Da Bramante a Canova
scelta stilistica. Al culto di Michelangiolo lo inizia Carlo Maderno, suo maestro e parente. Ma non dimentichiamo che nel Maderno quel culto era
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È, quello del Borromini, uno spazio fatto «artificialmente» per quel tormento-delizia dello spirito che è nel Seicento la pratica ascetica: con una
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volta, quasi per compensare con quel «fortissimo» in basso la mancata catarsi luminosa in alto; ma è comunque una decisione che implica il ripensamento
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figure volanti e il cielo. Il compito del pittore non è di inventare uno spazio, ma di seguitare lo spazio dato in una spazialità immaginaria mediante quel
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Palazzo Pitti e nel Sacrificio di Diana a Roma. Se di quel tema architettonico il Cortona si serve, nei suoi dipinti, come simbolo del sacro, non v’è
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grande professionista, il senso etico del suo classicismo non più aulico né storicistico: e molto simile, invece, a quel classicismo di comportamento più
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costruttiva si legge la storia di quel processo di liberazione, è la chiesa di S. Maria in Campitelli.
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importanti: la cupola viene spostata su quel vano inserto, perdendo ad un tempo la trdizionale funzione di coordinamento plastico dei volumi e il
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elevandola al cielo delle idee eterne, è il tipo ideale del monumento, l’espressione suprema di quel sincretismo di classicità e cristianesimo ch’è alla
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inventato felicemente quel titolo. Il quadro rappresenta l’Infanta Margarita con la sua piccola corte, mentre viene ritratta da Velázquez. Ma dubito
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scatto la testa verso i nuovi venuti, poi il gesto di stupore è stato cancellato per dar luogo a un’espressione pensosa, intenta. Quel movimento
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libri per esporre il metodo sicuro, matematico per produrre quel diletto? Evidentemente ci sono due tecniche: una per suscitare il fenomeno artistico, l
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generatrice formale: l’oggetto che l’occhio percepisce non è che il fenomeno momentaneo, in quel dato punto dello spazio continuo, di un ritmo interno per
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luoghi diversi: così lo spettatore sa quel che succede nell’atrio del palazzo e nel boschetto del parco, prevede l’esito comune dei due fatti distinti
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le finzioni sociali. Ciascuno è quel che appare e non c’è una vita interiore; la vita sociale è tutta esterna, né si può pensare uno spazio
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, spiccano di più i contorni delle cose terrene e quel che si perde in estasi contemplativa si guadagna in sensibilità attenta. L’architettura del
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, si cerchi almeno di far si che quel denaro rimanga nel paese e giovi alla cultura nazionale. Ma, perché ciò avvenga, è necessario che si sviluppi una
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generalmente scadente: si riporti (come lo riporta, nei suoi romanzi, Fielding) quel giudizio alla società, e si vedrà come siano umanamente vani e
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Richardson è esplicito: «di un quadro o di un disegno dobbiamo esaminare solo quel che vi troviamo, senza preoccuparci delle intenzioni che il
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dei casi umani, la separa poi da questi contenuti e la pone come astratto principio formale, così Webb separa quel ritmo lineare e il chiaroscuro
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relazione. Quel tratto di paesaggio diventa, nei ritratti di Reynolds, estremamente preciso: par di toccare la corteccia degli alberi, di sentire stormire le
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come occupata da esse, ben poco peso possono avere, nel corso del processo, le percezioni e le sensazioni. Infatti non v’è, in tutto quel processo, uno
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, dopo averlo, nelle affettazioni sociali, perduto. Infatti, quel giardino non è fatto, come il giardino italiano, di «valori» (prospettive, quinte
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del genio, l’incontro felice di arte e cultura, ma ora rettifica quel giudizio: Michelangiolo è «sublime», anche in ciò (e non è poco) che nella sua
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celeste o infernale, eterno. Sono appunto questi i termini che rientrano d’un tratto nell’arte, che li aveva esclusi; e, quel ch’è più grave, vi rientrano
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visiva, lo mette in contatto diretto, non più con una natura precostituita, sistematica e unitaria, ma con una realtà frammentaria e concreta: sicché quel
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coscienti e partecipi di quel travaglio storico e sociale, non meno di Turner quando dipingeva (lui paesista, ma persuaso che la pittura di paesaggio
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può provocare ma dalla quale non deve lasciarsi sorprendere impreparato, il dovere morale dell’artista è di lavorare in tutta umiltà, anche se quel
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figure allegoriche, slittanti_ sulle volute delle tombe in un equilibrio volutamente improbabile, sono fuori di quel piano ma, poiché formano piramide con
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più disegnata che scritta, quel periodo enimmatico della storia dell’arte italiana viene studiato come un fenomeno autonomo e non secondario, con un
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moti della figura umana; ma proprio perché quelle forze in contrasto sono e rimangono in atto, l’architettura è libera da quel limite del finito che
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Fuseli, i neri sono pesanti di nerofumo, i bianchi densi di calce; si sente la «maniera nera» del Battolozzi e il «lume particolare» di quel curioso
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termina in incubo e, quel ch’è più grave, gli uomini sono tutti sonnambuli, agiscono nel sonno, e l’emozione è l’urto del risveglio, quando si prende
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Alle volte, parlando del Barocco, non si dà il giusto peso al fatto che in quel periodo l’arte deve ridefinirsi nei confronti di una scienza di cui
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dell’operazione, dall’equilibrio di spinte e controspinte, trazioni e resistenze che corrono lungo la retta di quel filo teso. Evidentemente il giovane
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quel tempo, in cui si descrivevano in chiave mitologica singolari fenomeni naturali ed esperimenti scientifici: come, per stare all’esempio più famoso
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interiore e quasi il fastidio o il compatimento del giovane per quel darsi da fare del padre col trucco delle ali di cera, segna anche il vertice
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