IL PAESE DI CUCCAGNA
Santo Jorio, uno dei paeselli intorno Napoli, favoriti della borghesia. Troppe nubi ella vedeva aggravarsi sulla sua pace familiare, simile al cielo
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tono affettato di scioltezza. E si scostò, per lasciarla entrare nello stanzone, seguendola sino a tavola. Ella si sedette a una rozza seggiola, dopo
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considerava la sua figliuola come la spirituale sorgente dei numeri e che la metteva alla tortura, perché ella ricadesse nelle visioni che il suo turbato
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meraviglia e restavano, ella era diventata familiare di tutti: e nei quattro mesi in cui si visitano le case, dal quattro gennaio al quattro maggio
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taciturne, non nei rudi e tristi attriti della turbolenta esistenza. Dalla madre che aveva vissuto una vita dolente, ella aveva una squisita ma silenziosa
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sua superbia, tornando al letto della inferma. Si piegava su quel volto sempre più esangue e con un alito chiamava per nome la sua figliuola. Ella
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era candida, verginale, la rivelazione dello spirito che, certo, quella notte ella aveva dovuto avere. Non poteva mancare. Don Pasqualino, l
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del cupo palazzo Rossi, accompagnata dal padre o da Margherita: egli aveva cavato il cappello, profondamente; ella aveva risposto al saluto, chinando
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una di quelle statue oranti, che la pietà del Medio Evo inginocchiava sulle tombe in eterno atto di orazione. Ella parea non sentisse l'ora che
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brutalizzava, tanto più che ella era diventata misera in canna, e non gli poteva dare ogni tanto le cinque lire, le due lire che egli le chiedeva superbamente
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baccalà, con la salsa? - No, no, - disse ella, disgustata. - Una zuppa di trippa? - No, no. - E che volete, allora? - domandò il garzone, un po
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della sua unica e immensa sciagura, aveva trasformato la sua terrazzina in una casetta giapponese piena di stoffe e di arazzi, dove ella ogni tanto
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, sulla fronte, una stella di brillanti. - Non ci vuole altro? - chiese ella, con un lieve sospetto di essere poco adorna. - No - disse il parrucchiere, con
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fredda e solitaria, dove ella vegetava miseramente, che la pregava di degnarsi, come un'umile, una semplice offerta, d'accettare l'ospitalità in campagna
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delle sue ciabatte, ella andava e veniva, per lavare i pochi piatti, fermandosi ogni tanto a voltare nel tegame i suoi maccheroni che ella aveva messo a
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due cocche del fazzoletto che le copriva il capo, strette fra i denti e riparandosi dalla pioggia, sotto un ombrello piccolo piccolo. Ella andava con
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aveva fatto credere di esser un impiegatuccio, vedovo e senza figliuoli, che l'avrebbe sposata certamente, se ella si mostrava buona e fedele. La
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vi è? - Non lo so, - borbottò ella. Pazientemente, deciso a non lasciarsi ributtare da nulla, egli salì quella stretta ed erta scala, sui cui
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Raffaele detto FarfarieIlo, respinta fin dentro la bottega dell'ufficio telegrafico di via Duomo, ella con la faccia stravolta dove erano impresse, sempre
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un'ansietà, che non arrivava a dissimulare sotto la noncuranza. - Sì. Servono per Lillina? - Sì… cioè, non ne son certo, ella è troppo bugiarda… eppoi, ho