IL MAESTRO DI SETTICLAVIO
Ho trovato, nipote mio, quel che ti devo lasciare. È una cosa che mi salvò quasi la vita. Prima che tu nascessi, i medici di Brescia e di Milano mi
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, gli amici lo sfuggivano; viveva rintanato nel Caffè della Gloria scrivendo il suo Trattato sul setticlavio, e mangiando quel poco che gli era offerto
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di meno andò a precipizio in Frezzeria dalla donna, che appigionava la camera a Mirate, e ch'era stata allora allora interrogata da quel corista, il
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diversa. Ma una ondetta, passandomi sul fronte, mi richiamava alla realtà; e allora io mi gustavo di nuovo la dolcezza di quel giaciglio soffice e
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memoria di spavento- so - a quel re, a cui, dopo la profezia di certe orribili streghe, ven- ne incontro così una foresta minacciante e vendicatrice
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serio ed avrai uno stato sicuro. Intanto si potrebbe gettare l'amo". "Intendo. Quel che ti preme è che io non pericoli in alto mare o non vada a
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maestro bologne- se, dopo avere udito il primo basso, quel seccante maniaco di set- ticlavio, non l'avesse voluto a nessun patto, anzi avesse fatto veni- re
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Mirate". L'altro ripeteva risolutamente: "No, no e poi no. Tu non capisci niente. Gli basterebbe mangiarsi quel po' di dote. È uno scavezzacollo. Povera
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muto. Chi lo sa? Forse quell'oggetto di profano piacere, che io vagheggiavo, e che può avermi distolto spesso dalla contemplazione di Dio! Sì, quel
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Riva degli Schiavoni. Quando le barchette passano in quel giallo incandescente sfumano, come nelle fornaci di Murano i vetri che si fondono; quando
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alla Giudecca su quel brulicame di piccoli navigli, che si muovevano tutti insieme, len- tamente, maestosamente, a seconda dell'acqua in riflusso; in