli
Iris
E il Cieco, giunto sotto alla verandah, si abbassa a terra e, raccolto del fango a piene mani, lo gitta alto verso dove gli viene la voce di sua