IL MAESTRO DI SETTICLAVIO
Per cinque giorni lo Zen aveva continuato a presentarsi alla casa del suo maestro, supplicandolo di essere ricevuto; ma il vecchio aveva dato ordine
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fascio, venivano tar- tassati spietatamente. Conclusione: gli azionisti buttavano via i lo- ro quattrini per far sciupare le belle voci o far cantare dei
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sin da bambina, tutti gli affetti di padre e di madre, anzi di nonno e di nonna. E la fanciulla lo aveva sempre chiamato nonno. Ella non mancava mai
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facevano abbassare lo sguardo con un senso di strano timore. Del resto, la fanciulla non aveva mai pensato al matrimonio. Era vissuta sempre fra il nonno e
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fragorosamente coi piedi e con le mani e contate a gran voce. L'accompagnamento lo faceva sentire di quando in quando il maestro dei cori, Annibale
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parole, con i gesti, con le grida. Lo strazio è solitario. Si guarda al proprio dolore tranquilli, con le ciglia asciutte. È una calma bieca; è una
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una canzone fresca fresca, scritta apposta da qualche giovine compositore veneziano. Era più di un mese che lo Zen esercitava gli allievi; ma la
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diceva addio e, memore del suo primo mestiere, balzava sulla poppa del sandolino e s'allontanava cantando. Nene qualche volta lo aspettava invano, con
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con qualche foglia di vite, e dal quale si vede il largo specchio dell'acqua verdognola, che riflette le tristi case della Giudecca, era lo scorso
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chiedergli la causa della sua minaccia, egli se l'era prudentemente svignata. Lo cercai tutt'in giro senza poterlo trovare. Desinai all'osteria del Pavone e
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interminabile, nel mezzo ad una immensità vertiginosa di colori strani. Lo splendore del tramonto prendeva figura come di fuoco diffuso, di oro lique- fatto
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. Ma sai che, sebbene io ti veda troppo di rado in queste monta- gne, pure ho sempre sentito un grande affetto per te, e lo meriti; e mi rincrescerebbe
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le domeniche a desinare da noi, e di quando in quando, bevuta una bottiglia di quel vecchio, ci dava lo spettacolo esilarante del suo temporale. Ora