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funzione) di una decorazione anch’essa lucidissima, ma tesa e contratta, che prende scatto dalle membrature e lo rimanda a distanza per assonanze
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assoluta rispetto alle altre basiliche romane. Ciò che ha fatto cli essa il monumento cristiano per eccellenza e l’immagine visibile, la rivelazione
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essa l’antico non rinascerà come la fenice dal fuoco, ma sarà conservato come una santa reliquia nei pochi frammenti superstiti, la basilica
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Si può dire lo stesso dell’architettura. Come architetto, Pietro da Cortona opera sempre in una situazione data, e la interpreta ricercando in essa i
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interiori, fino a porre l’opera oltre il limite del fattibile e a fare di essa la polarità negativa, benché necessaria, nella corrente d’ispirazione
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. L’opera è quella che ha per tema fondamentale la morte: la tomba di Giulio II. Essa occupa, con le sue agitate vicende, i quarant’anni della piena
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«devozionale», nel senso che si dà a questo termine allorché si parla della pittura dello stesso periodo, e si vuole spiegare ch’essa non tanto mira alla
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il suo carattere di attività dipende proprio dalle consuetudini di visione ch’essa richiama e riattiva alla coscienza. La colonna, per esempio
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su di essa, con trasparente allegoria, il Bernini imposta la soluzione architettonica di piazza S. Pietro. Ma è anche chiaro che, se le colonne
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nello spazio. Ma se la forma architettonica è, per ipotesi, sensibile ad un evento, è chiaro che essa è pensata non soltanto come stante, ma come
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prova nel rendere devotamente omaggio alla autorità divina, sia che s’inveri e si faccia anch’essa mondana nella Chiesa o nello Stato. Più ancora: l
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necessario dello spettacolo: è un prologo visivo, uno schermo figurato su cui appare una scena Essa, per lo più mitologica o allegorica, e serve di
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passo musicale. Ora che la natura non è più una struttura Essa come la nanna creata, può essere riammessa come continuo mutare e infinita varietà di
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onori. La struttura interna deriva, anch’essa indirettamente, dal palazzo. Esordendo come architetto verso il '30 nel palazzo Ghilini di Alessandria
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sia il frutto di un’ispirazione, sia essa naturale o soprannaturale. In alcuni dei suoi discorsi accademici Reynolds nega duramente il valore dell
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«attiva» costruisce pezzo per pezzo uno spazio, una dimensione organica: e in essa non dovranno esservi lacerazioni, interruzioni, vuoti. Questi non
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crisi della pittura «di storia». Che si tratti di una poetica naturalistica è indubbio; ma è altrettanto certo che essa non dipende da una concezione
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attuarsi nella società, ma solo contro di essa: è esperienza individuale e universale, ad un tempo, ma il rapporto tra l’uno e il tutto è univoco
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dell’impossibilità che l’opera di un artista attui ed esaurisca in sé il concetto stesso dell’arte e della necessità che essa tenda ad un fine
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sole e certo come il domina. La natura non fa più problema, non almeno per l’arte; lontana, si confonde con le favole e i miti. Essa è bensì il terreno
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singolare e quindi di virtualmente eroico nell’individuo si formi e maturi nella società e che solo in essa l’individuo consegna attraverso l
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della «grand manner» di Reynolds) che s’impernia tutta sull’azione del protagonista e fa rivivere in essa il problema, il conflitto interno dell’eroe
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figure dell’arte è dunque, sempre, e non potrebbe non essere, magica e spettacolare, e non importa ch’essa avvenga su una scena teatrale, nel sogno o
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rigida o, più probabilmente, di cuoio. È dunque il modello, lo schema ideale di quella forma, e non di essa soltanto perché il girare del perizoma
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