Il ritorno del figlio. La bambina rubata.
GRAZIA DELEDDA Il ritorno del figlio La bambina rubata NOVELLE
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del veicolo non si mosse neppure, tanto che il cavallo stesso, non facendo a tempo a scansarsi, si fermò di botto. Davide però non era un uomo
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Verso la una ero davanti alla drogheria deserta, accecato dal sole della strada, dal barbaglio del mare che pareva uno specchio mosso, e dai miei
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, anche Tobia, anche il padre di Fiora, anche la zia. A questa, però, non dicevo ancora nulla. E anche Tobia si guardava bene dal dir nulla del nostro
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lei: ma la vedevo più seria del solito, preoccupata, e avevo rimorso di darle dispiacere: mi faceva pena, ma non potevo confidarmi con lei. Avevo
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perdita del denaro non mio, con quell'umiliazione e quel danno, scontavo anch'io qualche cosa. E il lungo e comico peregrinare mio e della guardia prima
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veramente mi sembrava di non potermi più sollevare di terra. Me ne andavo sulla riva del mare, poichè in casa della zia soffocavo, e stavo giornate
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o ce l'avrebbero portata? E la zia che pensava? La zia non aveva più riparlato del nostro triste segreto, ma era sempre pensierosa, preoccupata. Un
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forme umane, mi guardava dall'alto, con gli occhi azzurri lagrimanti d'acqua. Era il suocero del mio creditore. Confesso che nel ritrovarmi salvo la mia
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La sua indifferenza a ogni altra cosa era tale che neppure la vista del bambino che Elisabetta le depose accanto sulla panca la scosse. Solo domandò
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della cucina usciva un odore di pesce arrostito, di frutta cotte: odore di benessere che si mischiava al profumo di poesia del giardino. I piccioni
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moglie del mio creditore; la ringrazio e le domando scusa se ho risposto quasi male alla sua offerta. Le confesso che no, non ho speranza di pagare il
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Così cominciai a frequentare la casa del mio creditore. Del resto non ero io solo a sedere intorno alla tavola di marmo che formava come un altare
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tali le portavo alla donna, e come tali essa pareva riceverle. Non si parlava più del debito, del modo di sistemare la mia vita; io mi lasciavo portare
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D'un tratto fui preso da una grande timidezza. Non osavo più tornare dalla moglie del mio creditore, e ne davo la colpa al mio orgoglio, alla paura
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tempo cattivo lo costringeva a stare a casa. Del resto io mi sentivo felice, sollevato di un gran peso all'idea che l'avvenire della mia creatura era
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sporcare il pavimento; apparve la figura arcigna del marito. La donna sedeva al suo posto, accanto al braciere, di nuovo con lo scialle chiuso sul collo
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di fronte a me è bella su quello sfondo, dolce e succosa come un frutto maturo: e basta che io la tocchi con la punta del piede per farla tremare
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che la moglie del mio creditore non faceva nulla per favorire la nostra passione. Era una donna timida, casta e buona. Mi voleva perchè ero giovane e
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, però. La speranza torbida del peccato mi annebbiava la mente: ed era davvero come una nebbia, che saliva dalla profondità del mio cuore e mi avvolgeva
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com'era, come del resto si aggiustava nei giorni di festa, sebbene non uscisse fuori di casa, coi capelli lisciati e le scarpette lucide. Fece cenno
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fatti miei? Perchè si opponeva alla vendita del terreno? E perchè non mi domandava neppure la ragione per la quale avevo preso i danari dall'usuraio e
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Dopo non so bene cosa accadde. So che passai due volte davanti alla porta del mio creditore. La rabbia, o qualche cosa di più cieco della rabbia mi
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fondo ero contento della sua malattia, che m'impediva di tornare in casa del nostro creditore: un odio sordo mi vinceva per quella gente, compresa la
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promessa: E io tenni la promessa. Mandai col vecchio la lettera del nano alla moglie del mio creditore e ricevetti subito la risposta: la balia andasse
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moglie del mio creditore lavorava seduta accanto al braciere, la sua fisionomia era la solita, e solo si alterò al vedermi, ma di un turbamento che mi
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rispose, ma quando rientrai un'altra volta nella camera mi diede una busta con dentro del denaro. E io andai dal dottore. Il dottore abitava piuttosto
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Andai via, naturalmente senza aspettare il ritorno del dottore e senza lasciare i denari. Questi bisognavano a me, adesso, per ogni occorrenza, e non
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Il diavolo mi aiutava e mi spingeva. Passando davanti alla casa di Tobia vidi che la persiana e la porta a vetri del salottino erano socchiuse. Era
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misterioso fagotto: e mi pareva sempre che la bambina piangesse: sentivo i suoi lamenti dentro di me, ed erano invece i gridi del mio cuore, i battiti del
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penetrava fin dentro la pineta. Io ricordavo la tragica sera in cui m'ero aggirato intorno alla casa di Fiora, col peso del mio amore che invano
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rumore dei miei passi, il fruscio delle foglie, e un suono lontano che dapprima mi sembrò fosse dentro di me: il mormorio del mare. Poi d'un tratto mi
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la zia morì: aveva pagato il mio debito e mi lasciava erede del terreno, della sua casa e di un fascio di titoli di rendita ch'erano depositati
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scoprire il mistero del bambino sperduto: il brigadiere, certamente, riuscirà a sapere tutto: per questo è brigadiere: perchè dunque deve pensarci lei
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camminò. Dio, Dio mio! Era come Gesù che camminava sulle acque del mare. Ti ricordi, Albina? E quando lo mettevi sul letto egli si divertiva ad afferrarsi i
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Albina dormì poco, quella notte. II calore del bambino si comunicava al suo corpo duro e legnoso ma sopratutto alla sua anima. Era un'anima dura
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bevuto il caffè e la luce del giorno irradiasse la camera, finì col riaddormentarsi: un sonno lieve attraverso il quale sentiva i rumori della casa
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gola: avrebbe voluto mettere del veleno nel caffè che gli offriva, eppure desiderava ch'egli proseguisse. Egli proseguiva; ma parlava di lei adesso
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del cavallo ad andare avanti, e, in fondo, ricorda ch'egli è un uomo celebrato in tutti quei dintorni per la sua scrupolosità di coscienza e per la
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Michele. Ed ecco Michele con una tazza di latte in mano: con l'altra mano cerca la testa del bambino sollevato sui guanciali e gli avvicina la tazza
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Disse subito a sè stessa che si sbagliava anche lei: si offese della sua illusione, del suo turbamento: le pareva di rubare qualche cosa al suo vero
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occhi: ma Elisabetta sbagliava dicendo ch'erano simili ai suoi: erano gli occhi del suo Elis bambino.
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tutta, così, di tanto in tanto, per ogni gesto ed ogni grido del bambino. Forse era la primavera, col suo alito materno, a scioglierle quel gran dolore
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goccie di sangue cadere dalle gambe scure e dai piedini scalzi del bambino; e ne provava un senso inesprimibile di raccapriccio; quel sangue
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loro. Anche il cieco era venuto piano piano a mettersi in una piega del muro, cercando di non farsi vedere per non irritare la padrona, ma odorando
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era sua, e si viveva, almeno io credevo, con l'affitto del piano superiore: noi si abitava al piano terreno: un alloggio melanconico, dove all'inverno
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spensierato, o per meglio dire incosciente e beato come un animaletto domestico ben tenuto. Tutti, del resto, eravamo così: allegri e anche un po' crudeli
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ripetevano qua e là; tutta la siepe, del resto, era malandata, vecchia di chi sa quanti anni: neppure dove confinava coi campi della casa colonica era
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Così passavano i giorni e le notti, tutti eguali, monotoni eppure dolci in fondo, irradiati dalla luce del mio segreto. Ancora mi pare di vedere la
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un vestito nuovo di tela ch'ella mi aveva fatto fare per l'estate: mi vidi grande e grosso più del solito, col viso grasso e colorito, le mani bianche
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