I MISTERI DELLA GIUNGLA NERA
uomo che muore. Senza por mente al pericolo a cui esponevasi, si precipitò fuori dalla porta, facendo balzi di tigre e gridando: - Nagor! Nagor! Nessuno
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dalla capanna, interrogava attentamente l'orizzonte, sperando di vederli spuntare fra la sterminata piantagione di bambù, costringeva Punthy ad
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fischi; un tremito formidabile scuoteva il battello dalla chiglia alla cima degli alberi, dall'asta di prua a quella di poppa. Ben presto il manometro
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veniva giù, descrivendo abbaglianti zig-zag. Il canotto trascinato dal vento e dalla corrente straordinariamente gonfia, filava come una freccia
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svegliò tutti gli echi delle Sunderbunds. Il fascio di luce che usciva dalla sommità dell'albero si spense e in sua vece apparve una testa umana
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§Uscita dalla pagoda, Ada, ancora commossa, col volto ancor bagnato di lagrime, ma gli occhi sfavillanti di fierezza, era entrata in un piccolo
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pensieri. Si volse indietro, credendo di essere stato seguito dalla tigre, ma l'intelligente animale si era arrestato sull'orlo della jungla. Bastò un
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, fatto il colpo, s'era slanciato sotto le nere volte della prima galleria trovatasi a lui dinanzi, seguito da Kammamuri e dalla tigre. Non sapeva dove
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capanna, staccò da un chiodo una lunga carabina dalla canna rabescata, si munì di una gran fiasca di polvere e si passò nella cintola un largo coltellaccio
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persona appariva alla superficie del fiume. Forse la corrente aveva trascinato seco l'assassino, stato senza dubbio colpito dalla carabina o dalla
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dietro ad un folto cespuglio, a cinquanta passi dalla abitazione, come uno che cerca di addormentarsi. Di quando in quando però alzava prudentemente la
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strangolatore tentò di risollevarsi, ma ricadde. Un getto di sangue gli uscì dalla bocca, stralunò gli occhi, emise un gemito e s'irrigidì. Era morto
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sparire, non sparire, non lo voglio, no! no! no! L'indiano emise un acutissimo grido e sulla sua faccia si dipinse una viva angoscia. A quel grido, dalla
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, giunse alla cupola. Con un ultimo slancio s'aggrappò alla gigantesca palla di metallo, sormontata dalla punta sostenente il serpente colla testa di
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ammazzarmi, ma dalla mia bocca non uscirà sillaba. Sono un sipai! - Bada, Bhârata, che non si ritorna più, una volta scesi nella tomba. - Uccidimi se vuoi. - È
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leghe, essendo formato dalla riunione dei fiumi Cossimbazar e Djellinghey, i due rami più occidentali del Gange; ma la massa delle acque è
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. Dalla stiva il drappello passò nella camera comune e salì la scala. - Preparate le armi e fuoco di fila, - comandò Hider. I sei uomini irruppero sul
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spesso la testa sotto le volte, camminando a casaccio seguiti sempre dalla tigre, che non dava ancora segno alcuno d'inquietudine. Passarono così
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tigre, lo si vedeva, esitava ad assalire, tenuta in rispetto dalla canna lucente della pistola, conoscendone indubbiamente i mortali effetti. Si
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sergente dei sipai, giunse a poche braccia dalla riva. Con pochi colpi di remo s'incagliò profondamente fra le erbe. Il sergente balzò lestamente a terra
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avanti. - È pazzo, - pensò Aghur, - o mezzo morto dalla paura. Sta bene, lo abbatterò io il colosso. I due indiani affrettarono il passo, malgrado il
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, fischiando e tremando. Un calore torrido saliva dalla stiva e un fumo nerissimo usciva furiosamente dal tubo. - Dritto all'isola Raimatla! - gridò Hider, al
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fiumana e le sue sponde. L'elefante camminava con passo spedito, eccitato dalla voce del mahut, fracassando, stritolando, sotto le enormi zampe le radici e
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veniva dalla scala lo arrestò. - Scendono, - mormorò, gettandosi prontamente per terra. - Qui occorre sangue freddo e audacia. Chi sa, forse
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creatura, parla! - urlò Tremal-Naik. - No! ... - esclamò l'indiano con incrollabile fermezza. - Non uscirà una parola dalla mia bocca. - Ma hai un
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assalitori che venivano innanzi coi pugnali fra i denti e i lacci in mano, pronti a strangolarlo. Dalla canna usci una striscia di fuoco seguita da una