C'era una volta...
Cecina, o guai a te! — Maestà, son venuta a posta coi miei dottori. — E i suoi dottori erano due uccellacci più grossi di un tacchino, con un becco
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i vostri occhi son riposti in buon luogo; son nella gobba della Reginotta di Spagna. Il Re si trascinò fino al palazzo reale, dove questa abitava, e
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qui delle pedate. — Son forse le vostre. — Ah! son le mie? — La strega afferrava una mazza di ferro e: — Di dove vieni? Vengo dal mulino. — Basta, per
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torno. — E si trovò nel bosco, dove aveva incontrato quella ragazza. — Maestà, da queste parti? Che buon vento vi mena? — Son venuto apposta per te
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— Son morto! — Il Reuccio lo scorticò con diligenza e portò la pelle alla Reginotta. — Va bene: mettetela là. Aspetto il pesce senza fiele. — Questo
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? — Maestà, son galletto. — Canta. — Chicchirichì! C' era una volta.... 13 Era proprio galletto. E diventò il divertimento di tutta la Corte. Ma più cresceva
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! — Maestà, datemi un giorno di tempo. - E tornò subito a casa: — Ah, gallinetta mia! Son stata chiamata dal Re: — Se non mi liberi del gallo, ti fo
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Re, la Regina, le dame di corte, coi lumi in mano. — Scostatevi! Scostatevi! Son diventata di stoppa. — Infatti la povera Reginotta avea le carni tutte
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vero che chi guarisce la Reginotta sarà genero del Re? — Vero, verissimo. — Allora son pronto a guarirla. — Chiamaron la Reginotta, e tutti quelli
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orecchi. Il giovane si rivolse al Re e disse: — Maestà, son vostro genero. - Come intese quella voce, la Reginotta cominciò a urlare: — Mi ha detto
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è? — urlò finalmente una voce — chi cercate? — Son io: cerco la Fata. — Quale fata? Delle Fate ce n' è tanta! — La Fata gobba. — Le scappò di bocca
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. Aspetto la bella dal dente d' oro che deve passare di qui. — Usignuolo, beli' usignuolo! Son io la bella dal dente d' oro. - E mostrò il dente. — O
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Giunti davanti la grotta, il bel giovane picchiò. — Chi siete? Son io e Serpentina. — Chi volete? — La Fata Regina. - La grotta si spalancò, e si
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io! — E Testa-di-rospo glielo dava. Passato l'anno, la Regina tornò alla strega. — Maestà, i vestiti son pronti; ma baciate di non scambiarli. Per non
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, insomma tutte le persone del palazzo reale; son tutti, da capo a piedi, pieni di zecche; e, dal prurito e dal dolore, non possono reggere
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: — Mamma, voglio fare il soldato. — La poveretta, che gli voleva bene, piangendo rispose: — Ed io, come rimango sola sola? Ora son vecchia, e non posso più
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cardellino strillava, sentendosi strappare le penne ad una ad una. — Dove son riposte le arance d' oro? — Se non mi farete più nulla, Maestà, ve lo dirò
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di nuovo? che vuoi da me? — Nulla, buon mago; vengo anzi a farvi un regalo. Queste son fiabe nuove e nei vostri cassetti non ce le avete. Ora che
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mani nelle tasche, i diamanti son diventati tanti gusci di lumache! — Ah! quel pezzo di contadinaccio gliel' avea fatta!... - Ma il cardellino la
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quattrini son finiti e quei figliuoli vorrebbero vendere la corona reale; ma io non l'ho permesso. — Fruga in quel canto. C' è del pane e del formaggio
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faccia. Lei disse: — Andiamo a presentarci al Re mio padre. Son tredici anni che non mi vede: - Al portone del palazzo reale non volevano lasciarla passare
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domandò: — Chi siete? che cosa volete? Son io, figliuola mia; siam venute per te! — Dall' allegrezza stava per saltar dalla finestra. - Ascolta
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tremava. — Son coltellino, Son piantato nella terra dura, Per difender la creatura. — Contro questa malìa, il Lupo Mannaro non poteva nulla. E la mattina
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PREFAZIONE Queste fiabe son nate così. Dopo averne scritta una per un caro bimbo che voleva da me, ad ogni costo, una bella fiaba, mi venne, un
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chicchi son contati! Se ne mancasse uno solo, mio marito mi ammazzerebbe! - E la Reginotta, con una santa pazienza, glielo raccattò tutto, chicco per
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' è chi li pagherebbe tre volte più della stima. — Questi sassi son per me; Non li cederei neppure al Re. — Compare, volete disfarvi di questi quattro
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babbo se li fece venire tutti dinanzi. — Figliuoli, — disse — son due giorni che non gustiamo neppure un gocciolo d'acqua, ed io, dalla disperazione, non
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ha detto: Se fra un anno non avrò un figliuolo, guai a te! Son certa, babbo mio, che mi farà tagliar la testa. - Quel povero padre, come potea
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cortesia, prestatemi un ago. Mi si son rotti tutti, e debbo finire un lavoro. - Tizzoncino apriva l' uscio e porgeva l' ago. — Come! Siete allo scuro
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