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suo operare e quando si sia potuto sottolineare a sufficienza l’apporto dato dall’artista al generale evolversi dell’arte visuale in Europa.
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Sempre nel periodo attorno agli anni cinquanta (e precisamente dal 1948 al 1958) dobbiamo ancora notare la presenza nell’area lombarda d’un altro
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riallacciare direttamente o indirettamente all’influsso esercitato dalle grandi tele monocrome create da Fontana nel periodo attorno al 1950.
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al fatto che è ormai necessario rinunciare alle «belle forme», al «buon impasto», si accontentano di creare degli oggetti che siano in sé compiuti, che
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invaso del Guggenheim resulta del tutto improprio al suo compito: da presso lo spazio manca, da un capo all’altro del diametro d’ogni girone lo
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Ho preferito dare questo lungo e tedioso elenco di nomi, proprio per permettere al lettore di sincerarsi delle presenze (e anche delle molte e non
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la scarsa efficacia del Rotozaza di Tinguely, tanto di quello esposto al Guggenheim che di quello che abbiamo visto in azione (in un’altra versione
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E, dietro al contenutismo, ci sono altri elementi che s’identificano con il rapporto tra invenzione figurale e pregnanza visuale, tra accettabilità
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Al Guggenheim questa corrente è rappresentata essenzialmente da Vjenceslav Richter; il suo Reliefometer (che come dice il termine è un «misuratore
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al «bel colore», all’impasto, al gusto della materia in pittura, alle patine, alle corrosioni, alle ruggini, in scultura. Lo straccio e il catrame di
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Questo stesso fatto, del resto, giustifica, sin dall’inizio, la scarsità delle applicazioni al linguaggio visivo di quel tipo di analisi semiologica
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al particolare medium di questo linguaggio (alla parola), e non solo al «capolavoro letterario o poetico» che di questo linguaggio si vale, nel caso
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Damisch al I Congresso internazionale di semiotica)1 che in un certo senso riassume molto del lavoro compiuto sin qui dagli studiosi delle arti visive che
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Ma è troppo facile, del resto, e troppo ingenuo scagliarsi contro l’oggetto artistico e la sua «mercificazione», e dunque il suo asservimento al
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aleatorietà, d’un’arte affidata al segno e al gesto; in seguito, quasi ad opporsi a codesta accidentalità, l’importanza che venne a rivestire l’aspetto
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In un periodo come l’attuale - estremamente dispersivo, e al tempo stesso formicolante di impulsi e spunti che si spengono appena accesi, si
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Introduzione alla mostra «Al di là della pittura», San Benedetto del Tronto 1969.
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accaduto per Warhol passato al cinema).
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d’animo», stati di tensione, situazioni di disagio, di peso, di contrasto, rimandando il lettore per ulteriori precisazioni al volume (a cura di
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De Martis nella sua galleria «La Tartaruga» di Roma nella scorsa primavera (1968). Si trattava allora d’una serie di mostre dove, al posto di opere
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. Intendo riferirmi alla «op», e al cinetismo. Molte esperienze in questo campo - da Vasarely al Gruppo milanese T -, sono indubbiamente europee, ma
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Un altro tipico artista «concettuale», egli pure torinese-genovese, Paolini, ha portato al massimo punto di esaustione una visione dell’arte
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Introduzione al catalogo della mostra «Elf Italiener Heute», Dortmund 1971.
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, molto al di là dell’oggetto povero, servendosi, ad esempio, di cavalli esposti in una galleria, d’una donna, nuda e incinta, sul cui ventre passeggiano
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E anche: azione nel e sul paesaggio senza nessun apporto estraneo, ma tale da togliere al paesaggio la sua «naturalità».
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indirizzata al destinatario e mirante a determinare in questi le reazioni richieste dal messaggio; 2) una funzione fàtica, che vale a mantenere il «contatto
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A questo punto due sono le maggiori fallacies - i maggiori equivoci - cui si va incontro al giorno d’oggi in molte valutazioni critico-estetiche, e
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concettuale ma che rischiano al tempo stesso di venir sommersi da un’eccessiva anoggettualità.
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Uno dei motivi essenziali che ci ha spinto a ordinare questa mostra1 è proprio quello di dare a noi stessi, e, speriamo, anche al pubblico, una
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a definire «vagueness», Kruševskij «complexity and indeterminacy», Bloomfield «border-line cases», Skalička «asymmetry», ecc.), dovuta al fatto di
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Il passaggio dall’idea al segno, e dal segno all’idea, è una delle peculiarità di molte di queste opere.
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Di fronte a questo indirizzo possiamo veder affermarsi l’indirizzo opposto, quello che ho definito «la riduzione al progetto» (e che si potrebbe anzi
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Archigram al viennese Hollein, a Yona Friedmann, Vjenceslav Richter; dagli Archizoom ai Superstudio, ai Metamorph, ecc.) - che è rivolta quasi
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Lo stesso ricorso oggi così frequente a schemi semiologici, di cui abbiamo spesso discusso, è una riprova della tendenza al progetto cui sopra
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assaporato il gusto dolciastro e zuccheroso di questo frutto è difficile al grosso pubblico rifarsi a cibi più genuini o meno facilmente assaporabili.
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È invalso l’uso di considerare la critica d’arte come decisamente rivolta, o limitata, al solo aspetto sincronico dell’opera d’arte (o di non-arte
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La «fedeltà al proprio medium» era stato uno dei postulati della critica e dell’estetica sino a pochi lustri or sono. Fedeltà al medium intesa come
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Ma se proviamo ad estendere le considerazioni di Friedman anche al campo dell’arte, vedremo come sia possibile ammetterne la presenza in un mondo
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; e questo proprio oggi che, come dissi dianzi, la pittura molto spesso è ridotta alla macchia, al dinamismo del gesto, al ritmo del «foro», alla
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Mark Rothko, dunque - questa figura solitaria, sino ad alcuni anni or sono noto solo a pochissimi e solo al di là dell’Atlantico —, appare qui come l
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quello che ancora non accade alla musica, alla poesia e solo parzialmente al teatro e al romanzo. Sta di fatto che, nel marasma in cui ci troviamo, a
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D’un genere assai più aggraziato, più elegante, più simmetrico, ma altrettanto sconcertante per la loro animalità ferita, e al tempo stesso irridente
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attorno al nome di Fautrier - la «Biennale dell’informale». È bene precisare che questo termine, dalla rapida fortuna, costituisce al tempo stesso uno
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’istantaneo (questa però non legata al materiale ma al «segno» e al «gesto») è quella d’un Mathieu (non presente alla Biennale ma di cui una mostra
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particolare materia, un medium espressivo, da aggiungere all’olio, alla tempera, al disegno, ma un medium, invece, che trascina dentro al dipinto qualcosa di
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esistenti cioè allo stato di quiete, e tali forme virtuali assumono consistenza e pregnanza appunto in seguito al movimento. Oltre al movimento anche l
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cui interspazio sono interposti numerosi elementi di legno di forme varie e di colori diversi che si autocompongono in seguito al movimento impartito
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gli artisti; o i più disonesti, quelli cui non era parso vero di rinunciare al diritto di scelta, per affidarsi ad un telos aleatorio.
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fenomeno dell’obsolescenza estetica (al quale ebbi ad alludere sin dal lontano 1952, nel mio Discorso tecnico delle arti) sia effettivo e preoccupante
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È comunque un passo avanti rispetto al provincialismo di tanta critica figurativa d’anteguerra ancora intrisa di storicismo, di accenti
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