FIABE E LEGGENDE
l'arpa ad armacollo, perché lo stuoli li seguita fra i gigli e fra i roveti? Lo stuol lo ignora e mormora: quei due, son due poeti! E meste donne, e
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dei contadini sotto i porticati se ne stan colle braccia in su rivolte come turchi preganti; i focolari prestano un lume intermittente e pallido alle
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Oh sì beati i morti che bevon le rugiade... Chi saprà dir se in mare ei si getta o vi cade?
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, alzando il volo, vi fa cader scintille. Libellule e farfalle i fiori hanno lasciati e, attratte dalla calma, i deboli meati cimentan per vedere negli
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vittime del lutto e dell'oblio, e ripara e punisce le cecità mortali, e i rossor non veduti e i disprezzi fatali, accoppiando le belle ignare
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correte, non abbassate il velo! L'uomo ignoto che segue, come un povero cane, i passi onde intrecciate le vostre corse strane, che per baciar la terra dove
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Titani, a cui l'olimpica ira inchiodava i piè possenti al suolo, da mill'anni seguenti delle nuvole e invidianti il volo. Sai perché sì lontano i rami
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freschi - e toni d'or. Compagnie di strani Fauni, su marmorei piedistalli, scabri e gialli, i sentier ne sorvegliavano, e specchiavansi agli stagni
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vecchie casse dei poveri morti, sono allagati i giovinetti nidi degli usignuoli; un passeggier non scorgi, per quanto è vasta la pianura.
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seno inerte, vive e muore in un velo. I suoi piacer sanno di tosco, i mali gli aizzan l'alma ai giubili vietati che presente e non trova: è dalla
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Un giorno che piovea dirottamente, (era il pallido ottobre), e i valligiani del mondo si perdean dentro la mota, un giovinetto, amico mio, bizzarro
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passato dai lontani, beati dì che già aveva amato... Ei passò fra i garzoni della fanciulla al fianco, poscia sentì il profumo del suo bel seno bianco
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Lungo il viale, per i viottoli, nelle sale, in mezzo ai portici, dalla freccia delle aguglie fino all'ultima corteccia, dove intreccia la sua feccia
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L'aurora! E già i frassini, comari verbose, l'albor commentavano con stridule chiose; poi, punto d'invidia, scrosciava il querciuolo... già tutta, in
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prepara al sole, han nei capegli l'umide radici delle viole, han nei pugni gli steli che diverranno abeti; i morti nella terra son tranquilli e lieti
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La stanzuccia di Steno stava accosciata in alto di un palazzo affittato da un ebreo di Rialto; palazzo in cui da secoli i topi son signori, e che
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- I miei giorni in un sogno dileguano; son già lungi, ben lungi i più belli! Come un volo - di uccelli - che emigrano e che solo - precipita in mar
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Bella, non aveva altre gioie, non aveva altra stella. Or s'è mutato : attoniti se ne accorsero i servi ; un tremito convulso, cupo, gli agita i nervi; non
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faccia non ha pinta la rabbia, non ha pinto il terrore, ma un alto, inenarrabile, sterminato dolore. Non trema, ma i suoi labri dalla febbre riarsi
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; donna Bella finge di coricarsi e rimanda l’ancella... Grazie! cortese lampada che a legger m'aiutasti. Scriveremo un poema per narrare i tuoi fasti
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: - Steno! Steno!... fratello!- Ritti in fronte i capegli, allor l'Ebreo, zimbello spesso dei sogni, vide uscir sulla scalea uno spetro. La luna sul suo
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circondavano i voli dei colombi, qualche gufo, fiutando, roteava sui Piombi, e in aria si incontravano comandi di nocchieri, urli di ciurme e strofe di
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rugosa. I begli occhi profondi, le nudità seguendo, di uno scultor di Rodi artifizio stupendo, avean finito a spingere una mano affilata a palpargli
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I due colleghi a braccio camminavano; Steno come un uom strascinato, l'altro franco e sereno. - Dunque c'entra un rivale?- diceva il Ferrarese
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restovvi. Di nubi accavallate scorrean cime e voragini, a trotto, a volo, a ondate, e un passero, tranquillo sotto l'orrenda scena, lieto osservava i
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I fior che nascon tardi e a cui par che la luna l'acre olezzo regali, già per l'aiuola bruna cominciano a brillare, come un altro corteggio di stelle
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di naufraghi ottomani, col petto ancor squarciato dalla punta dei rostri. Era l'ora che i bimbi han paura dei mostri, e, a non vederli, il capo
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trovato Don Diego disteso e senza vita sotto un Fauno di marmo dalla base travolto! I pescator di Chioggia, collo stupor sul volto, han portato un
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I salici piangenti hanno attitudini di prefiche commosse: sembran sudarii per raccoglier lagrime le sottoposte fosse. E, come vive, le cime si
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, riappariva ancor più tetro il castel, come uno spetro. Da sospir, da supplichevoli gridi invasi erano i campi; forse arcane metamorfosi accadean sotto
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si gela, e qual vinta da un affanno deliro, si copre il viso e cade. Non han pure un sospiro i malor sterminati. In ginocchio, con voce che sembra
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, se su lo sterpo inaridisce il fiore, l'amor non appassisce sotto i capelli bianchi? Ah, piuttosto una serpe mi si configga ai fianchi che alloggiarvi
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, attonito, coi mendichi caduto, come in sogno fra i passi dei cittadini errante, il primo obol sentisti nella mano tremante. E per te, è questa, o Steno!
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meriggio possente il mite oro onde l'alba inghirlanda l'oriente! Attendeva nell'ombra, presso la riva, a pochi passi dal gran palazzo di Don Dïego. I
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... Allor potevi udire i fiati ansanti, e credere che a sceglier chi colpire l'invisibile Fato fosse in mezzo, indeciso. - Tu fai sangue... - Tu menti
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dei divini pittori, cui certo un dì non s'erano pagati che i colori, mentre l'ebreo, felice dell'oro conquistato, d'esserne debitore ai morti avea
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attaccasti il nido? Me l'ha insegnato un vecchio che tien bottega al lido; fu caso: fra i suoi libri presi un Catullo in mano, tu sai quant'io l’adoro quel
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tempo e l'abitudine... - O viole, o gigli, o rose, o piume di colibrì, raggi di sole e note che i serafini cantano sul carro di Boote, voi che, il dì
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vostro permesso, diverso come or sono, stato sarei lo stesso! Ora tutto è svanito! e ( perché nol direi? ) i nostri dì son tetri senz'essere men rei
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Che vide allor l'ascoso occhio dell'Infinito? Piansero i cherubini, su in ciel, mostrando a dito quella barca perduta sul lontano emisfero, picciola
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gondola vuoi che usciam bellamente in Canalazzo? " Mi adatterò la sua parrucca in testa, ne porterò la spada e il giustacuore, le piume, i ciondoli, e