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. Altri esempi di questa applicazione pratica dello spazialismo furono certi soffitti traforati e luminosi e alcune lampade in tubo fluorescente.
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gruppo di «artisti spaziali» raggruppati attorno alla Galleria del Naviglio e venne stilato un Manifesto dello spazialismo italiano1.
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attorno e dopo gli anni sessanta. E per far solo qualche nome: gli OHO di Lubiana, il Grupo de los trece1 di Buenos Aires (facente parte dello
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realistico o dall’inclusione dello stesso nelle loro tele, differenziandosi quindi nettamente dalla poetica della pop art; hanno invece sviluppato a fondo
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rapporto tra la soggettività dello spettatore e l’oggettività dell’opera sono particolarmente pregnanti, e dove tutta l’efficacia della stessa è
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, Manuelli, dello svizzero Linck, del giapponese Shinoda, dell’inglese Caro. Sculture, ma non più gettate in bronzo, curate nella preziosità delle
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composite fissate a una rete di chiodi sulle pareti del suo studio - dove l’impegno di trovare una modulazione immaginaria dello spazio occulto che ci
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dello «sculpere» (del «carving») e quello del «modellare», sono andati pressocché smarriti. E non poteva non essere così, in un’epoca in cui la
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più di riposo ma di intima dinamicità) e precisamente un fattore di compartecipazione, di diretto intervento da parte dello spettatore. È il caso di
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raggiungere una condizione di «a tu per tu» con una delle consuete sagome lignee dello scultore. L’aver saputo integrare il gioco della figura centrale con
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maggiore e forse assoluta liberazione dalle componenti dimensionali dello spazio rettilineo e stereometrico.
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possibilità di vendita, ad un aumento dello stipendio da parte del mercante...?
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dimostrato chiaramente di dipendere in maniera precipua dallo sviluppo tecnologico e dal rapido entropizzarsi dello stesso. L’oggettualizzazione, la
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entropizzarsi dello stesso.
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proiettate si accompagna a suoni elettronicamente generati in seguito agli impulsi aleatori di cellule fotoelettriche, e la percorribilità da parte dello
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Se nel caso della Biennale veneta le proteste degli artisti e degli studenti si levavano giustamente contro l’arretratezza dello statuto della mostra
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consumistica; e inoltre della ricerca di nuove sollecitazioni, questa volta basate non sull’industrializzazione del medium ma sulla «povertà» dello
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polistirolo, che richiedeva la compartecipazione dello spettatore invitato a calpestare le minutissime sfere in un gioco allucinato ed ambiguo perché associava
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’ogni verbalizzazione dello stesso e solo sulla base d’una serie di «immagini»: dunque d’un eidetismo del tutto lungi dall’essere «inconscio». Diremo
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svizzero e in seguito italiano. Le opere dei concretisti svizzeri (Bill, Lohse, Graeser, e dello stesso Glarner, che in un secondo tempo ebbe a
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tener conto era quello dello schieramento dominante l’arte visiva in questo preciso momento. Tanto più che la nostra intenzione non era quella di offrire
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audiovisivi», infatti, le sollecitazioni percettive (auditive e visive) e il necessario intervento dello spettatore, fanno sì che queste opere permettano
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Spieltrieb dello spettatore. Le sue opere, così, si riallacciano a quel filone di invenzione magica e di oggettivazione dell’assurdo che ebbe già nel romano
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immagine fittizia dello spettatore, è stata il primo embrione d’una nuova impostazione altamente «critica» della pittura moderna, e lo ha portato in
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«trasmissibilità» dello stesso se è impossibile o improbabile allo stato attuale e normale della nostra coscienza (mentre sarebbe sia pur raramente
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sperimentato l’effetto della gravità, dello squilibrio, attraverso costruzioni metalliche e di cemento, per poi passare ad opere più vicine al
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offre quindi nessuna possibilità d’una reciprocità d’intervento da parte dello spettatore e resulta immancabilmente e inderogabilmente «imposta dall
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voler significare come, in realtà, nella nostra epoca l’arte possa assumere anche aspetti diversi da quelli di ieri e tali da offrire alla mente dello
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celebre dipinto. Anche in questo caso - tra il teatrale e l’esistenziale - può soccorrere una frase illuminante dello stesso autore: «Finora era il
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Anche Ugo La Pietra - che già in molte sue operazioni aveva realizzato delle strutture disequilibranti dello spazio urbano ed ambientale - nella sua
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al Museum of Modern Art di New York dello scorso anno ha segnato non la sua fine, ma la sua glorificazione e insieme la sua imbalsamazione. Un
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sembrare ermetiche, cerebrali, o gratuite ed epidermiche, e soprattutto lontane da quelle così comode partizioni in «arti dello spazio e del tempo», oppure
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Altre «attrici» dello stesso stampo (come Trisha Brown, Joan Jonas) sono piuttosto incasellabili nel genere «danza». La Monk invece è una delle poche
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prestorico è già in parte partecipe dello scorrere d’una temporalità «storica», ed è quindi lontano dalle saghe e dai miti. Mentre il tempo preistorico, il
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cosiddette split representations: dello sdoppiamento e della scissione delle rappresentazioni figurali riscontrabile in alcune culture come, ad esempio
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Si consideri inoltre il tanto discusso problema dello stile. È noto che il cosiddetto «stile d’un’epoca» (e anche, sotto certi aspetti, lo «stile d
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pensiero filosofico, esiste anche un versante scientifico, etico, religioso, ecc. dello stesso. Spesso la storia delle operazioni artistiche d’un popolo
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- che tenta di giustificare opere come quelle di Venet (anzi opere che non sono dello stesso Venet perché sono stralci di pagine tolte a manuali
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scarni alfabeti con quella consustanzialità che è propria d’ogni opera necessaria; e non della ricetta, dello spurio geroglifico inventato o scoperto
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«orizzonti ritrovati» dello spagnolo. Il compiacimento, così evidente e scoperto, in un medium insolito, che, valendosi di stratificazioni
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«grazia», quasi fossero l’immagine d’un futuro uomo-scafandro, robot-cuoco, robot-minatore. L’utilizzazione del noto sistema dello stampo in cera
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- quello di un Chighine, di un Sadun, dello stesso Moreni, e di tutta una schiera di spagnoli, tra cui posso nominare almeno Juana Frances, Lucio Muñoz
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Biennale. E intendo riferirmi all’opera d’un pittore come Burri (e in parte come lo spagnolo Muñoz, e come quelle dello scultore jugoslavo Džámonja, o
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volte con quella dello stesso artista o dello storico-filosofo. È una condizione analoga a quella che vide l’instaurarsi d’una disciplina a sé stante, cui
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contemporanea, quella delle «Affermazioni» a Ca’ Giustiniàn, offre alcune tele), ed è quella dello stesso Hartung (ospitato dal padiglione francese assieme a
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e da un suo contatto con la straordinaria scrittura-pittura o pittura segnica dell’Oriente. Sappiamo bene quanti influssi le correnti dello zenismo
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., abbiano partecipato, sia pur saltuariamente, alle iniziative del movimento milanese, è la miglior prova della vitalità e dell’efficacia dello stesso.
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si vogliano ricordare - come nuove figurazioni - quelle dello jugoslavo Srbinović (piuttosto legato alla vena folkloristica e certo meno significativo
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opere assai nobili degli inglesi Adams e Dalwood, in quelle dello svizzero Schilling, nelle interessanti superfici lignee del finlandese Kain Tapper
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conto dell’elemento sincronico e diacronico d’una determinata struttura artistica quando la si debba analizzare e dello slittamento semantico che
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