FIABE E LEGGENDE
speranze e la pietà del nido l'ali cogli infallibili aliti suoi distende; ciò che cade disprezza il mar che all'alto tende: quando l'albero è infranto
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m'aspettate al varco per gridar: " L'eroina fino a qui perdonabile or del tutto rovina, ché fra Steno e Lionello si appiglia all'uno e all'altro
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Dio che misura il vento all'agnello tosato perché all'uom non misura, quando il verno è arrivato de' suoi dì tempestosi, le bufere del cuore? Perché
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s'accorge che la pugnata guerra, le lagrime versate, le sciagure sofferte, l'ostie fatte coi lembi del cuor, sull'are offerte del suo triste cammino per
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la vita come può viverla un uccello, in aria, a caso, a voli dal fiore all'arboscello, immemore del prima, del dopo indifferente, pigro, annoiato
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nebbia disvela, comincia a far vela, nel tremulo spazio, la nave del dì!
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' d'aria che sfugge. Egli, o s'illuda alle apparenze incerte, o preghi, ignaro del Nume, o allibito sghignazzi in faccia al cielo, o del Real dorma sul
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Il ciel rasserenavasi: bella, superba e sola la faccia del pianeta splendea da Chioggia a Pola; una striscia d'argento che dal canale uscìa e dritta
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affanno e di languor fulgente; e già stese le braccia, ed avida una bocca del contatto supremo da cui l'amor trabocca, pender da un'altra attratta dallo
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passato dai lontani, beati dì che già aveva amato... Ei passò fra i garzoni della fanciulla al fianco, poscia sentì il profumo del suo bel seno bianco
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Dimmi, santa memoria del mio più dolce amore, dimmi come a Lionello battea frattanto il core! Solo colla sua gondola, tacito, palpitante, attendeva
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notti, tanto rossor di sere ?. . . Oh sorridimi... e serba questo volto allibito per le ineresciose veglie del tuo vecchio marito: ridi, canta
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Era il buon tempo. Il Fauno, guardia del porticato, fu la più mesta vittima dello splendor passato; egli che nel marmoreo malinconico cuore una notte
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Genti pie che pregate prima di porvi a letto, non pregate pei morti che stan nel cataletto non pregate per gli ospiti del tenebrore eterno, che dal
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la rabbia del vulcano, dalle fauci del conte, un urlo uscì... Di mano sfugge il ferro a Lionello che china il capo e cade. Pur, mentre il sonno eterno
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? Perché nell'atrio oscuro s'inòltra, e brancicando per l'ingombro cammino colla punta del brando, al livido barlume dell'imminente aurora, attonito
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di Murano; qui, ammonticchiati al prezzo di un bacio o di un ducato, la gonna della vedova, l'assisa del soldato; qui un po' di tutto e un tutto di
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Lionello è solo. Il conte l'ode, rivolta all'atrio del palazzo la fronte, dir con voce secura e gentil: - Donna Bella, volger piacciavi a manca
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- É un sì! - gridò Lionello, e fu un grido sì forte che rintronò per tutte le taciturne porte del palazzo affittato dall'ebreo di Rialto. Certo il
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Egli è là steso al suolo. il manto ha già le pieghe del funebre lenzuolo, la faccia ha già composta, quasi, alla pace eterna; e negli occhi che
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Bella dama che uscite dal tempio del Signore, cui sta ancor forse un'ave sulle labbra vagante, bella dama, col viso pallido e l'occhio errante, senza
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sovrumano eloquio , della natura queta; sia sordo alla eloquenza inenarrabile del grande Essere ignoto; non scorga il filo arcano, incomprensibile, che
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Un giorno che piovea dirottamente, (era il pallido ottobre), e i valligiani del mondo si perdean dentro la mota, un giovinetto, amico mio, bizzarro
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vittime del lutto e dell'oblio, e ripara e punisce le cecità mortali, e i rossor non veduti e i disprezzi fatali, accoppiando le belle ignare
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(ché non cada pria del dì), la leggenda delle Urì ; dappertutto, in terra e in aria, l'alto lutto ed il silenzio, le movenze spaventevoli e le magiche
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, e, offrendo in olocausto l'anima al suo buon santo, rattenendo il respiro e rattenendo il pianto, quasi aprisse la porta di una chiesa, la porta del
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- malati. Fiocchi - di lana parean le nuvole, e una campana lontana - al dubbio del viatore dicea: tre ore . " Veh, un gobbetto! Oh il bel gobbetto Dal
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, tra i fumanti comignoli, la molle eco del sito.
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vincerà, bell'idolo, le stelle del Signore se mi farai, schiudendola, la carità di un fiore! " " Io son come il famelico che muor sotto la reggia
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Per un sentiero a margini di gigli e di roveti, un lungo stuol precedono due giovani poeti; non hanno al crin l'olimpico raggio del greco Apollo, non
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, retrocessero. E Steno: - Santi del paradiso! È una tomba cotesta che scoperchiasti!.. - Taci; questa lanterna cieca val candelabri e faci, ma non qui
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ancora del passo dei giganti; sospira al re lontano il velluto dei troni, e alle nonne defunte pensano i seggioloni; sicché il vecchio palazzo di cui vi
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svegliar colle buone; tien tu il lume. - E accostatisi, la man del cavaliere piano piano la testa scosse che, in bende nere stretta, e china su un