Gambalesta
accosto al muro, soffocando i singhiozzi con la mano per non farsi sentire, consolandosi un po' col ripensare le parole di compare Nunzio: - Ti
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non lo chiamavano Gambalesta, ma col nome di battesimo, Cuddu che pochi sapevano fosse un'abbreviazione dialettale di Menico. Né, dopo, si seppe mai
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l'affusto del cannoncino a cui dava fuoco quella giovane popo- lana col fazzoletto legato attorno alla testa e la gonna tirata su fino ai ginocchi. A
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, lasciato di tessere, aveva appoggiato i gomiti su la cassa del pettine, col mento fra le mani, impensierita di tutte quelle precauzioni e di quel mistero
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, sdraiati bocconi, coi gomiti appoggiati sul terreno, col mento tra le mani e la pipa in bocca, zitti; qualcuno, in un canto, già dormiva. Cuddu
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Erano partiti prima della mezzanotte, col lume di luna. Andavano serrati, in silenzio, quasi temessero qualche brutto incontro. Si sentiva ancora il
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avviò anche lui. Cuddu, rizzatosi da sedere, gli correva accanto: - Datemi il fucile; ve lo porto io. E Cuddu marciò un bel pezzo tra le Squadre, col
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occhi in viso a compare Ignazio, sorridendogli col solito sorriso da scioccherello che gli veniva alle labbra ogni volta che egli non capiva quel che
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nascosta dalla pianta di capperi spiovente da una fessura. - Aspetta; scendo giù. Cuddu attese, impietrito, col cuoricino che gli batteva forte, con
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tolse dalla cassa una grossa pagnotta, ne tagliò due belle fette, vi stese sopra col coltello un denso strato di ricotta, e si mise a man giare anche
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che andava anche lui, assieme col padre, dietro le pecore al pascolo. Questa volta però era rimasto alla mandra per guardare la capra figliata e darle
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spiava qua e là, col fucile in mano. Cuddu lo guardava, pronto a turarsi gli orecchi appena glielo avrebbe visto inarcare. Ed ecco Lampo che si agita, che
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! - disse a Cuddu il pecoraio, ridendo. Le scodelle del siero col pane in molle erano pronte. Il pecoraio però, che aveva fretta di condurre le pecore
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svoltata dello stradone. Il vecchio stava là, accoccolato sulla soglia del casolare senza tetto, col bastone fra le gambe e le mani sui ginocchi
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- quell'anno il mese di marzo era rigidissimo - non trovava lassù il vecchietto, ma un uomo con tanto di barba nera, un cappottone di albagio col cappuccio
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tutti brizzolati di neve. I tre birri portavano i fucili a bandoliera, ma col calcio in su perché la neve non penetrasse nelle canne. Cuddu si era
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, pallidi come cenci lavati, col terrore della morte negli occhi, barcollanti su le gambe, e diretti verso il carcere là vicino. Quel furibondo cominciò a
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canticchiando sottovoce. Accadeva però che Cuddu, tutt'a un tratto, buttasse per terra il rotolino col rocchetto riempito a metà e fin spezzasse il capo
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Cuddu lottava col sonno senza riuscire ad addormentarsi. Oggi un carrettiere, domani un altro, da tre giorni e tre notti. Poi lunghe ore a piedi, senza
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limaccioso che gli sembrava ormai lo dividesse dal mondo, e corse col pensiero alla sua povera mamma, che in quel momento forse lo cercava qua e là e
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