CENERE
Il figlio di Olì nacque a Fonni, al cominciare della primavera. Per consiglio della vedova del bandito, che lo tenne a battesimo, fu chiamato Anania
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Prima di scendere a cena, egli s'affacciò al finestruolo della sua cameretta e rimase colpito dal silenzio profondo che regnava nel cortile, nel
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, sollevandosi, lo vedeva in lontananza e provava una stretta al cuore, poiché il luogo, il lavoro, la figurina del bimbo, tutto gli ricordava Olì, i suoi
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aspettassero il treno per gettargli contro nembi di foglioline gialle. «Ecco», dicevano le acacie al treno, «prendi, piccolo mostro dispettoso: noi
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melanconici; la classe di Anania, al pianterreno, guardava sulla strada solitaria; molta polvere copriva le pareti, la cattedra del maestro sembrava
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distesa di cardi, udì picchiare al cancello. Nell'orto c'era anche il mugnaio, che zappava canticchiando una poesia amorosa del poeta Luca Cubeddu
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ricerca del padre, ora che il suo sogno s'era avverato, non pensava che ad un viaggio per ritrovare Olì. Tanto meglio se ella era lontana, al di là del
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illuminata da un gran fuoco. Seduto accanto al focolare vide un paesano che pareva un sacerdote egizio pallido, con una lunga barba nerissima quadrata, e
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si slanciava già col pensiero, doveva dire addio, lentamente, giorno per giorno, al mondo umile e triste nel quale s'era svolta la sua fanciullezza
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crepuscolo. Vicino al fiume, la cui acqua scarsissima rifletteva le stelle e il cielo violaceo, Olì trovò due dei suoi fratellini che cercavano grilli. «A
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lumi, i ponti, la luna, come un marmo levigato. Io rassomiglio il corso perenne dell'acqua al mio amore per te; così, continuo, silenzioso, travolgente
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al laccio e ritornato alla libertà delle tancas. Sì», egli pensava, mentre la corriera rallentava la corsa su per la strada in salita, «io ero nato
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, roteando un coltello da cucina. «San Giorgio tagliò la testa al gigante, e il cielo ritornò sereno.» «Era la febbre.» «Ebbene, sarà stata la febbre, ma io