Il fatto evangelico della Maddalena che giovane, bella, ricca, dotata di tutti i vantaggi sociali e personali, tutto abbandona per abbracciarsi strettamente al servizio di Dio, è un fatto che ogni giorno si ripete sotto i nostri occhi, e per quanto prodigioso lo è però molto meno di altri, i quali meno notati e meno avvertiti, si operano nel segreto delle coscienze. Certe persone covano pensieri d'odio, di vendetta contro altre dalle quali hanno ricevuto sanguinosi affronti: dispongono un vero piano di guerra, che pochi falsi amici conoscono ed applaudiscono, perchè com'essi credono diritto dell'uomo giudicare e punire, e dignità il vendicarsi. Una di quelle persone che si tengono, e sono talvolta gravemente offese, ha la fortuna di essere attorniata da una pia donzella che essa vorrebbe tenersi lontana parendole di vedere nella sua condotto una condanna alla propria. Ma la donzella continua la sua pietosa persecuzione; per quell'intuizione che possiedono le anime pudiche e devote, indovina il segreto che con tanta cura le si vuol tenere nascosto; cerca nel proprio cuore la via per giungere al cuore della zia, vi entra, vi domina, ad onta che la si rimbrotti e le si ripeta di non impacciarsi in faccende che non la riguardano: la donzella con piè leggiero e forse inavvertita entra e domina sempre più in quel cuore straziato, vulnerato, vi lascia cadere una goccia di quel balsamo che ha attinto nel Cuore di Dio; quella goccia si dilata, investe quel cuore vulnerato, lo sana, lo rinfranca... Che è, che non è? La signora tale, la quale poco tempo fa avrebbe dato metà della sua vita per avvelenare quella del suo nemico, oggi gli perdona, prega per lui, giunge perfino a beneficarlo! S'egli è povero, essa trova la via per fargli arrivare un soccorso, per fargli avere un impiego, e pur sentendo dentro di sè la lotta terribile dell'orgoglio contro la fede, con questa tiene quello in freno, e le inspira un mite e caritatevole consiglio. La nipote vede finalmente spianata quella fronte; vede serpeggiare un mesto ma placido sorriso su quelle labbra, si sente stretta al seno con insolita tenerezza; ebbra di gioja domanda la cagione di tanto mutamento, e tutto crede fuorchè di essere stata essa che lo ha generato. Altri chiamerà questo e simili fatti che si ripetono quotidianamente col nome di stranezze e perfino di debolezze; io per me non so classificarli con altro nome se non con quello di miracoli della pietà verginale, nè so riguardarli altrimenti che comprovanti la sublime origine dell'uomo, e la grande potenza ch'egli tiene celata in fondo al cuore. Io vorrei, voglio anzi vederti operatrice di somiglianti miracoli, e se avrai buon cuore, retta intenzione e devozione, sacrificio, annegazione vera, ti capiterà frequente l'occasione di farne; se ti sarà negata in vita la soddisfazione di conoscerli e di goderne, li conoscerai un giorno quando ti verrà poggiata sul capo una gemmata corona, una corona che t'inonderà di un gaudio che non avrà fine giammai.
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Le donne sogliono abbracciarsi e baciarsi, e sarebbe desiderabile che quegli abbracciamenti e quei baci fossero sempre sinceri. Le signore e le persone di molto riguardo vogliono essere accompagnate, alla loro partenza, fino al pianerottolo della scala e, in qualche caso eccezionale, fino alla carrozza. Quelle di maggior confidenza basta riceverle e accompagnarle all' uscio del salotto. Quando una signora prende commiato dalla padrona di casa per andarsene, gli uomini si levano in piedi e fanno i loro convenevoli, non rimettendosi a sedere finchè questa non sia tornata al suo posto. Allorchè ci rechiamo a visitare persone profondamente afflitte, dobbiamo studiarci di porgere loro qualche conforto, di versare il balsamo dell' affetto, dell' amicizia sull' acerba ferita. Ma ciò non si ottiene con inutili sproloquii, coi soliti luoghi comuni, con certe consolazioni che ponno riuscir buone più tardi, ma che nei primi momenti di una irreparabile sventura non hanno senso. Se la piaga è ancora fresca e sanguinente, il più dolce sollievo per l'anima trambasciata è lo sfogo del pianto e il racconto dei suoi guai: e il vero amico li ascolterà senza proferire parola. V' è un silenzio eloquente ed efficace assai più d' un elaborato discorso. Alle volte l' uomo è in tutto o in parte cagione de'suoi infortunii: ma, mentre ha bisogno di conforto, sarebbe, più che balordaggine, demenza, crudeltà il fargli sentire, fosse pure con una circonlocuzione, che egli è autore della sua disgrazia e può picchiarsi il petto, dicendo mea culpa. Non credo necessario porvi sotto gli occhi la grulleria e l' improntitudine di ciaramellare di spassi, di feste, di frivolezze dinanzi a chi è affranto dal dolore. La brutalità dell'antitesi produce l'effetto d'un ferro tagliente sulla carne viva. Chiuderò la breve lezione col raccomandarvi due cose: 1.° di non imitar mai quelli scioperati che, pieni di noia, vanno a rovesciarla addosso agli altri col pretesto di una visita; 2.° di non lasciar scorrere troppo lungo intervallo fra l'una e l' altra, quando sono visite di amicizia, e ancor più se di dovere, perchè la sarebbe una grave inciviltà, e tale che alcuni, non sapendo come giustificare la mancanza, commettono una villania ancora più grossa, non facendosi più vedere in una casa dove andavano con frequenza e dove erano accolti con cortesia.
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» Toccarsi la mano, baciarsi, abbracciarsi sono » tre espressioni di protestata amicizia: la prima » è la più debole, come quella in cui di tutto il » corpo soltanto due estreme parti vengono a toccarsi; » l'ultima è la più forte delle tre, come » quella in cui si ravvicina al tutto l'un corpo » all' altro, e le estremità superiori vicendevolmentete » lo ricingono. Le persone d'alto paraggio, che » tengono virtù la cortigianeria, hanno si architettato » a loro uso un cotale ch'ei dicono saper la » creanza, saper vivere, e che è in sostanza un » formolario di belle apparenze e proteste le più » ricercate di servitù e d'amicizia, per le quali » ogni cosa che dai momentanei rapporti del viver » socievole si esige appena, è fatta gigantesca. Il » perchè costoro ti parlano d'estasi, di gioia, » dove é troppo più del bisogno il semplice dir di » piacere ti si inchinano profondamente, dove ci » basterebbe un ringraziare con lieve piegar del » capo; ti gettano le braccia al collo, quando, » per la pura verità dell' espressione, dovrebbero » tutt'al più in sembianza non discortese dar due » passi avanti. Ma i movimenti che fanno e il tono » che assumono hanno tutto quel superficiale, quel » freddo, quello sfuggevole che di necessità debbe » procedere alla disarmonia che in essi è tra 'l sentire » e lo esprimere. Il contadino, incorrotto » figlio della natura, anch'egli sa abbracciare; ma » questa suprema espressione d' amore ei la riserba » all' istante della semina gioia, al rivedere l'amato » figlio reduce dopo lagrimata assenza; l'amicizia » la esprime anch' egli porgendo la mano all'amico, » ma, come quegli che daddovero esprime ciò che » sente, ci mette franchezza e calor verace. Nella » diversità di tutti i quali casi ella però ravvisa » come rimanvi pur sempre ciò che è essenziale » ed universale, voglio dire la tendenza ad accostarsi » l'un l'altro, che è proprio il naturale » effetto dell'amicizia; e ben comprende » come tutta la differenza, dipendente da diversità di » condizioni, sta soltanto nel grado, nell'intimità » dell'unione ed in altre circostanze accessorie, » come sarebbe la delicatezza e l'ottusità del sentire, » il calore o la riservatezza dell'espressione. » Gli abitanti del Madagascar, come quelli che non » conoscono si vivaci espressioni d'amore quanto le » nostre, son paghi del loro sovrapporre l'una mano » all'altra dell'amico, nè tampoco stringerla, e nè » pure son usi d'abbracciarsi. Gli abitanti della nuova » Seelandia attestano il benevolo animo loro, premendo » naso a naso, si veramente come noi Europei » labbra a labbra ». Engel, opera citata. ll tocco delle mani è l'espressione si naturale dell'amicizia che presso gli antichi Persi chi mancava alla promessa accompagnata dal tocco delle mani, commetteva doppio peccato di quel che vi mancava senza averla accompagnta con questa cerimonia. Presso le legioni romane usavasi il dono delle destre. D'oro fosse o d'argento o d'altra materia questo segno rappresentava due destre unite insieme; solea darsi in dono come simbolo d'ospitalità, fedeltà, concordia. Trovasi spesso nelle medaglie coll'epigrafe. fides exercituum, concordia exercituum, consensus exercituum.
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Quindi le donne dotate di maggiore sensibilità che l'uomo, e talora più destre a fingerla, corrono ad abbracciarsi e baciarsi quando si visitano; alla quale ragione fa d'uopo aggiungere quella dell'uso. 6.° L'inaspettato e inteso giubilo fa nascere la riconoscenza a favore di chi lo produce; la riconoscenza consiglia le pronte esibizioni di riposo a chi è venuto da lontano per visitarci ; di cibi graditi secondo le ore del giorno, di vino e di liquori in tutte le ore nelle classi sociali meno elevate. - L'urbanità de'popoli del Brasile consiste nel far coricare il forestiere che giunge; quindi le donne e le figlie della casa, sparse i capegli e colle lagrime sugli occhi, compiangono le sue fatiche e i suoi perigli. Dopo questo piangisteo, rasserenano il volto, s'abbandonano all'allegrezza, e gli offrono da mangiare e da bere. Al Madagascar l'allegrezza unita alla riconoscenza, e non diretta dalla civilizzazione, ha creato un dovere d'urbanità che i popoli inciviliti non ammettono e che la morale condanna. Il padrone di casa esibisce al forestiero quella tra le sue donne che gli è più cara; e sarebbe impulitezza nel forestiero il non accettar l'uso dell'offerta. 7.° II piacere risultante da una visita impone l'obbligo di restituirla alle persone uguali, e lo impone molto più alle inferiori relativamente alle superiori, quando il motivo di chi ci visitò, non fu bisogno, ma stima od affezione. 8.° A Roma le visite alle persone cui erasi o volevasi mostrare affezionato, erano continue e numerose a segno, che spesso il padrone usciva di casa per una porta opposta al vestibolo ove lo aspettavano i clienti. A'nostri tempi, per liberarsi dalle visite importune il padrone fa dire che non è in casa: il che, oltre l'inconveniente della menzogna, dà luogo a replicati inutili ritorni. Invece di ciò che segue la 2.° e 3.° edizione hanno: » Sarebbe miglior consiglio negare francamente la » visita, giacché se coll'uno o coll'altro metodo si » salva la propria indipendenza, col secondo la si » salva senza altrui danno ». Altri, fingendo affari, occupazioni, indisposizione, tolgono più tinte alla menzogna. Vorrei pur farle sparire affatto; e mi sembra che, nel presente stato dei nostri costumi, una manifesta freddezza in chi riceve una visita importuna tolga la voglia di replicarla. ll nostro tempo non può restare nè interamente a disposizione altrui, né interamente a disposizione nostra: egli vuol dunque essere diviso in tre parti; la prima appartiene ai nostri doveri, la seconda ai bisogni altrui, la terza alle convenienze sociali,
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Quella buona padrona di casa provinciale, avvezza alla semplice verità della natura in mezzo alla quale viveva, doveva aver fatto questo ragionamento: - Se fra due ore i giovinotti e le fanciulle che ho invitati dovranno prendersi per le mani, abbracciarsi, e circolare appaiati a due a due come colombelle, non ci può essere una ragione al mondo perchè si scandolezzino di trovarsi seduti accanto a tavola. Era una logica da dar dei punti ad Aristotile. E lei agì come avea pensato, e collocò a tavola ogni signorina accanto ad un giovinotto. Tutte fecero "a mauvais jeu bonne mine" e molte mi confessarono che non l'avevano trovato un troppo mauvais jeu. Ma una, una sola, una signorina di villaggio, che era uscita per l'appunto di collegio, cominciò a guardarsi intorno impaurita, come se i due che aveva ai lati fossero due leoni pronti a farla a brani, o due Don Giovanni venuti là per rapirla. Uno, che non era punto Don Giovanni, ed ancora meno lion, si senti tutto confuso, si fece rosso, e tirò in là la sedia, come se temesse di sporcare quella signorina; ma l'altro fece le viste di nulla, le offrì da bere, e tutti i piccoli servigi che un uomo non manca mai di offrire ad una vicina di tavola. Bisognava vedere l'aria diffidente e l'esagerazione di riserbo di cui s'armò quella poveretta! Parlava a monosillabi. Rifiutava tutto, era tutta sulle difese, pareva che fino i fiocchi del suo vestito appuntassero le nocche ed i capi come armi difensive.Il suo babbo, dall' altro lato della tavola, fremeva. Finalmente, vedendo che era giunta al dessert respingendo ogni piatto, e stava per rifiutare le frutta che il suo vicino le porgeva, le gridò : - Via, accetta una volta! Non è veleno. - Ah! era di questo che aveva paura, signorina? ed io che mi lusingavo che avesse paura di me! le disse il suo vicino. La lezione era meritata. È appunto in tali circostanze eccezionali, che una signorina può mostrare di sapersi condurre dignitosamente senza darsi quell'aria di noli me tangere, che la rende antipatica, e senza incoraggiare una confidenza sconveniente. Altre volte era di rigore che le signorine mangiassero pochissimo, e non bevessero vino affatto. Per cui riuscivano commensali punto piacevoli. In qualunque modo si volesse interpretarla, quella continenza cenobitica, era una sciocchezza. Le fanciulle intendevano con quel mezzo di atteggiarsi ad un sentimentalismo ideale, non d'altro nudrito che di poesia e di sogni. Era un'idea da precieuses ridicules. Le mamme incoraggiavano quella mania, ed all'occorrenza l'imponevano, volendo con quel mezzo dire ai giovinotti: - Vedano come mangia pochino la mia figliola. E non beve punto. La sposino, via. Non costa nulla a mantenerla. Era un calcolo da Arpagone. Ora, se Dio vuole, il sentimentalismo è passato di moda. E, non fosse che per quest'unica riforma, benedetto il realismo ! Le giovinette sono tornate ad esser loro stesse, col loro appetito giovanile: ed a tavola lavorano coi loro dentini, che è una benedizione, un'allegrezza guardarle. Se qualcuna delle mie lettrici era rimasta in arretrato, ora lo sa. La civiltà vieta soltanto di trasmodare. Ma vieta altrettanto severamente di rifiutare ogni cosa, di mangiare a fior di labbra, di lasciare la roba nel piatto, di rifuggire dai vini, quasi si volesse dire ai padroni di casa: - lo non so che farmene di tutto questo. Il vostro pranzo mi mette la nausea. Quando si è a questi estremi bisogna non accettar l'invito. Se sapessero come è bella e come piace la gioventù robusta, e francamente allegra, che Dio la benedica! Se la padrona di casa fa posare dal servitore il vassoio del caffè, dopo che i convitati sono passati in sala, ed offre lei stessa le tazze, le signorine debbono subito accorrere ad aiutarla. Dovranno però servire soltanto le signore ed i vecchi. Una signorina non porge mai la tazza ad un giovine, a meno che sia suo fratello. Ed ancora ha l'aria d'uno scherzo. Dopo aver assistito ad un pranzo, una signorina è tenuta ad accompagnare la madre nella visita che rende, entro gli otto giorni, alla famiglia da cui ebbe l'invito: e dovrà anche lei lodare la compagnia che vi ha trovata, la disposizione della tavola, i fiori, l'allegrezza che si è goduta, infine quel che c'era da lodare.... ed anche un pochino quel che non c'era.
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L'uso di abbracciarsi in istrada è molto sconveniente; le espansioni di affetto debbono essere riserbate nell'intimità; ma qui piuttosto che di educazione è questione di carattere, sicchè non saprei condannare due amici, due amiche, che rivedendosi dopo vario tempo si gettano affettuosamente le braccia al collo dovunque si trovino. Gli uomini non hanno gran che questa abitudine; le donne fanno bone a non manifestarla troppo. Accade purtroppo, non di rado e per ragioni varie, di essere costretti a troncare le nostre relazioni con amici e parenti; ciò si faccia senza strepiti, senza scandali; è sconveniente di parlare a terze persone dell'accaduto, dicendo male di quelli che abbiamo dovuto eliminare dal circolo delle nostre relazioni. Incontrando questi individui in società, in visita, si fa un lieve cenno di saluto, tanto da non mettere nell'imbarazzo i presenti. Incontrando per via le stesse persone è scortese di volgere la faccia o mostrare un'espressione di noia. Le rotture tra uomini sono sempre più gravi, e finiscono talora col codice cavalleresco. Perciò è meglio essere molto cauti prima di stringere amicizia; è questa la parola più sfruttata di tutto il vocabolario, ma sono così rari i veri amici! Coi vicini di casa, in città e in campagna, bisogna usare i massimi riguardi; non disturbarli con rumori di nessun genere, non usurparne i diritti, non annoiarli. I regolamenti di tutti i Municipi stabiliscono le ore in cui è lecito battere i tappeti; è dunque un dovere farlo a tempo debito. Chi suona uno strumento, qualunque esso sia, abbia pietà delle orecchie dei vicini, e non faccia i suoi esercizii in ore troppo mattutine, o troppo tardi la sera. Non si ha affatto l'obbligo di far relazioni cogli inquilini della stessa casa, ma, fatta che si abbia, non li si annoino con visite troppo frequenti, con continue richieste d'imprestiti, lavori od altro. Ognuno ama la propria libertà e vi sono ore e giorni in cui è possibile che anche la migliore amica ci riesca importuna. Se un inquilino muore, si manda l'annunzio a tutti gli abitanti della stessa casa, i quali sono obbligati ad intervenire al funerale, ed a mandare il proprio biglietto di condoglianza, anche se non v'è relazione tra le famiglie. Se si dà un ballo o, per una ragione qualunque, si fa chiasso la notte, si chiede scusa ai vicini del disturbo arrecato. Oramai fumano tutti; e se l'abitudine è in sè poco elegante, si può aggraziarla con un poco di educazione. Bisogna badare, fumando, di non gettare il fumo in faccia ai vicini. Un uomo non fuma se non è autorizzato dalla signora che è presente; non si getta la cenere in terra col rischio di bruciare tappeti o strascichi di vestito. Se la sigaretta ed il sigaro sono già poco eleganti, la pipa è insopportabile, e un uomo che ha il difetto di servirsene, lo fa solo nella propria camera e mai in pubblico, a meno che ne sia autorizzato. Non si saluta una signora, un superiore, nè si parla loro, col sigaro in bocca; entrando in un luogo pubblico, o in una casa privata, si getta il sigaro, anche se appena incominciato: non è pulito, nè elegante metterlo in tasca spento o lasciarlo in anticamera. L'uso delle sigarette per le signore è una delle questioni più discusse oggi: è un male che le signore fumino? Io non credo: se hanno un marito, un padre cui non piace tale abitudine, se ne astengano per compiacenza; ma in caso diverso non parmi esse vengano meno all'educazione nè commettano cosa che debba celarsi come una colpa. Non dovranno però mai fumare in un caffè, o nella via; nè eccedere nel darsi a questo capriccio: e sempre apportarvi la grazia eletta che è la caratteristica della donna.
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Un giorno abbandonati all'inquieto corso d' una barca leggiera , quand' era il lago conturbato del più rapido ondeggiamento, sotto lo spirare del tivàno dell'Alpi, essi confidavano i liberi pensieri, i voti misteriosi d' una più lieta aspettativa, al cielo schietto e azzurro; e nell'alterna vicenda del remigare, vedevano fuggirsi a fianco le rive, i palazzi, le ville; poi, quando il vento taceva e il lago tornava quieto miravano l'acqua disotto ripetere, come un' instabile interminata scena, il bel paese; e disopra le nubi abbracciarsi e ravvolgersi sorvolando i vertici della montagna - come se l'anima arcana della natura tutta si risentisse in un'armonica commozione di vita. Un altro giorno, invece, seguivano le viottole più erte e dirupate della costiera, e su su pel monte a lungo inerpicandosi salivano con gioia selvaggia di libertà; contenti di trovarsi soli e dimenticati su le più ardue vette, di guardare di là, per ogni parte, fin dove l' occhio poteva, l'ampio orizzonte delle pianure, de' laghi, delle Alpi e del cielo, come un immenso oceano di luce e di colori - E là, tra quelle cime, sedevano su la dispersa rovina d' un casolare sfasciato dalle acque montane, o sul tronco d' un vecchio albero sradicato dal fulmine, marcito dal tempo; e sopra i loro capi non vedevano sollevarsi che qualche rado cucuzzolo di monte, con la sua veste di neve agghiacciata, o qualche rozza croce di legno, piantata nel crepaccio d'un masso, forse da un povero pastore, chi sa da quant' anni. E, più d'una volta, cercavano nuovi sentieri su' fianchi dell' alpe, dove il terreno, scemo d' umori e di fecondità, cessa d'esser ricoperto d'erba e ombreggiato di piante, dove non altro s' incontra che qualche rara segreta sorgente col suo fresco zampillo d' un fil d'acqua, o un' ampia zolla rivestita di muscosa verzura, o d' un rosato tappeto di ciclamini. E là, per que' dossi, il giovine Arnoldo andava cercando con mano paziente l'erbe più rare, le pianticelle mi- rabili e sconosciute, che pare l'aria vi cresca con più facile germoglio, solo per la pastura d'un branco errante di capre. Giacchè egli aveva messo studio e amore a quella cara scienza dell'erbe e delle piante, che ama, intende la natura, e insegna con solitaria consolazione che in ogni angolo della terra v' è una virtù misteriosa, una bellezza. Una mattina, Arnoldo e don Carlo sedevano su d'uno degli alti terrazzi della malinconica e deserta Pliniana. Il cielo era cenericcio e nebbioso; i loro pensieri sentivano di quella solenne quiete della natura, che pare più muta e mesta, qnand'è una giornata av versa della più bella stagione. Arnoldo tenevasi spiegato sulle ginocchia il suo albo, disegnando lo schizzo della veduta che gli s' apriva dinanzi - quella fuga di monti dietro un monotono velo di nebbia; lo spumoso torrente che si rovesciava da un' erta cima a fianco del vetusto palazzo; quel cielo bigio, uniforme, che gli richiamava al pensiero il cielo della patria, una delle scene della sua mesta e cara contrada, quel sacro cantuccio di terra, in cui riposavano le ossa di sua madre. Don Carlo, poco lontano da lui, meditava scrivendo sopra un foglietto, che appoggiato a un volume della Bibbia teneva fra mano. Quando Arnoldo ebbe finito il suo disegno, a' avvicinò all' amico, e gli sì mise accanto, in atto d' aspettare: ma quegli non si riscosse, e continuava a scrivere. « Che scrivete, don Carlo? » domandò Arnoldo. « Amico mio, sono pensieri che vo gettando su questa carta, tali quali m'ardono in cuore, schietti, nudi; è un ritorno innocente alla giovinezza gia passata per me, la quale non m' è più che una memoria. Che volete? Noi Italiani, noi figli di questo cielo e di questa terra, oh no! non possiamo distaccarlo dal nostro cuore l' amor della poesia, che succhiamo forse col latte delle nostre madri, che beviamo coll'aria del nostro paese.... L'armonia del cauto è la più pura voce dell' anima!... E io, vedete, qui in quest' ora di solitudine, in questo luogo sublime, sento che mi si risvegliano nel pensiero i sogni d una volta, palmi ancora d'esser giovine, italiano, poeta!... » « Oh il vostro sentire è nobile e bello! Ditemi, ve ne prego, leggetemi il vostro canto; chè anche il cuore di chi nacque di là dell' Alpi sente e batte più forte, se la parola della bellezza lo scuote. » « Deh! che volete mai ch' io pensi e scriva? Non è, ve l' ho detto, che la tarda rimembranza d' un tempo che non torna più. Ora, la mia sorte è certa e tranquilla, il mio cuore contento. Fare a' miei fratelli quel poco di bene che per me si possa, nella condizione in che mi pose la Provvidenza, questo fu il primo mio voto, e sarà l'ultimo. » « Ma come potete voi, col cuor sì caldo, con la mente fatta pura dal fuoco dell' ingegno?... » lo interruppe Arnoldo. « Dimenticate l'uomo, e non guardate in me che il po- vero prete. Io sono un nulla agli occhi del mondo, ma c'è delle anime che non mi disprezzano. Sono que' pochi miei fratelli che vedono in me il loro unico protettore; per essi, io sono il mediatore tra i travagli di questa terra e la consolazione del Signore. Io parlo loro di semplici e sublimi verità, ed essi m'ascoltano; io raccolgo la confessione della loro debolezza, e li conforto al meglio; me li veggo inginocchiati ai piedi, e fo sopra di loro il segno della croce, il segno del perdono; io battezzo i loro bambini, e seggo accanto del loro letto di morte, e le anime n' accompagno al Creatore, benedicendole.... Che altra umana felicità poss' io invidiare?... Oh! chi intende la grandezza di codesta divina missione e la compie , con quella forza che sola la fede può dare, non ha altro affetto quaggiù, non ha altro voto, se non che sia fatta la volontà del Signore sulla terra come nel cielo! » « Queste son cose sublimi; e il vostro proposito è grande, come la virtù ch' è necessaria per adempirlo. Ma io credo, amico, che il dir addio alla gloria della scienza, alla dolcezza della vita, all'onore della patria stessa, vi deva esser costato un gran sacrifizio! e forse.... » - Ma chi mi assicurava che sarei venuto in fama, che avrei trovato nella gloria il compenso della vita spesa per la sapienza? e ciò foss' anche, è poi vero che sia questa una felicità, o almeno un riposo de' nostri desiderii?... Ah! credetelo a me! io, dimenticato nella mia oscurità, vivo più contento di voi.... E la sola cosa che adesso sparga di mestizia i miei giorni è il pensiero di mia madre e di mia sorella. Povere e buone creature esse non avranno l'appoggio che di me aspettavano.... » « Ma che potreste far di più per esse? Nel tempo che siete qui, non avete già preparata loro una condizione onesta e sicura?... » « Sì; ma dovrò abbandonarle. Pochi giorni ancora, e tornerò dove mi chiama, il mio debito sacro; che già per troppo tempo ho dimenticato. Oh! Dio mi conceda ch' io possa una volta vederle tutte e due vicine a me, sotto il mio tetto, eh' io viva con loro, sì.... perchè le amo, vedete! sono i soli legami che mi uniscono alla terra; mia madre, la donna amorevole e pietosa! mia sorella, angelo di modestia e di pazienza!... » « Non v'affliggete per loro; la virtù che si nasconde è sempre felice. Su via, aprite l'animo a più lieti pensieri; e, se non esigo troppo, leggetemi quello che avete scritto stamane, ve ne prego! » Il vicecurato stette alquanto a guardar taciturno il suo giovine amico; e poi levatosi lesse: LA VOCE DELLA FEDE.
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