IL FIASCO DEL MAESTRO Chieco (Racconti musicali)
- No, non t'accostar così al Sacramento, non muovere ad ira il Signore, va, prostrati sul marmo di gelo, prega e piangi, prega e piangi, forse il tuo
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Trento la diligenza delle Giudicarie fino al ponte delle Sarche, dove nei giorni quattro e cinque luglio avrei trovato persona incaricata
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guanti neri. Usciva tardi per qualche passeggiata solitaria; alla fonte non si vedeva mai. La sera scendeva al caffè verso le nove. Se si faceva musica
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omaggio a quelli di Comano che dovevano trovarsi al ponte delle Sarche dopo le nove. I violini stridevano, Chieco zuffolava, i portafiaccole facevano un
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entrata con i suoi ippocastani tagliati a dado, al laberinto, ai giuochi di acqua, alla lunga scalinata che sale il colle; dalla base all'attico pesante del
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quella sciocca compagnia pettegola. Comprimer lo sdegno le riusciva men facile; e, venuti in campo i discorsi di Torranza al caffè Pedrocchi, era uscita
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. Adesso la sua" soggiunse sorridendo, stavolta, al giovane biondo. E lesse:
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Rinascimento sino al rococò; e poi ci sono i Purganti che sono il vile presente; e poi ci sono io che sono l'avvenire!". Gli chiesi se avesse fatto gite
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il pezzo sinfonico che segue, eseguito dall'orchestra a sipario alzato e scena vuota, mi parve veramente, come parve al pubblico, sublime. La musica
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senz'avvertirmene, al solito. Era quel matto del maestro Lazzaro Chieco, il famoso violoncellista e compositore che mi scriveva così: Castel Tonchino
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languido modo indolente, con le sopracciglia e il sorriso, con qualche parolina sommessa, il povero marito infuriato al "no" contro i tre che lo caricavano
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, te la do e che siate maledetti!". Ciò detto mi saltò al collo, mi baciò, mi strinse in modo che lo credetti impazzito davvero. "Ti voglio bene, sai