Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbracciai

Numero di risultati: 5 in 1 pagine

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Come devo comportarmi?

172972
Anna Vertua Gentile 1 occorrenze
  • 1901
  • Ulrico Hoepli
  • Milano
  • paraletteratura-galateo
  • UNICT
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Fu un momento terribile; abbracciai la sorellina e mi lasciai andare con essa sul fondo della barca, sbalordito dallo spavento, dal rimorso, dal dolore; tutto uno schianto di affetti. Mariuccia che mi si era avvinta al collo singhiozzando, ad un tratto rallentò la stretta, smesse di piangere e si lasciò andare bianca e inanimata che pareva morta. Cacciai un urlo disperato e chiusi gli occhi per non vedere più nulla. Un tremendo scossone mi fece credere che la fosse finita; guardai. La barchetta eta stata buttata con impeto su la riva, a pochi passi dal paese.... Mariuccia giaceva sempre in fondo alla barca bianca e inanimata! La presi fra le braccia; la portai fuori della barchetta. Intanto la gente era accorsa; tutto il paese era lì, palpitante, commosso. - Gliel'avevo detto io ! - sentii mormorare il vecchio Giacomo. - Oh il piccolo temerario ! - esclamò il curato. Mariuccia mi fu tolta dalle braccia. Camminavo come in sogno. A casa mi destarono il grido della mamma e l'aria addolorata e severa del babbo. (Cambia tono) Ah la mia sorellina!... la mia Mariuccia adorata! - Come starà adesso ? (si accosta all'uscio d'uscita e sta in ascolto). C'è gente giù a basso; sento un brusìo di passi e di voci. (Con spavento) Che Mariuccia stia male ? che sia morta?... Ah Signore Iddio! no! no! no!... fate che non sia! (con desolazione) Qualcuno sale le scale! (sta in ascollo) si ferma.... apre l'uscio! (corre per vedere) Ah! il babbo!... Babbo!... Salva?... Mariuccia è salva?... Grazie! grazie! (farà come se parlasse con alcuno di fuori) Oh lo giuro! non sarò temerario mai, mai più! (nel mezzo della scena; con espressione) Lo giuro babbo! oh stai sicuro! sono corretto per sempre!... Ah Mariuccia mia cara! (esce correndo).

Pagina 427

Donnina forte

208662
Bisi Albini, Sofia 1 occorrenze
  • 1920
  • R. Bemporad & figlio
  • Firenze
  • Paraletteratura - Ragazzi
  • UNICT
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- Io riposi quella lettera nella sua scatola da torrone, e abbracciai il mio buon Moscerino. Ella, immobile, mi lasciò fare; ma poi tutta commossa sollevò il bambino e gli disse: - Da' un bacio alla signora per me. - E i labbruzzi umidi del piccino si posarono sulla mia guancia e scoccarono un gran bacio. Uscii da quella bottega col viso rosso e portando nel cuore una contentezza che non avevo mai provato. I miei cugini, dietro i vetri, ridevano. lo dissi tra me: - poveri grulli! - e credo che in quel momento avrei avuto il coraggio di dirglielo anche sul viso. Mi accolsero tutti, meno la zia che s'era chiusa in un silenzio pieno di disprezzo, con un gran chiasso. - Ah, ah! racconta! racconta! - E Filippo mi condusse vicino a una poltrona. Io mi sedetti, mi soffiai il naso, tossii, poi dissi: - Non racconto niente! perchè non voglio che si rida di quello che per me è commovente. - E mi alzai. - Ha avuto una disillusione.... mormorò Carletto. Frattanto annunciarono che era in tavola. Mio cugino mi offerse il braccio. - Scusami, - gli dissi - c' è miss Jane. E lo piantai. *** Non so rendermi ragione del come, quella sera, a tavola, fui tanto allegra: credo, anzi d'aver fatto dello spirito, perchè mio cugino si occupò di me e si degnò di mo-strarmi il suo. - Hai fatto un gran mutamento, Conny! - mi disse. - Ho l'abito lungo, non hai veduto? E poi questa pettinatura mi dà un carattere serio, non ti pare? - Serio! non me n'ero accorto, - mi rispose ridendo, e aggiunse piano: - M' ero accorto, però, che sei diventata una bella signorina. - Ah, ah! e poi?... ho una passione per i complimenti, lo sai! Dimmene un altro, Carletto, ti prego. - Che tu dici spesso delle cose serie, profonde ma con una cert' aria birichina, e quella tua parola a scoppiettii.... che è originalissima! Davvero! è dunque per questo che quando esprimo una mia opinione, la gente ride e non dice mai: " Brava! tu hai ragione! - È doloroso, sai? Dopo pranzo, sdraiato sul sofà, là di contro a me, Carletto mi guardava con insistenza attraverso il fumo della sigaretta; con tanta insistenza, ch' io saltavo per l' inquietudine sulla seggiola. A un tratto, stufata, mi alzai, e andai a piantarmi dinanzi a lui: - A che specie d'animali appartengo - Uh! - esclamarono tutti. - Ma Conny! - disse ridendo il babbo. - Shoking! Shoking! - esclamò tra i denti miss ,Jane arrossendo. - Sei un bell' originale! ecco cosa sei! - esclamò mio cugino prendendomi tutt' e due le mani. lo mi svincolai. - Non pensi che queste mani hanno strette quelle della fruttaiola? - Oh! e non te le sei lavate dopo? - e si fiutò le sue mani bianche e profumate. - Ah! guarda cosa faccio io invece! - e mi baciai le mie. La zia prese un'aria desolata: l' Elisa arricciò il suo naso petulante e lasciò sfuggire, con un sorriso di compassione, il fumo della sigaretta che avvolse il suo bel visetto. - Oh, che esagerazioni! esclamò. - Quando Carletto smetterà le sue, io smetterò le mie! - risposi, e mi sedetti, pigliando di sul tavolino Il Corriere della Sera. Mio cugino venne a levarmelo di mano. - Manda Giacomo giù in istrada a comprare il Secolo, - disse. - Oh Carletto, no! - esclamai affer- randogli la mano che teneva il giornale. - Vedi! non c' intendiamo! Io non mi vergogno d'esser nobile: sono fiera anzi della mia nobiltà, tanto più che il babbo sa tener così alto il nostro nome. In fatto di politica, se è permesso a una signorina d'aver un' opinione, professo le idee del babbo; ma questo non vuol dire che io debba vergognarmi d'aver frequentato le scuole pubbliche, e di salutare le mie compagne, perchè sono figlie di bottegai. I partiti esclusivi, lo dice anche il babbo, sono quasi sempre ingiusti, perchè le cose di questo mondo sono così confuse, che spesso le più cattive hanno un lato buono e le buone qualche difetto.... - Ma che sciocca, non è vero ? volevo persuader lui, il più aristocratico di tutti i giovanotti di Milano! lui, che aveva sempre trattato le mie idee con tanto disprezzo! Ma perchè non mi rispondeva? e mi guardava fisso in quel modo strano che mi toglie il respiro? Quegli occhi son troppo belli: quello sguardo par che entri fin nell' anima. Parlai ancora, ma non so che cosa dissi: a un tratto, per cercar di liberarmi da quell' oppressione, diedi in una risata. Ah! ah! ha ragione Elisa, ti pare? Una fanciulla più pedante e pesante di me non c' è in tutta Milano! - Egli si volse a cercar una seggiolina bassa e venne a sedersi davanti a me: aveva in tutta la fisonomia un'aria grave che non gli avevo mai veduto. - Sai, - mi disse lentamente e a voce sommessa - che tu confonderesti l'uomo più eloquente e spiritoso del mondo? - Ah, davvero? il che vuol dire, in altre parole, che ho confuso il mio signor cugino Gian Carlo dei marchesi *** ! Oh non c' è bisogno di ringraziamenti: non ho fatto che interpretare la tua frase. - Sei terribile! - Si? - E terribilmente bella. - Ah, questo!... - e mi sentii offesa per davvero. Egli mi sporse uno specchietto che aveva in un taschino. - Guarda che occhi! - Mi guardai: sono grandi e ombreggiati dalle ciglia nerissime e lunghe.... ma sono grigi! - Occhi di gatto! - esclamai. - Sono gli occhi più brillanti, più fieri più profondi, più réveurs.... C' è tutto qui dentro! - E mi guardava fisso fisso. Aveva i gomiti sulle ginocchia e colle mani arrotolava una sigaretta, ne sono ben sicura: pure, quando disse quel: "Qui dentro! - provai una sensazione strana, come se una sua mano si fosse posata sui miei occhi, e senza volerlo, le mie palpebre si chiusero e mi tirai indietro. - Oh, ti prego, Cadetto!... sai che mi sono odiosi i complimenti. - E mi alzai. - Oh, ti prego, Conny, sai che tuo cugino dice sempre e solo, quello che pensa: e che quando c' è stata l'occasione non ha fatto mai complimenti con te.... - Era vero, ma risposi invece: - Non so niente io! quello che so è che tu sei un giovanotto brillante e annoiato, di quelli a cui non si può credere. - E corsi ridendo a sedermi vicino all' Elisa. - Questa è troppo forte! - esclamò, e mi seguì colla sua seggiolina pieghevole. - Birichina! fuori! una confessione! Che cosa pensi di me? - Probabilmente quello che pensano tutte le altre signore - rispose sorridendo l' Elisa. - Ma sai che la Conny.... - Ha lo spirito di contraddizione - interruppi io. - Abbi dunque misericordia di te. - Oh parla pure! san preparato a tutto. So già che la Conny si lascia sempre trasportare dalla passione.... ella che crede d' essere la più ragionevole e calma signorina del mondo! Oh, non spalancar gli occhi a quel modo!... - e mi prese le mani. - un fatto, che tu sentenzi alla prima occhiata che il tale non è buono a nulla o è buono a tutto. - Ma no! - esclamai sorpresa. - Oh, di' che non è vero, se ne hai il coraggio! - aggiunse l' Elisa, ridendo di quel suo riso squillante di bambina. - Lo dico a Gian Carlo, veh!... Senti: ella non ha ancora, si può dire, avvicinato un giovane, non conosce che quelli dei romanzi inglesi, ma ha già dichiarato che siete tutti altrettanti sciocchi.... ha, ha! dei piccoli spiriti, vuoti di tutto fuorchè di amor proprio: che non v' occupate che di cavalli, frivolezze, eccetera, eccetera! Ma ti pare?! - E rise ancora. lo ero diventata di fuoco. - Si; è vero, è vero. - Lo dici con tanta serietà? - chiese Carletto. - Ah, ah! la donnina forte! la fanciulla superiore!... quella che desta i partiti esclusivi! Eccola che giudica di colpo e dà le sue sentenze più delle signore a cui ella rimprovera la maldicenza. - Non è vero! - Zitto! lasciami finire.... E non rifletti su tutte le circostanze, e non capisci che il più delle volte quel che ti colpisce come frivolo, studiato bene ha il suo scopo serio. Eliminar della vita tutto ciò che è gaio vorrebbe dire spogliarlo d'ogni poesia. Ma.... - Gian Carlo ha ragione. - Che c' è! mio marito che dà torto alla Conny - esclamò con sorriso l'Elisa, sollevando il suo visino color di rosa. - E ragione a me! questa è più strana ancora! - aggiunse ridendo Carletto. - Ma va' avanti; - disse Filippo - - ero curioso di sentire che cosa volevi dire con quel ma. - Che ma! Davvero non so più che cosa stavo dicendo. - Se non ho capito male, volevi dire alla Conny che quel che la abbaglia e desta la sua ammirazione, non ha spesso altro movente che qualche desiderio ambizioso o cattivo. Non volevi dir questo? - Veramente volevo dire il contrario, ma è lo stesso, - rispose Carletto con un' aria seccata. Io ero confusa, credo per la prina volta; non sapevo più come rispondere, e l'avevo con Carletto: soprattutto con que' suoi occhi che mi guardavano sempre. - Conny! ti sei lasciata sopraffare? - mi dimandò Filippo. Io non potei rispondere, perchè mi prese un colpo di tosse. - Scusate, - dissi poi ridendo - ci avevo qui tanto dispetto, che ho dovuto tossire se no mi soffocava. Ora è passato. Dunque? parlo chiaro anch'io? È verissimo che non vedevo in voialtri, profumati ed eleganti, che tanti ragazzi leggieri e vuoti. - Ma perchè Carletto sorrise con tanta dolcezza? - Vedevo! - esclamò Filippo. - È già un gran passo! Gian Carlo ringraziala! - Che! ho detto vedevo? No, no: vedo! vedo! - e abbassai lo sguardo con un sorriso di compassione a quel colletto che gI' infilzava il mento, giù giù, fino alla calza di seta azzurra e alla scarpetta lucida. - Che petulante! - esclamò Carletto con un sorriso: ma in verità punto sul serio. - Tu non puoi negare - gli dissi - che la maggior parte de' tuoi compagni sono dei poveri grulli. Li ho visti e li ho sentiti abbastanza anche quelli che si danno delle arie tanto gravi, da parer che dispensin parcamente il loro spirito. Il Sanmarano informi.... L' Elisa spalancò tanto d' occhi. - Vorresti dire che non è simpatico? che è un grullo, lui! - esclamò. - Oh, è allegro, lo ammetto;... è disinvolto: è l'anima della società: quando lui non c' è, la serata è morta. Manca il direttore del cotillon e delle quadriglie: mancano i bons mots.... non è vero, Elisa? - Sei insopportabile, Conny, questa sera! - disse ella, indispettita sul serio. Suo marito rideva. - Già! hai imparato da Filippo a far l'originale per progetto!... Ma che cosa te ne pare. Gian Carlo? Trovar da ridire persino sul Sanmarano che è uno dei giovani più ammodo della nostra società! - Ammodo! esclamai. - Ci vuol così poco per essere ammodo al giorno d'oggi? Basta occuparsi molto di cavalli e essere molto annoiato di tutto il resto. Basta allungarsi con indolenza sul canapè; mandar in aria con grazia il fumo della sigaretta.... accavallar le gambe e mettere in mostra le scarpette lucide e le calze di seta? In quella vidi dondolare davanti a me il piede di Carletto e tacqui arrossendo. Ma egli mi disse con quel suo bellissimo sorriso: - Avanti, avanti, Conny! - Ho finito - risposi. - Ma! - esclamò Filippo. - Hai dimenticato che un giovane ammodo deve avere anche certe risatine improvvise, e certi improvvisi silenzi che turbano e fanno pensare, e certe lunghe occhiate insultanti, scusate! volevo dire insinuanti, e parlar a enimmi, a giochi di parole.... e la sua parola deve scoppiettare e scintillare come un razzo.... - Ma Filippo, Filippo! - supplicò l' Elisa. - .... di un fuoco d'artifizio. Un giovane serio e timido che si siede ritto su una sedia e fa un discorso pieno di buon senso, quello non è ammodo, e vi fa l'effetto d'una doccia d'acqua gelata: non è forse vero Elisa? - Io battei le mani ridendo. Mia cugina si alzò indignata: Carletto, con una gamba sopra l'altra, si dondolava mandando in aria con grazia il fumo della sigaretta. È un orrore! - esclamò l' Elisa. - Credete di far dello spirito, e non capite che vi rendete ridicoli col vostro puritanismo. È un'affettazione!... Dammi un po' di fuoco, Carletto.... - e si chinò su lui ad accendere la sigaretta. - Di un gio-vane disinvolto e spigliato che accavalla le gambe perchè così gli piace, voi me ne avete fatto uno sciocco, tutto affettazioni e tutto pose! Dio mio! ora non si bada più a certe stupide etichette! - Carletto rideva con indolenza. - Mi piace di veder con che calore te la pigli! Si direbbe che tu sia un giovane ammodo. Impara da me, cara Elisa: non vedi come son tranquillo? Ho visto partire la sassata e sono rimasto fermo al mio posto. - Filippo se n'andò nell'altro angolo della sala a discorrere con miss Jane. - M' ha fatto dispetto, ecco! - conti-nuò l' Elisa stizzita come una bambina. - Per me, lo confesso un giovane come il suo giovane ammodo mi piace! Lo trovo franco, svelto: sono sicura che il suo carattere è pieno di slancio e di sincerità. Mi par che tutti dovrebbero essere così, in questi tempi di libertà. Sbaglio? ma un giovane come quella doccia di Filippo...! - Ah, ah! quella doccia! - esclamò Carletto. - Non t' è parso di veder il Rinaldi col suo fare stecchito? - È vero! - rispose l' Elisa. - Conny, ammetterai almeno che il Rinaldi è terribilmente pesante! - Ha però un bel carattere - dissi. - Che cosa importa, quando non sa essere piacevole? - Mi pare che sia un gentiluomo per- fetto, Elisa! Per me t'assicuro che preferisco mille volte Rinaldi al Sanmarano. Con Sanmarano ci si diverte forse per dieci minuti, ma non interessa punto. In ogni suo discorso c' entra l'io, e questo benedetto io dice e fa le più strane cose; tutte le avventure più curiose accadono a lui, egli sa sempre tutte le novità più palpitanti come dice la zia. È un uomo fortunato, via! - Carletto si mise a ridere. - Non gli si può negare, - disse - che non abbia un' immaginazione fervidissima e una loquacità sorprendente. Ho una gran paura, però, che quelle storielle abbiano già fatto il giro del Fliegende Blätter e del Mondo umoristico. - E quelle freddure che una non aspetta l'altra! Mi par che delle parole succeda nella sua testa come dei bussolotti nelle mani di un prestidigitatore. Voi gli date un anello ed egli vi restituisce un ovo. È una cosa che stupisce e che fa ridere, non c' è che dire! Conclusione, - aggiunse Filippo riavvicinandosi - egli è un amabile chiacchierone, che tutti accolgono con festa e colmano di cortesie. - Non tutti, non tutti; - corressi io sorridendo - vi è chi rimpiange che il coraggio di trovar un secondo fine a una buona azione ci sia sempre, ma non quello di svergognare uno sciocco orgoglioso. - Elisa, allungata in una poltrona, disse con aria stanca: - Come si capisce benino che stai molto con mio marito. Hai preso tutto il suo fare di predicatore. - Davvero? me ne vanto! - esclamai allegramente, e corsi a fare il tè. In quella Carletto si alzò, dicendo che aveva un appuntamento al Club e salutò tutti: poi si avvicinò a me, ch' ero ritta accanto alla tavola, poco lontana dall' uscio. - Non pigli una tazza di tè ? - gli dissi. Grazie; no, - mi rispose serio, troppo serio e mi stese la mano senza parlare, guardandomi fisso negli occhi, con un' espressione strana. - Buona sera - dissi un po' confusa. Egli s' inchinò, fece un passo verso l' uscio, poi tornò; mi prese di nuovo la mano e disse a voce bassa, serio, quasi severo: - Conny, tu sei ancora una bambina. Non t'offendere.... Aspetta a giudicare la società: vivi ancora un pochino. Di qui a qualche anno ci riparleremo: allora le tue teorie saranno meno contraddicenti: allora mi dirai che i partiti eclusivi sono ingiusti, ma mi mostrerai anche col fatto che sai quello che dici. Allora ti sarai persuasa cara Conny, che a questo mondo non c' è nessuno che sia buono sotto tutti i rapporti, nè completamente cattivo. Credimi: serietà e leggerezza sono confuse più o meno insieme, e spesso le debolezze e i piccoli difetti non sono che una nebbia che nascondono le grandi e belle qualità. Mi credi?... lo tentai di parlare, ma non ci riuscii: un senso indefinito di soggezione m' invase tutta. Soggezione di mio cugino Carletto? di lui al quale avevo parlato con tanta arditezza, e che avevo guardato anche un momento prima con tanto disprezzo! No, no: sollevai la testa, sorrisi: ma le labbra mi tremavano e non potei staccare gli occhi dalla sua cravatta. - Mi credi? - ripetè egli con quella sua voce lenta, sommessa e dolce. Il suo alito caldo mi passava sulla fronte: la sua mano morbida stringeva la mia. Un brivido mi corse da capo a piedi. - Si, si! mi pareva che mi si ripetesse in fondo all' anima. Ma alzai gli occhi, li fissai in quelli di lui.... - No, - risposi, e risi: ma la risata mi si strozzò in gola. ............... Quando presentai la tazza di tè a Filippo, non lo guardai, ma sentivo fissi su me quei suoi occhi rotondi e sporgenti. - Conny, lascia che veda, - mi disse. - Che cosa - dimandai alzando la testa. - Ho già visto - mi rispose. - Ma che? non capisco, Filippo. - Il primo sintomo di una malattia: ma non mi spavento: sei robusta, sei forte. Son di quelle malattie che risanano una costituzione come la tua. - Tentai di sorridere. - Ma se sto bellone! l'assicuro! - Davvero? sei proprio la Conny di cinque minuti fa? calma, allegra.... - Ma si, Filippo; sono sempre la sua donnina forte! - E sollevai il viso; ma vidi nello specchio di contro ch' esso era pallido di inquietudine. *** La sera di Santo Stefano l' Elisa doveva passare a prendermi colla carrozza per andare alla Scala. Perchè ero così inquieta e mi occupavo tanto di quella benedetta camelia bianca che mi faceva un corno sulla testa? Non ero io la Conny? la famosa Conny che ha suscitato, - me lo ha detto la zia - una discussione in casa T*** per decidere se sia coquette o ingenua: se nel suo modo di vestire semplice e severo ci sia dello studio e una posa di classicismo, o invece mancanza di vanità? Davvero, che se dovessi rispondere io, sarei un pochino imbarazzata. Vanità? Che cos'è? Mi par che in questo caso s' intenda una puerile preoccupazione di ornarsi di fronzoli; la parola stessa lo dice, e un ricorrere a cose vuote e leggiere per piacere altrui. No, no, io non sono vanitosa. Quando mi vesto io non penso agli altri: non faccio che contentare il mio occhio, e siccome a me piacciono i contorni decisi, le linee nette, non ho mai sopra di me nè tulle, nè nastri. Certe testoline tutte fiori e spilloni, mi han qualcosa di raffazzonato, di non ben definito che (sono io forse un'originale) mi fa dubitare del carattere della signora. È barocco infine, e il barocco in arte non mi piace. Sentii una scampanellata. - She here is - e miss Jane mi buttò sulle spalle il mantello. Sull'uscio m' incontrai in Carletto; come fui sciocca di arrossire! - Addio, Conny, - mi disse respirando a fatica per la corsa fatta su per le scale: il suo viso era pallido e negli occhi grandi, castani e profondi, v'era un velo di tristezza. È un fatto ch'egli è uno dei più bei giovani ch' io conosca: in quella sera la sua testa piccola e bionda risaltava stupendamente su quel largo bavero di lontra. M'offerse il braccio senza parlare, e scendemmo. - Sei troppo gentile, dissi tentando di dar alla mia voce un tono di ironia. - Incomodarsi per una signorina! Egli si volse a guardarmi, poi posò la mano sulla mia ch'era appoggiata al suo braccio, e disse con un suono di voce che mi turbò: - Conny, io mi sono riconciliato colla signorina; ora tu, buona e intelligente, non devi ostinarti, per puntiglio, nella tua.... via! nella tua antipatia per il giovane.... ammodo. Ma in quella la vocina allegra dell' Elisa l' interruppe. - Siete qui? che cosa hai detto, Conny? - Non è strano...? - continuò mentre salivo in carrozza - Gian Carlo che di solito se ne sta al caffè Cova ad aspettarci, e viene per compiacenza nell'atrio del teatro quando ci vede arrivare.... - e rideva. Sprofondata nell'angolo oscuro della carrozza, io vedevo brillare davanti a me gli occhi di Carletto, che cercavano i miei. Si entrò al teatro: lo spettacolo era già incominciato e la musica assorbi tutta la mia attenzione: non vedevo e non sentivo altro; nemmeno le chiacchiere incensanti di mia cugina. Quando l' atto finì, battei le mani. - Cara Conny, non usa più di star così attente allo spettacolo, - disse l'Elisa ridendo. - Lo so; ma sai che io non bado a ciò che usa. Sono venuta in teatro per il Don Carlo, non.... - Per don Carletto? - domandò il conte Rinaldi con la sua imperturbabile serietà, e si alzò per salutarmi. Non l' avevo veduto nè sentito entrare. Mia cugina rise: e Carletto mi guardò con un' espressione seria. Io arrossii, ma dissi stendendo la mano al Rinaldi: - Oh! non per don Carletto. - In quel punto mi sentii fissata, e mi voltai istintivamente. Era una signorina nel palco di casa Borromeo la quale abbassò subito il canocchiale, e due grandi occhi neri si fissarono ne' miei con un' espressione cupa e nello stesso tempo così fredda, che mi strinse il cuore. Era bruna, pallida, bellissima: vestiva un abito di crespo bianco scollato senz'altro ornamento che una crocetta d' oro ap-pesa a una catenella. Mi domandai perchè aveva quella posizione strana; pareva che colle spalle si puntasse allo schienale della sedia: il suo seno si sollevava e s'abbassava, e le braccia allungate, colle mani unite che tenevano stretto il binoccolo, sembravano rigide come di marmo. - Carletto, - dissi - chi c' è nel palco di casa Borromeo? - Non li conosco - mi rispose senza guardare, e stava per avviare un discorso con Rinaidi, ma questi disse forte rispondendo alla domanda fatta da me a mio cugino: - È la signorina De Lami con sua madre e suo fratello. - Ah, è vero! - disse Carletto - non li avevo riconosciuti. - I De Lami di Piacenza? - chiesi io. - Sì, - mi rispose il Rinaldi - ma da poco più di un anno stabiliti a Milano, perchè vi hanno qui la figliuola maggiore che ha sposato il Marenzi. - È quella bella signorina di cui tu, Elisa, mi hai parlato con tanto entusiasmo quest' estate? - Io?... è vero; ma ha un' espressione antipatica. C' è qualcosa di maligno in quegli occhi scuri, non è vero Rinaldi? - Non mi pare - rispose egli serio. - Ci trovo solo una grande alterezza, - dissi io. - Gira intorno gli occhi in un modo che par che dica: " Mi degno !... - Ma nello stesso tempo più la guardo, e più mi piace. Sai che effetto mi fa? che abbia un gran dolore e che voglia nasconderlo. - Carletto si alzò ridendo. - Badate, Rinaldi! - esclamò - mia cugina vede romanzi dappertutto. Dimandatele che cosa pensa di voi: sentirete che intreccio! - Poi s' inchinò ed aggiunse: - Se permettete, vado a far una visitina a donna Giulia, - e usci ridendo sempre. Sul viso lungo e sbiadito del conte Rinaldi non apparve un sorriso, e disse lentamente, con serietà: - Questa volta io credo che donna Conny abbia ragione. La signorina De Lami pare anche a me una bella statua del dolore. Ah, ah! mi fate ridere! - esclamò l' Elisa allegramente. - Peccato che Gian Carlo sia andato via: lui vi può dire com'è simpatica la vostra signorina De Lami! E poi bisogna esser ciechi, caro Rinaldi. Mi pare che le si veda chiaro negli occhi ch' ella ha un' anima cattiva. Gian Carlo mi diceva che di tutte le cose ella vede subito il lato brutto. Guarda Conny come è pettinata male la Maria. Dunque dicevo che piglia tutto in cattiva parte, e vede in ogni azione un secondo fine: insomma è invidiosa e permalosa peggio di una zittellona. - Ella la conosce intimamente, contessa? - dimandò il Rinaldi. Mi trovai coi De Lami la scorsa estate a San Bernardino, e quindi posso dire di conoscerla appena di vista, ma mio fratello è amico dei Marenzi, e credo che abbia conosciuto in casa loro la signorina De Lami, la quale è sorella di Lucia Marenzi. - Oh! Carletto ha frequentato molto anche la casa della signorina.... - replicò il Rinaldi. Davvero che quel suo tono di voce sempre uguale, e quel suo viso freddo e immobile, cominciava a irritarmi anche me. Ella mi diede un' occhiata che voleva dire: - Dio mio: com' è pedante! - Ma intanto entrò il tenente Alfieri, e il Rinaldi venne a sedersi vicino a me. Cominciò il secondo atto: i miei occhi si fissarono sulla scena, e per quanto mi sforzassi non riuscii a concentrare la mia attenzione nella musica. Vedevo laggiù il viso pallido e severo della signorina De Lami, poi fra mia cugina e il tenente s'era intavolata una di quelle conversazioni leggiere, maldicenti e pettegole, che mi seccano tanto e mi metton i nervi sottosopra. Mi par una viltà indegna di persone che pretendono di essere educate e oneste. Mia cugina è di quelle che giudicano in bene o in male secondo ciò che sentono raccontare o riferire in società, fra un piccolo gruppo di conoscenti, e non pensano che quasi sempre il male che si dice è una calunnia, o, per lo meno, un' esagerazione. lo mi misi a discorrere col conte Rinaldi. Egli non è punto bello, è troppo alto e troppo angoloso. La sua lunga figura, quando appare nel vano di un uscio, mi par un ritratto antico nella sua cornice: e, non so perchè, quando l' ho vicino mi par di sentire quell'odore di carte vecchie e di muffa che c'è nella nostra biblioteca di campagna. Io credo ch' egli viva fuori di questo mondo, in un mondo tutto ideale; è un originale, e forse, anzi, certo per questo, mi piace. Parla poco e lento, ma la sua parola è sempre gentile, convincente e utile come dice ridendo l'Elisa. È letterato e archeologo, e scrive qualche volta dei serii articoli nella Nuova Antologia o nella Rassegna Nazionale che tutte le signore leggono, ma non capiscono, e di cui, naturalmente, gli fanno le congratulazioni e gli elogi più intelligenti. Il suo babbo è membro della Consulta Archeologica, non c' è da stupirsi quindi ch' io abbia una spruzzatura storico-artistica nella mia testa, che mi vien buona nelle mie conversazioni col conte Rinaldi. Ho detto conversazioni, ma veramente, io, così chiacchierona nell' intimità, in società parlo pochissimo, ed è uno de' miei più grandi piaceri quello di trovarmi a quattr' occhi con chi ne sa più di me per poter ascoltare senza che nessuno interrompa, e abbandonarmi al godimento d' imparar cose nuove, e molte volte anche a quello, un po' maligno, di scrutare e tentar di toccare il fondo alla coltura degli altri. Ma non era a quella di Rinaldi che si potesse veder facilmente il fondo. Quella sera egli era insolitamente eloquente, e descrivendomi certi oggetti scoperti negli scavi delle antiche mura di Milano m' interessò tanto da farmi dimenticare la musica. Ma a un tratto s' interruppe chiedendone scusa. - Lei ascolta in un modo da dar l' illusione che si stia raccontandole cose molto interessanti - disse inchinandosi senza guardarmi. lo l' assicurai che m' aveva realmente divertita ed egli rispose sempre senza guardarmi: - Che ella sia una signorina un po' diversa dalle altre è facile a capirsi, ma che si debba divertire a questi studi, via, sarebbe troppo.... originale. - Non me Io ripeta, conte, perchè forse sarebbe il modo d' invogliarmi a mettermici sul serio, sa? - Egli alzò gli occhi finalmente, e disse colla voce più piana: - Se fosse vero, che si potesse avere ancora la dama colta e seria! l' antica gentildonna che ha l' orgoglio della propria onestà e del proprio nome, che mette la famiglia e gli studi avanti a tutto, e riunisce intorno al marito e ai figliuoli tutto ciò che la coltura, la cortesia, l'onestà, ha di più eletto! Di queste signore - aggiunse - io ne ho trovate parecchie in provincia: ne conosco a Ferrara, a Ravenna, a Bologna, a Perugia, nel Friuli... Ma nelle grandi città com' è difficile d' incontrarne! La signora è portata via, di voglia o controvoglia, dal turbine delle occupazioni mondane, e non ha più tempo di esser seria. - E meno egoista.... - dissi io ridendo. - Da noi le signore si prodigano e non hanno tempo di pensare a sè. Bisogna aver pietà di loro, conte. - In quel frattempo mia cugina si alzò. - Aspetta un momento, - disse Carletto ch' era rientrato in quel punto. - Conny desidera certo di rimanere sino alla fine. - Oh no, andiamo, andiamo pure - risposi. Mentre Carletto mi metteva sulle spalle il mantello, vidi che nel palco di casa Borromeo non c' era più nessuno. - Vorrei incontrarmi sulle scale con lei - pensai, e uscimmo. Arrivate nel corridoio della prima fila vidi venire verso di noi la signorina. Alta, portava la testa con fierezza, e dietro a lei una signora attempata camminava adagio, sostenuta da un giovinotto. Mio cugino, che mi dava il braccio, si fermò bruscamente, voltandosi a dimandare a sua sorella se voleva passare dal Cova per prendere un tè. lo guardavo la famiglia De Lami. Vidi il giovane rialzare la fronte, e sopra le nostre teste, passò, come una palla di fucile, il lampo orgoglioso dei suoi grandi occhi neri. La signorina ci passò dinanzi e scese lentamente cogli occhi fissi avanti a sè, bianca e fredda come una statua di marmo. Mi voltai al conte Rinaldi che mi era vicino e gli dissi piano: - Forse hanno ragione i miei cugini. C'è in lei qualcosa che allontana. Non le pare? - No: mi pare invece che dovrebbe avere tutta la simpatia di una persona come lei. - Perchè? - Non so se Rinaldi rispose: un senso indefinibile di tristezza m' invase all' improvviso; Carletto a cui davo il braccio, chiacchierava con sua sorella e col tenente, ma sentivo il suo braccio avvicinarsi sempre più al suo petto e mi sembrò di sentir battere il suo cuore sotto la mia mano. Un momento che fummo sospinti dalla folla nell'atrio, la sua mano carezzò la mia, e la sua voce mi chiese sommesso, con un' inflessione dolcissima come se dicesse parole affettuose: - Sei stanca ? - Le idee mi turbinarono, e il cuore, non so perchè, mi battè con violenza. Feci cenno di no, senza guardarlo. Si arrivò alla carrozza, io salii e mia cugina dopo di me. Carletto si scusò, dolente di non poterci accompagnare. - Ma dove hai la testa, Conny? mi disse l' Elisa. - Non senti che il Rinaldi ti saluta?- lo sporsi la mano dallo sportello e soltanto quando me la sentii stretta dalla mano lunga e magra del conte, mi riscossi e mi risvegliai come se avessi sognato. *** Non ho mai capito perché Filippo abbia sposata mia cugina Elisa. Lui ha cinquant'anni e lei trenta: lui è brutto e lei bellissima. Lui ama.... veramente non so che cosa ami: fa insomma una vita quieta, regolata: la casa e il Cova: il Cova e la casa: la Perseveranza e la Revue de deux Mondes, la Revue e la Perseveranza, e sempre così. Cioè, mi dimenticavo di mettere, dopo il Cova, la mia poltroncina rossa. Lei è elegantissima, vivacissima, e per star bene, dice, ha bisogno di moto, di visite, di teatri e di balli. Marito e moglie non si vedono dunque che a tavola. Ma è ammodo anche questo, lo sapete. Dunque Filippo viene spesso da me: soprattutto quando il babbo è a Roma. Egli.... ha! ecco trovato chi ama! Ama me! in un modo un po' brusco, ma che, forse appunto per questo, mi piace, mi commove e m' ispira tutta la fiducia. Credo che abbia ragione l' Elisa, la quale dice che un po' del mio carattere sincero.... e del mio fare franco I' ho preso da lui; il mondo lo conosco perchè lui me l' ha descritto, e siccome lui, in fatto di società, è molto scettico, io... ma voi sapete già come la penso io. Filippo dice che non c' è nessun angolo di salotto più simpatico e comodo del mio: ed io ogni tanto gli facevo la sorpresa di una nuova comodità: oggi era il tavolino da fumare accanto alla sua poltroncina rossa: domani era un paralume, un' altra volta un libro uscito di fresco. Le prime volte quasi si offendeva : mi diceva che lo avvezzavo male, che lui voleva servir me e non esser servito, che lui è de' tempi passati, quando era una villania il fumar sul viso alle signore e lo sdraiarsi nelle poltrone.... Da due settimane non lo vedevo. Una mattina, verso mezzogiorno, egli entrò nel mio salotto: io mi ero appena alzata, perchè avevo ballato tutta la notte in casa S***. Non so perché rimasi confusa a vederlo e non trovassi modo di avviare un discorso. Egli fece i suoi inchini forse con maggior gravità del solito: aspettò che gli dicessi di sedere, ringraziò, si sedette e mi fece i suoi complimenti per il furore che avevo destato in casa S***. Glielo aveva detto sua moglie, e un amico che aveva trovato quella mattina al caffè Cova. Ma ad un tratto mi domandò: - Sei in collera Conny? - In collera! no; - risposi - perché dovrei essere in collera? - e sorrisi. - Davvero?... È però molto tempo che non ci vediamo: lo sai? - Oh certo! ma di chi è la colpa se non di chi non viene a trovarmi? - Egli si chinò per guardarmi negli occhi. Perché io non li alzai, non gli lasciai leggere che cosa passava nel mio sguardo? - Senti, cara ragazza: parliamo un pochino sul serio, eh? Abbiamo forse finora parlato per ridere? - Egli mi prese una mano: - Conny, Conny: non tentar di scherzare quando non ne hai voglia! Tu non sei buona di fingere. Mi vuoi ascoltare? - Ma si figuri! - Vi fu un momento di silenzio. Conny, - disse finalmente - il tuo babbo è lontano, ed io mi credo quasi in dovere di pigliare il suo posto: io, il solo, ricordatelo! il solo e vero amico che tu abbia. Oh, ti prego, non buttarti anche tu in quella vita leggiera che ha per iscopo gli abbigliamenti e le feste. È un pericolo, sai! Una donna è raro che si conservi buona in società. Si vede ammirata, corteggiata e finisce per concentrar tutto in sè, per non occuparsi che di sè, e la sua mente si rimpiccolisce e il suo cuore si raffredda. - Oh, a me pare che saprò essere sempre buona, Filippo! - dissi. - Eh, eh! sicura come sarai di piacere, non penserai ad amare. La tua bellezza e i tuoi successi ti terranno luogo di tutte le gioie più sante e più care! - Io sollevai la testa: tutto il sangue m' era salito al viso. - Filippo! - dissi con una voce che tremava di sdegno e di dolore. - La mia vita tranquilla fra il babbo e lei, in mezzo ai miei libri, è stata troppo bella perchè io vi voglia rinunciare. Voi mi avete detto e ripetuto troppo che sono buona, che sono colta, che sono una donnina forte, perchè io lo possa dimenticare, per il piacere di sentirmi dire che sono bella! Lei poi, Filippo, ha fatto di tutto per instillar qui dentro delle idee sode e serie, e un briciolo di quel buon senso che in tanti casi della vita, dicono, val più dell' ingegno.... Filippo, Filippo! se c' è una persona che non deve dubitare di me, è lei! - mi copersi il viso colle mani dando in uno scoppio di pianto. Vi fu un po' di silenzio: la mano larga di Filippo passò e ripassò sulla mia testa, e finalmente mi disse colla voce tremante: - Guarda, figliuola! non puoi credere che piacere è per me questo tuo scoppio di sdegno. Mi fidavo di te: sapevo che nessuno al mondo avrebbe potuto mutare quel tuo cuore così lealmente buono: ma avevo bisogno che tu me lo dicessi: e se t' ho offesa è stato per provocare questo sfogo più che per altro, Conny. Per te io metterei la mano sul fuoco: ma non vorrei che tu, per esser brava, dovessi soffrire e far sacrifici. Vorrei vederti amata come lo meriti, da un uomo serio, buono, che conoscesse tutta la tua anima come la conosciamo tuo padre ed io.... Tu, cara Conny col tuo spirito d'osservazione e la tua superiorità, riesci sempre a scoprire tutte le debolezze delle persone che ti circondano: ma sei ancora troppo giovane, e il tuo cuore è troppo buono e la tua mente è troppo serena, perchè tu non possa nemmeno sospettare certe colpe e certe ipocrisie. Povera la mia donnina! tu mi guardi spaventata.... Oh, ma verrà pur troppo il giorno in cui conoscerai che cos' è la società, e diventerai scettica anche tu. - Si alzò. Io singhiozzai. - Le mie parole ti hanno fatto male figliuola, - mi disse accarezzandomi i capelli - ma ti faranno pensare, ed è quello ch' io voglio. Non t' ho detto tutto, ma tu capirai anche quello che ho taciuto.... Oh, credi! è bene che una parola seria venga a scotere in mezzo agli svaghi e alle emozioni dei giorni felici.... - Quando alzai la testa ero sola nel mio salotto. Provai come uno spavento.... - Oh, si: è bene: ma è però doloroso! - esclamai con un singhiozzo. *** C' era stato l'ultimo ballo di carnevale, m'ero alzata tardi, stavo pensando che cosa avrei dovuto fare in quella giornata, quando entrò mia cugina. - Buon giorno Conny, come stai ? Sei Stanca ? Dio mio, che freddo! - Tirò una poltrona vicino alla bocca del calorifero e vi si rannicchiò mettendosi il manicotto sul viso. - Sono venuta a piedi, lo sai? Che gelo! - e picchiava i piedi sul pavimento. - Pensa! il mio cocchiere stanotte s' è pigliato un raffreddore! Dica quel che vuole mio marito, ma un cocchiere che ha il petto delicato più di una signora io non lo tengo! - Gli hai detto di venire a prenderci alle tre, e invece siam rimaste fino alle sei. Ne avrà certo pigliato del freddo! - dissi io. - Non si va a fare il cocchiere quando non si può sopportarlo. Ma vuoi ridere, Conny?... Figurati che Filippo avrebbe voluto che si mettesse la pelliccia come il servitore! Il cocchiere che è stato là sotto la pioggia tutte quelle ore. Dio sa come l'avrebbe conciata! " O tutt' e due o nessuno; - mi diceva. Lui non pensa che Gaetano deve venir nell' anticamera ad accompagnarci e a prenderci. Che bella figura avrebbe fatto senza pelliccia, in mezzo alle stupende pellegrine di martora di casa Turati e di casa Ponti! - Ah! ma vedi, Elisa! Filippo ha delle ingenuità strane: lui credeva che le pellicce fossero fatte per tener caldo, e che il cocchiere, che doveva star fuori allo scoperto tre ore ad una temperatura di otto gradi sotto lo zero, ne avesse bisogno più del domestico. - L' Elisa mi guardava con un'aria desolata. - Oh, Conny! ti prego.... - supplicò colla sua voce dolce di bambina. - Non ridiventare quella brutta e antipatica Conny di una volta ! - balzò in piedi, e mi buttò un braccio al collo. lo risi e la baciai sulla punta del suo nasino che pareva si fosse voltata in su allora allora, per guardarmi anch' essa e dirmi: -Son carina, non è vero? - Elisa, tu mi hai affascinata: finirai col farmi diventare una donna indolente.... e poco seria come te! - Poco seria! - esclamò scandalizzata. - Conny! come sei cattiva! Vedi, mi vuoi far credere che sono io che t' ho affascinata! ma sei invece tu, più alta, più istruita, e, via.... più seria di me, che colle tue dita lunghe mi avvoltoli e mi fai girare e mi strapazzi come ti piace. Oh, non ti guardo più, va'! - E tornò a sedere nella sua poltrona coi piedi contro la bocca della stufa. - Io presi una seggiola e mi sedetti dietro di lei, voltandole le spalle. - Eppure - dissi calma calma - scommetterei qualunque cosa che ora tu mi fai attaccar i cavalli per forza, e mi conduci dove tu vuoi. - Una risatina allegra e un colpetto della sua testa contro la mia, accolse le mie parole: poi ella arrovesciò le braccia e mi prese per gli orecchi. - Ah, sei la più furba, la più intelligente creatura del mondo! Sei un tesoro, ecco! - Grazie, grazie! ma mi fai male! - Ella rideva ch' era un piacere a sentirla, poi si volse, s' inginocchiò sulla sua poltrona e mi arrovesciò la testa. - Li fai attaccare, non è vero! - mi chiese con una voce supplichevole. - Che cosa ? - I cavalli. Sì, sì! falli attaccare, andiamo insieme a far tre o quattro visite che so già di non trovare; poi andiamo sui bastioni. Mettiti il tuo vestitino corto: dopo scendiamo e facciamo un giro a piedi. Va bene, Conny? dimmi di sì dunque! - E s' io volessi dir di no? Non sei buona. - Eppure.... - Oh Conny, Conny! non essere scortese! - e mi stampò un gran bacio sulla fronte. Chi avrebbe resistito? Ordinai che attaccassero. Mentre mi vestivo, l' Elisa, seduta alla mia toeletta si accomadava il cappellino. - Sai ? - diceva - la mamma stamattina è venuta a trovarmi. Era ansiosa di sapere com' era andata la festa: aveva però incontrato l'Antonietta e sapeva già di quel cotillon così poco spiritoso. Le ho detto dell' orribile abito dell' Emma! N' è rimasta sorpresa anche lei.... Ti pare che mi stia bene questo cappellino, Conny?.... Senti: le ho detto del tuo successone: ne è stata felicissima: se non isbaglio s' è riconciliata con te. Non te ne sei accorta? - lo stavo per rispondere, ma ella continuò: - Ah, sai? Gian Carlo mi ha tormentata per sapere dove si andava; non volevo dirglielo: finii col dargli ad intendere che si andrà sui bastioni nell'ora che non c' è nessuno, poi si sarebbe finite al Cova a mangiare una tartina. Ma scommetto che riesce a trovarci ugualmente quel matto: vedrai! - Conny! - mi dimandò a un tratto mentre si strappava un pelo che le spuntava ostinato da un piccolo nèo, e arricciava il naso per il dolore. - Ahi! che peccato! mi s' è rotto senza strapparsi: Senti dunque.... Che cosa ti dicevo? - Nulla. - Ma sì: ti ho domandato se ti piace mio fratello. - Mi provai a ridere, ma non ci riuscii. - Che domanda originale! - dissi. - Oh Dio mio! che cosa c' è? Ti fa la corte, tutti se ne sono accorti: e niente di più naturale che egli ti sia simpatico. Che occhi, non è vero? e poi quei denti! È tutto bello!... Ma che creatura fredda, Dio mio! mi fai stizza, Conny! Di' dunque ti piace? - Non so. - Non lo sai ?! - e picchiò il piede sul pavimento con stizza. - Non lo meriti davvero. Se non credessi di dargli un dispiacere, glielo direi, guarda! - Ah! ah! dispiacere? - e misi in furia la veletta sul viso perchè ella non potesse vedere come avevo arrossito. - Ma sì; non ho mai visto mio fratello così entusiasta di una signorina. Una volta non si degnava nemmeno di guardarle.... Oh ecco un altro pelo! qua! ma t'assicuro, Conny, che mi vien la barba! - Diedi in una risata più rumorosa e prolungata di quel che fosse necessario, sperando di concentrare tutta la sua attenzione nella barba. - Dirò a Filippo di far un baraccone a Porta Genova e di farti vedere al pubblico. Avanti, avanti signori! qui si vede una donna non mai veduta! che ha la barba vera come un uomo! A chi non ci vuol credere è permesso di tirarla! - Eravamo già in carrozza e si rideva ancora come due bambine. *** Si andò a far tre visite : cioè a lasciare i nostri biglietti, perchè non c' era nessuno in casa; ma donna Beppina c' era e ne fui contenta perchè la stimo tanto. Entrammo quasi insieme con una bella signora elegantissima, grassotta, che aveva un viso aperto e due grandi occhi chiari pieni di sincerità e di allegria. - Chi è? - domandai all' Elisa. - Non lo so - mi rispose; e visto che non è più di moda far le presentazioni, dovetti tenermi la mia curiosità. V' erano altre signore, ed esaurito il discorso del teatro, del ballo di casa S*** e del concerto del Quartetto; quella signora disse: - Hai sentito Beppina, della povera Clara? - La sua fisonomia era così serena, anzi così gioconda, che quella povera Clara non impietosì nessuno. Ma vidi donna Beppina farsi subitamente seria, e mi colpì il tono un po' asciutto della sua risposta, come se quel discorso non le andasse a genio. - Sì, disse - è venuta a salutarmi ieri. Povera Clara, oggi ha trovato un conforto. - E si alzò dicendo: Fa un po' caldo, qui dentro. Non è vero? - e andò a chiudere la bocca della stufa; poi chiamò l' Elisa per mostrarle dei ritratti che c'erano sul tavolino. Intanto il discorso della povera Clara continuava intorno a me. - Che colpo è stato per me! - diceva una signora piccolina, tutta esclamazioni tragiche. È venuta la settimana passata a farmi visita con sua madre; aveva un abito che le stava a pennello.... chi avrebbe detto che tre giorni dopo si sarebbe fatta monaca! Che bella monaca col sóggolo bianco! - disse tranquillamente una terza signora. - In che convento è entrata? È partita per Troyes per fare il noviziato fra le Soeurs du Bon Secours. - Oh Dio mio! per curar malati poveri: e i feriti nelle guerre! ma possono mandarla nel Tonchino! - esclamò la signora piccolina, spalancando gli occhioni con terrore e stringendosi con un brivido le mani nel manicotto. Povera creatura! - disse con un sospiro la signora grassotta. - Oramai la sua vita era un tale tormento, che qualunque fatica materiale le riuscirà indifferente. Povera, povera Clara! - Ma perchè? - dimandò una terza signora - non si tratta di vocazione? - Oh signora! è tutto un triste dramma facile a indovinarsi. Non c' era proprio altra liberazione per lei, che d' andare a farsi monaca. Ma che rimorso oggi per sua sorella! - Come! Lucia Marenzi?! - Ma certo! non sapeva...? - lo ebbi un sussulto. Parlavano forse della signorina De Lami? In quel momento la padrona di casa tornò a noi con Elisa e si sedette di nuovo chiedendo con vivacità se sapevamo del fidanzamento di Paola Varenna. - Che! la Varenna? Ah era tempo! ormai come signorina era un po' matura, ma che bella marchesa sarà! eclisserà sua cugina. - Tutte s'interessarono di sapere come la cosa era accaduta, e la povera Clara era già dimenticata. Ma io non riuscivo a strappare il mio pensiero da lei. L'avevo vista una volta sola la sera di Santo Stefano alla Scala, ed era strano come fin d'allora mi aveva interessata quella pallida, altera figura che mi era parso, a ragione, che nascondesse un dolore. Provavo un' emozione che mi toglieva il respiro, pensando che mai più nella vita l'avrei incontrata, ch' ella era partita per il vasto mondo dove non avrebbe udito che lamenti e gemiti, dove non avrebbe visto che lagrime e piaghe, lei vissuta fino allora in mezzo alle agiatezze e alle eleganze. Mi pungeva una curiosità non mai pro-vata, di saperne di più, di conoscere tutta la storia di lei, e un momento che l' Elisa e le altre signore parlavano fra loro, con gran vivacità, del matrimonio di Paola, io dimandai alla signora grassotta che mi era vicina: - Scusi, signora, mi vuol dire se parlavano della signorina De Lami? - Precisamente. Non la conosce? - La conoscevo di vista, e mi era tanto simpatica. - Oh lo credo! se l'avesse poi conosciuta da vicino! un carattere, sa! colta, seria e nello stesso tempo così semplice nel suo modo di fare, e così piena d'entusiasmi e di fede! troppa fede! fu la sua disgrazia. Certe brutture le parevano impossibili fra persone educate. C' è chi dice ch' è stata una bimba e una sciocca a illudersi, ma noi amici abbiamo visto come ha saputo lui insinuarsi nel suo cuore. Io badavo ad aprir gli occhi a sua madre: " Voi non conoscete il marchese, - le dicevo " diffidate. - Ma erano appena venuti a Milano non avevano un' idea di questi sfaccendati eleganti, che non credono a nulla, non rispettano nulla e si stimano padroni del mondo. Il fatto è ch' ella fu presa per lui da una di quelle affezioni che sono la vita di una donna. E quando più supponeva d'essere amata e sua madre s'aspettava da un momento all'altro che egli le chiedessse di potersi dire fidanzato che è, che non è, la luce si fa, per lei prima che per gli altri; la sorella, quella maritata Marenzi.... Una brutta storia insomma! - Orribile.... - mormorai rabbrividendo. - Antonietta! - chiamò in quel momento la padrona di casa - permetti che faccia le presentazioni che ho dimenticate la contessa Elisa di*** che, sai, è figliuola della marchesa*** e sua cugina, donna Conny***. - Poi disse a noi. - La signora Gemmi, moglie del Senatore, una delle mie più buone amiche, una patronessa preziosa dei nostri Asili. - E sorrise respirando liberamente, ma non capì che non era arrivata a tempo. La signora Gemmi mi fissò co' suoi grandi occhi grigi, con un turbamento così visibile da accrescere il senso di malessere che quella triste storia mi aveva dato; poi a un tratto, non so come, fui colpita come un fulmine dalla percezione viva della verità, come se la cosa io l'avessi sempre sospettata, come se tutto fosse stato detto, come se un nome fosse stato pronunziato. Impallidii? non lo so: so che Elisa mi guardava con inquietudine. Dopo un minuto la Signora Gemmi si alzò e nel salutarmi mi strinse forte la mano guardandomi negli occhi; poi mi disse con una voce piena di bontà e quasi commossa: - Cara signorina, permetta che la baci. - E mi abbracciò stretta. Non ricordo come io sia uscita di là; so che mi trovai in carrozza cogli occhi sbarrati che non vedevano nulla. I polsi mi battevano, le orecchie mi sibillavano, un sudore freddo mi inumidiva il viso, e mi pareva che qualcosa si fosse spezzato in me. Una risatina di Elisa mi fece trasalire con uno spasimo. - Ah ah, se si dovesse credere a tutte le ciarle che si fanno in società! Tu non hai sentito Conny, quanti commenti e quante supposizioni buttate là con la sicurezza di fatti veri, a proposito del matrimonio di Paola Varenna! E tu, Conny, di che discorrevi con quella signora.... Oh Dio, ma come sei pallida, che cos'hai?... Era molto stupida quella signora.... come si chiama? non mi ricordo più. Dev' essere la moglie di un bottegaio arricchito, lo scommetterei! Un dolore intenso, improvviso ai cuore mi tolse il respiro e mi fece chiudere gli occhi. L'Elisa mi afferrò una mano spaventata. - Ma Conny, non capisco! si direbbe che ti sei turbata per la storia di quella Clara, come se.... Ah brava, mi avevi spaventata!... Senti dunque, cara: tu che ti dài le arie di donna forte, ti commovi di tutto. Mi fa ridere: scommetto che quella signora Gemma o Diamante, che sia, ti avrà raccontato che la Clara si fa monaca per una disillusione d'amore. Com' è poetico!... ma non è più di moda! Par il titolo di un romanzo di quarant'anni fa. L'ingenua tradita!... ah ah! Ma già, ha ragione mio fratello.... - Che cosa dice? - domandai colla voce dura. - Dice.... cioè diceva che le signorine come voi sono tante grullerelle, perché pigliate sul serio la cortesia più comune, e come una dichiarazione di amore una parola gentile. Vedete subito grande il doppio ogni cosa.... - Ah!... - In quel momento la carrozza si fermò: eravamo sui bastioni. - Che c' è?... - dimandò l' Elisa. - Il signor marchese - rispose il domestico. E allo sportello della carrozza apparve la figura elegante e bella di mio cugino. Il suo volto era raggiante di allegrezza. - Ah, ah! vi ci ho preso! Ma che cos'hai Conny? ti senti male!... Che cosa è accaduto? - disse spaventato, e tutta la sua fisonomia si rannuvolò. Mi pareva d'essere impietrita: immobile nel fondo della carrozza, con gli occhi fissi in quelli di lui, avrei voluto penetrare con lo sguardo fino in fondo alla sua anima. Egli passò dalla parte mia e mi prese le mani; io le ritirai con ispavento: - No! - dissi con voce rauca. - Ma che cos' hai? Conny! parla, oh parla! Mi vuoi far morire?! - il suo viso si era coperto di pallore. - Scendiamo, scendiamo! - disse con impazienza l' Elisa saltando a terra. - Egli ha qui il phaeton, non è vero? - dissi. - Potresti tornare a casa con lui. Conny.... scendi.... ti prego! - Perchè quella voce esercitava su me un fa- scino così irresistibile ? Perchè mi lasciai prendere le mani e scesi di carrozza e lasciai che mi guardasse negli occhi, e mi dicesse con quella sua voce sommessa e dolce che mi fa tremare: - Grazie! - Era una giornata fredda e nebbiosa dei primi di febbraio: sui bastioni non c' era anima viva. L' Elisa volle passare sul viale che guarda giù nella strada di circonvallazione per vedere il tranvai. lo camminavo come trasognata: Carletto mi prese la mano.... un brivido mi corse dalla testa ai piedi.... se la posò sul suo braccio. Egli rispondeva a tutte le domande curiose della sorella; e il suo braccio si stringeva sempre più al suo petto, come quella sera di Santo Stefano. Si arrivò sul ponte della barriera Principe Umberto: nessuno parlava; poco lontano scalpitavano i nostri cavalli: i tranvai e le vetture passavano rumorosamente sotto di noi, e nella stazione fischiavano e sbuffavano le locomotive. Tutto questo mi rimbombava nella testa dolorosamente. Carletto si appoggiò alla sbarra del ponte e mise una mano sulla mia perchè non la ritirassi; poi rivolse il viso verso di me, ch' ero rimasta ritta e immobile accanto a lui. Oh, no, no! non volevo guardarlo, non volevo essere guardata a quel modo! Mi parve di veder rizzarsi accanto a noi, cogli occhi neri e cupi la povera Clara e mi sfuggì un grido d'angoscia. - Non guardarmi così! ti odio! Conny! mia Conny! abbi pietà di me!... - E le sue labbra di fuoco si posarono sul polso gelato della mia mano. Non so che cosa sia accaduto. Mi ricordo solo, come in un sogno, che ero in carrozza e che mia cugina parlava, parlava, e io ascoltavo senza capire; due cavalli ci rasentarono come un fulmine ed io pensai: perché i miei cavalli non corrono? e mi prese un'ansietà, un' inquietudine affannosa, avrei voluto precipitarmi giù, per correre a casa a piedi, sola! Finalmente la carrozza entrò in casa; scesi e dissi al domestico: - Riconducete la signora Contessa a casa sua, - ed io salii lentamente la scala, entrai in casa, apersi l' uscio del mio salotto e trasalii. Egli era là, ritto davanti a me, pallido e serio. S' inchinò e mi stese tutt' e due le mani. lo m'appoggiai colle spalle al muro: non avevo più un filo di forza né di fiato. - Conny.... sono qui: dimmi perché mi odii. lo ti dirò poi, perché ti adoro. - Mi copersi il viso con le mani e singhiozzai senza piangere. - Oh, non posso, Carletto!... non posso! è una cosa così orribile!... Morirei se la dicessi! Va', va,! per amor di Dio!... Abbi pietà di te stesso se non vuoi averla di me.... Va'! ti risparmio una vergogna. - E rialzai la testa con disprezzo. L' uscio si aperse e entrò miss Jane che si fermò cogli occhi spalancati di spavento. lo le corsi incontro. Ella mi disse: - Don Emanuele è arrivato, lo sapete? m' ha fatto chiamare nello studio perché venissi a dirvi che desidera di par- larvi. - Mi volsi e dissi freddamente: - Addio Gian Carlo. - Egli s' inchinò ed uscì. *** Era uscito; era partito per sempre, lui! l' unico uomo che m'aveva parlato d'amore; quegli che mi adorava! Avevo io il diritto di condannare lui e me al dolore, senza una spiegazione, senza lasciargli modo di giustificarsi?... Dio! Dio! che cosa avevo fatto? In società si raccontano tante cose che non son vere: da cosa mi veniva la certezza che si trattasse di lui? Nessuno aveva pronunziato il suo nome. Oh no, non era possibile, non poteva esser vero! Mi lasciai cadere sul sofà, piangendo di disperazione. Chi mi salvava ora? Nessuno; nessuno avrebbe potuto restituirmi il suo amore, perchè io lo avevo insultato! e un uomo come lui non perdona un insulto! Lady Conny, che avete? - mi domandò miss Jane piangendo. - Nulla, sono una pazza, ecco cosa sono! - e mi alzai, mi asciugai gli occhi e mi guardai nello specchio. - Avete detto che è arrivato il babbo? - Sì, e vi cercava. - Ella corse a pigliare il fiocchetto della cipria: me lo passò sugli occhi e fece scomparire la traccia delle lacrime. - Ecco, milady: potete andare. - Entrai nello studio del babbo, ma mi fermai sulla soglia dell' uscio. Egli non era solo: ritto accanto a lui, davanti al camino, c' era il conte Rinaldi. Il babbo mi venne incontro: io gli buttai le braccia al collo e lo baciai con una commozione e una tenerezza tutta nuova: anch'egli m'accarezzò e mi baciò commosso, come se leggesse nella mia anima desolata. Ma poi il suo viso si illuminò di gioia. Mi prese per mano e mi disse con un sorriso: - È vero, Conny, che hai piacere che Rinaldi rimanga a pranzo da noi? Immagina ch'egli temeva di non essere nelle tue simpatie; gli riferii una certa conversazione del giorno di Natale. Conny disprezza i giovani ammodo, ma apprezza molto i giovani seri come Rinaldi. Non è forse vero? - Io lo ascoltavo trasognata, non trovando parole per rispondere. - Conny, il conte Rinaldi è venuto a prendermi a Roma: siamo ritornati un'ora fa insieme. - Credo che ne' miei occhi sia apparso come uno spavento, perché il babbo si chetò, guardandomi inquieto. Lui, il conte, ritto dietro una seggiola colle mani aggrappate alla spalliera, mi guardava col viso contratto d' emozione. Non sapevo bene perché, ma io fui presa da un tremito: non ancora rimessa dal profondo turbamento di pochi minuti prima, tentavo inutilmente di sorridere, di trovar la voce per parlare, di lottare contro un penoso presentimento che le parole del babbo e il contegno di Rinaldi mi avevano fatto sorgere nell' animo. - Conny, non ti senti bene? che cos'hai? - Ho preso freddo.... sui bastioni. Infatti non sto affatto bene, - e mi passai una mano sulla fronte, perché mi pareva che tutto girasse intorno a me. Rinaldi mi spinse una poltrona dietro. - Su, riscaldati un poco vicino al fuoco - Disse il babbo - vuoi che chiami miss Jane? - No, ti prego, sto bene qui. - Alzai il viso verso il Rinaldi ritto accanto a me, e ci guardammo. Lesse egli ne' miei occhi spauriti e supplichevoli? io lessi ne' suoi, pieni di un desolato dolore.... Restò a desinare con noi. Il babbo credette tutta la sera che io mi sentissi male, ma era assorto in una gran beatitudine, povero babbo, per le attenzioni affettuose di Rinaldi, che, senza mai guardarmi negli occhi, mai.... non si occupò di me, accorgendosi che non mangiavo, che ero presa da brividi: mi fece portare uno scialle, mi versò un bicchierino di bordeau insistendo perché lo bevessi, e poco dopo aver preso il caffè si alzò per andarsene, dicendo che io avevo bisogno di riposo. Si chinò sul sofà sul quale mi aveva fatto distendere: io gli ubbidivo colla docilità di una bambina: una bambina colpe-vole che ha molto da farsi perdonare. - Buona sera donna Conny, - mi disse forte; io gli stesi tutt' e due le mani, egli le prese, esitò, poi le baciò. - Mi perdoni, - mormorò pian piano con voce soffocata - il mio sogno era stato forse troppo ardito.... Non tèma: non ci tornerò più. - Io gli sfiorai colla punta delle dita i capelli, dicendo con filo di voce: - Che Dio la benedica! - Ed egli partì. *** Erano passati alcuni giorni: la zia e l' Elisa avevano chiesto di vedermi, ma io mi chiusi in camera, e miss Jane ebbe l'ordine di dire sempre a tutti che avevo un forte mal di capo e dormivo. Filippo non era mai venuto. Sapevo che la zia aveva avuto dei lunghi e vivaci colloqui col babbo, ma egli non mi diceva nulla, ed io, che il primo giorno gli avevo promesso di parlargli, ora non ne trovavo più il coraggio. Era una domenica, e uscii con lui per andare alla Messa. Sulla bottega della fruttaiola c' era il bambino: mi fermai a baciarlo. Era un pezzo che non lo salutavo più.... ora volevo tornare a tutte le abitudini di una volta. - Dove andiamo, babbo? non a San Francesco veh! c' è uno sfoggio di cappellini eleganti, e di libri da messa colle cifre.... non ci si prega bene. - Dove vuoi andare? - In cerca di qualche chiesina fuor di mano: dove non ci sia che qualche povera donnetta, e dove il prete abbia una pianeta scolorita da cui escano i fili d' oro! - Il babbo passò il mio braccio sotto il suo, e disse, incamminandosi a passo lesto verso il corso di Porta Venezia: - Brava la mia Conny, torna allegra come una volta: e intanto che siamo soli.... vuoi tu dirmi quel che mi avevi promesso? Vuoi tu spiegarmi.... - Si rannuvolò, e la sua voce divenne seria quando aggiunse: - È stato per me un gran dolore, non te lo posso nascondere, lo scoprire che il tuo cuore non aveva scelto Rinaldi, che mi pareva fatto per te; ma forse a ragione mia sorella: è un giovine troppo vecchio. Tu sei espansiva, allegra, ardente, e hai bisogno di un uomo che, non solo ti voglia bene, ma te lo dica.... Conny, non vuoi proprio confidarmi nulla? - Io respiravo a fatica: avevo un nodo alla gola, che m' impediva di parlare. Si camminò un poco in silenzio: il Corso era quasi deserto. Sperai che si entrasse nella chiesa di San Babila, ma invece si andò innanzi. - Conny, ieri sera sono andata da mia sorella: lo sai? - No, non me lo avevi detto. - Ho dovuto andar io.... perché c' era qualcuno che non voleva venir da me. - Mi sentii un colpo nel cuore. Perché il babbo me ne parlava? Non capiva che soffrivo? Egli continuò: - Qualcuno che non vuol rimettere il piede in casa nostra senza il permesso della signorina Conny: ma che ti prega, ti supplica, in nome di quello che hai di più caro, di dargli questo permesso: egli vuole una spiegazione.... di che? né io né sua madre siamo riusciti a saperlo. Dice che è un vostro segreto. Io mi fido di te, Conny... e di Carletto: per questo non ho insistito perchè tu parlassi. - Io mi ero accostato il manicotto sulla bocca per soffocare i singhiozzi. - Dio mio! perchè mi diceva tutte quelle cose, nella strada, in mezzo alla gente? Non sentiva che mi trascinavo a fatica, e che il respiro mi si faceva sempre più breve? - Conny: di' la verità: vi amate: di questo non ne dubito: vi siete bisticciati per qualche sciocchezza.... e a quest' ora tu sei pentita, povera la mia bambina!... Dunque appena ritornati a casa, gli scrivo che la signorina Conny permette al marchese Gian Carlo di venire a vederla. Che! piangi? - Sì, piangevo: piangevo perché avevo bisogno di sfogare tutto il dolore che mi aveva empito il cuore in quei giorni.... Che era accaduto? dunque una parola sola, la speranza del suo ritorno bastavano a fugare tutto il disprezzo ch' io avevo provato per lui? Come lo amavo! come lo amavo se mi avvilivo al punto da non credere a ciò che avevo sentito, e da esultare perch' egli mi amava. Sollevai la testa e sorrisi perché nel mio cuore non era rimasta che una gioia immensa che mi pareva un sogno. Eravamo arrivati quasi a Porta Venezia. - Ma dove si va, babbo? Qui non ci son più chiese! Se fossimo ai tempi dei Promessi Sposi direi che si va alla chiesa de' Cappuccini! Ma si svoltò in una via deserta, chiusa in fondo dal bastione, in via Borghetto. - Vedi quella porticina a destra?... - mi disse il babbo. Quella è una chiesina proprio come la vuoi tu: nuda e stretta. Vedrai che pulpito! par troppo piccolo per un uomo. - In quella, una voce allegra, ma che parlava un dialetto sguaiato, mi fece alzar la testa. Una ragazza elegante scendeva a salti dalla stradetta a zig-zag del bastione, e dietro a lei.... Sentii una imprecazione soffocata del babbo, e il suo braccio strinse il mio come per sostenermi. Tutti i miei nervi avevano sussultato con spasimo: ma fu un lampo: la testa mi si rizzò, e mi sembrò di essere diventata più alta e che tutta la mia anima si fosse ad un tratto mutata.... Dietro a lei scendeva, ridendo e chiacchierando, un bel giovane biondo, con un lungo cappotto chiaro. Ci vide, e il suo viso si coperse di pallore, poi diventò rosso come di fuoco: il mio sguardo tagliente come una lama gli deve essere penetrato fino in fondo al cuore. Il babbo spinse la porticina della chiesa: io lo seguii, ma prima di richiuderla mi voltai. La ragazza s' era appoggiata al braccio di lui, e mi passarono davanti: mio cugino si guardava la punta degli stivali. Ciao, Conny! - gridò ad un tratto la fanciulla. Mi sentii un tuffo nel sangue e la guardai cogli occhi scintillanti di sdegno e di ribrezzo. Era la Lisetta; quella mia compagna di scuola di cui mi aveva parlato la fruttaiuola. Mi parve che mio cugino trasalisse stupito, e certo respinse il braccio di lei. Ma ella vi s'aggrappò di nuovo dicendo forte: - Che stupida quella Conny! Siamo state compagne di scuola e finge di non conoscermi. - La porta si richiuse dietro di me e mi trovai in chiesa. M' inginocchiai: i miei occhi erano fissi a una candela che ardeva sull'altare, e quella fiammella agitandosi mi pareva che s'allargasse e formasse delle grandi stelle che m'abbagliavano: ma non pensai di guardar altrove. Una povera donna, inginocchiata vicino a me, diceva al suo bambino: - Di': Buon Dio, beneditemi, fatemi diventare un bravo giovane, sincero e onesto. - E nelle orecchie mi si ripeteva: " un bravo giovine sincero e onesto.... - E nella mente, fisso, questo pensiero: L'ho amato! l'ho amato! e mi chiusi il viso nelle mani con un senso doloroso di vergogna. *** Quando fui sulla soglia del mio salotto mi passai una mano sulla fronte. Non mi pareva vero d'esserci arrivata; mi pareva un gran pezzo ch'ero assente da casa mia, che non vivevo la mia vita tranquilla e felice. Filippo era seduto nella mia paltroncina rossa colla Revue fra le mani; si alzò spalancò serio e compassato, ma poi mi guardò, gli occhi e aperse le braccia. lo mi vi buttai singhiozzando. - Finalmente! - disse. - Ringrazia Iddio che ti sei svegliata in tempo.... domani sarebbe troppo tardi.... Povera figliuola! hai avuto il tuo momento di vertigine anche tu, forte e ragionevole. Era forse necessario: hai fatto la tua esperienza. - Io m'aggrappai stretta e convulsa al suo collo. - Non è stato a tempo Filippo; - disse il babbo con una voce soffocata dall'emozione - l' altro giorno ha rifiutato Rinaldi. Rinaldi! - esclamò Filippo con sorpresa, e le sue braccia mi strinsero, quasi con tremito. - Era il mio sogno - mormorò. - L' unico uomo che ti meritava. Emanuele, - disse poi con una voce ferma e forte, - ti giuro che io ho fatto di tutto per evitare alla tua figliuola questo dolore: ma non ho potuto! Nessuna donna sa resistere al fascino del suo sguardo; è lui stesso che lo ha detto una sera: l' ho sentito io, e so che ha fatto l'esperienza su parecchie signore della nostra società. Questa volta, è vero, aveva tutta l' intenzione di finire al municipio: il mese scorso ha perduto al gioco non so quanto, e aveva bisogno di rifarsi.... - Abbi pietà di questa povera creatura! - gridò risentito il babbo. - Oh! non conosci la tua figliuola; ella ha bisogno di veder chiaro in tutto, di non essere ingannata: non è vero Conny? Vedi, io mi ero detto: Conny è buona e seria. Conny conosce il mondo - e sorrise con amarezza. - Conny, che ha letto i filosofi e i metafisici, analizza, capisce tutto, e sa che cosa bisogna fare per resi- stere alle vanità e alle seduzioni di quella brutta bestiaccia che si chiama società. Conny ha vissuto finora in mezzo a libri sani e a vecchi onesti, ma sa istintivamente quante leggerezze, quante slealtà e quante colpe si trovano nella giovane società: e saprà capire, studiare e rimaner sempre in alto, sopra a tutti, la donnina forte! Questo mi ero detto, cara figliuola; e questo voleva dire: non c' è bisogno di metterla in guardia: non sa ancora che cosa sia l'amore, ma ella saprà distinguere il falso dal vero, il complimento dalla dichiarazione, la parola dal sentimento, la leggerezza dalla serietà. - Tacque. lo tenevo il viso nascosto contro il suo petto e piangevo in silenzio. A un tratto alzai la testa, mi guardai, attorno, e dissi: - Filippo, non ne parliamo più, la prego! - e gli stesi la mano: egli me la baciò ed uscì. - Babbo, staremo sempre insieme! mi condurrai a Roma con te, non è vero? - Sì, cara figliuola; mi asciugò gli occhi, poi mi baciò con tenerezza. - L' indomani mi svegliai pallida ma calma. C' era nel mio sguardo una luce nuova profonda, cupa, e un lampo pieno d'alterezza e qualche volta di sarcasmo, che credo mi durerà tutta la vita. FINE

Caracciolo De' Principi di Fiorino, Enrichetta

222460
Misteri del chiostro napoletano 1 occorrenze
  • 1864
  • G. Barbèra
  • Firenze
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All'ora fissata abbracciai teneramente la vecchia zia, valicai esultante la soglia del monastero, e dopo d'aver visitata Giuseppina, che non aveva veduta da qualche tempo per la sua infermità, mi recai in casa dell'altra sorella, ove mi trattenni dieci giorni, aspettando l'ora della partenza. Ma era scritto che il mio riscatto esser dovesse di breve durata! In questo mentre io riceveva da Reggio due lettere: erano delle altre due sorelle, colà maritate, che, per urgenza e a tutta possa, mi consigliavano di restituirmi all'abbandonato cenobio. Erano poi dolorosissime le ragioni che le inducevano a darmi tale consiglio. Mia madre era in procinto di passare a seconde nozze; Domenico, posto in oblio l'amor mio, ed impassibile alle mie sventure, erasi dedicato ad altra donna; del resto, io correva il rischio di passare da un monastero della capitale in uno di quelli della provincia. Queste infauste notizie mi atterrirono: scaricavasi d'un sol tratto sul capo mio tutto quanto il peso dell'orfanezza. Dopo d'aver lungamente ponderate le condizioni della critica situazione in cui quelle novelle mi ponevano, mi spinsi, benchè a malincuore, a domandare, se voleva il cognato ritenermi presso di sè, insino a che fosse piaciuto al Signore di procurarmi altro rifugio. Il cognato gentilmente vi consentì. Deliberai allora, che quando quella dama di Messina fosse venuta per prendermi seco lei, le direi che si partisse sola. - Così feci, ed essa se ne partì senza di me. Ma da lì ad otto giorni con una lettera fulminante mia madre protestava di non voler sopportare in pace la mia disubbidienza. Ella erasi trasferita a Messina per ricevermi, e non avendomi incontrata, come s'aspettava, era montata in furia. Non basta questo. Il ministro di Polizia citava nello stesso tempo mio cognato, per indurlo a farmi subito partire, conforme al volere di mia madre. "Cara cognata," mi disse quest'uomo dabbene, dopo l'avvertimento ricevuto: "vi ho offerta di buon grado l'ospitalità in mia casa, ed avrei seguitato a ritenervi con piacere, se vostra madre non ne mostrasse rincrescimento; ora, nel modo che le cose vanno, spiacemi di dirvi che non posso resistere agli ordini di mia suocera." Io era recisamente licenziata. - Che fare? Dove andare? A chi ricorrere? - Mi trovava in un bivio terribile. Un carcere a destra, un altro a sinistra, e d'ogni intorno l'abbandono e la desolazione! "Dio mio! diceva a me stessa, non potendo contenere le lagrime: che mai sarà di me, priva, come mi trovo, di mezzi, priva d'ogni appoggio, priva per fino della mia volontà? Se un destino crudele muove tutto a congiura contro di me, non v'ha almeno qualche legge pietosa che mi difenda?" Fu suonato all'uscio: era un amico di casa settuagenario, curvato sotto il peso degli anni. All'udir l'accaduto, quel buon vecchio mi esortò a ritornare nel monastero, finchè (diceva) fosse dissipata, la tempesta che addensavasi sul mio capo; più tardi poi si sarebbe cercato di rappattumare la madre con me. A questo consiglio si conformarono eziandio e la sorella ed il cognato ed altre persone familiari, nè, a dire il vero, scorgeva neppur io, fuori di quello, altro schermo che mi campasse dalla disperazione. Non sapendo dunque a quale miglior santo rivolgermi, secondo il detto comune, mi feci il dopo pranzo ricondurre al convento. Ivi, chiamata la zia in disparte, le dissi volermi novellamente chiudere per pochi altri mesi ancora, al che essa rispose, che sopra tale risoluzione faceva d'uopo consultare la disposizione delle monache. Poco dopo, convocate queste nel parlatorio, e udita per bocca della badessa la mia domanda, risposero, che mi avrebbero accolta volentieri nello stabilimento, se dichiarava in quell'istante medesimo di rientrarvi, non provvisoriamente, ma per farmi religiosa; nel caso contrario, dichiaravano di volermi chiudere le porte. Quale orribile alternativa! Mia sorella, vedendomi sulle spine, notando massimamente l'esitazione mia nel rispondere, mi esortò sottovoce a dire pel momento di sì, che poi, rientrata, non mi avrebbero di leggieri respinta. Me ne persuasi, e risposi sommessamente, che rientrava col disegno di farmi monaca. "Affermatelo pure ad alta voce," mi disse la badessa. - "Siete alfine determinata di dare i voti?" Il cuore mi batteva forte, il capo mi girava: credeva di venir meno. Chiesi d'una seggiola, tersi colla pezzuola il freddo sudore che mi colava dalla fronte, e con voce di agonizzante risposi: "Sì." -Il dado era tratto.... Fatale SÌ!- Non appena ebbi pronunziata l'affermativa, uno scoppio d'acclamazioni e di festose grida mi percosse l'udito. Le monache tutte proruppero di comune accordo in proteste, tendenti ad assodare, che la mia conversione era effetto manifesto del campanello di san Benedetto, da me stessa inteso qualche ora prima della mia uscita; perlochè con tutta fretta mandarono uno stuolo di converse sul campanile per suonare a festa. Nell'udire a quell'ora insolita la campana, i vicini fecero domandare che cosa fosse successo alle monache; e queste divulgarono largamente, che la nipote della badessa erasi per superiore ispirazione dichiarata religiosa. Perduta d'animo, confusa, dalle inaspettate combinazioni soperchiata, io tremava a guisa di foglia cadente al vento d'autunno. Dato pertanto l'impegno di chiudermi il giorno appresso, me ne tornai in casa della sorella, immersa nella più cupa costernazione; essa pure mostravasi molto dolente dell'andamento che l'affare avea preso all'improvviso. Il suono funesto delle campane rintronò al mio orecchio per tutta la notte: mi pentii cento volte di aver detto quel SÌ, ed accusai me stessa di fiacchezza. Ma guai a chi è trascinato dalla fatalità!.... Alle dieci della mattina mi avviava al convento, alle porte del quale parecchie persone famigliari mi attendevano. Fui ricevuta con nuova scampanata a festa, e collo sparo dei mortaletti, alla cui esplosione una folla immensa di gente si radunò. Per tutta quella giornata d'altro non si ragionò, che del miracoloso campanello, e della mia prossima vestizione. Il canonico gongolava di gioia, le suore ne esultavano, era un andirivieni continuo nella chiesa di preti e di confessori. Il cardinale Caracciolo, e il vicario vennero pur essi a congratularsi meco della mia risoluzione, e la sera un lauto trattamento di gelati e di pasticceria fu offerto dalla mia zia alla comunità. - Insomma, per vincolarmi ne' lacci, dov'era incappata, in modo da non potermene più disimpegnare, i preti e le suore strombazzarono il prodigio di san Benedetto e l'atto della mia conversione con ogni mezzo possibile di pubblicità. A sollievo delle solitarie pene che m'attendevano, m'era provveduta di alcuni volumi, che cacciai nel fondo del baule. Eranvi fra quelli la Bibbia, il Manuale d'Epitteto, e le Confessioni di sant'Agostino. Aveva pur cercato delle Consolazioni di Boezio, ma non mi venne fatto di rinvenirle. Mi fu bensì da mano amica favorito un altro libro, il cui titolo pareva alla mia situazione particolarmente confacevole: era la Solitudine di Zimmermann. Da quello scritto mi riprometteva una novella vena di conforti, e però mi sapeva mill'anni di cominciarne la lettura. Come, dopo il trattamento dei gelati, si furono le monache ritirate, preso a mia volta commiato dalla zia, m'affrettai di tirar fuori del baule il sospirato volume. Con quale palpitante avidità ne divorai al lume della lucerna le prime pagine! La storica facondia, lo stile animato e leggiadro, la soave malinconia, il movimento de' sentimenti e delle passioni, con che l'autore studiasi d'infondere l'amore della solitudine a chi lo legge, mi rapirono fin dal principio in una sfera sconosciuta di poesia, e ringraziai la provvidenza d'avermi dato a compagno un maestro, capace di poetizzare le amarezze dell'esilio, di rendermi affezionata alle mie catene, di temprare il mio cuore ribelle all'uniformità dell'inerzia, alla perpetua monotonia del quietismo. Ma di repente un triste pensiero m'assalì. - Cotesto filosofo, che sugl'incanti della solitudine a larga mano profonde i fiori dell'eloquenza, era egli infatti il mio compagno di prigionia? Era egli stato, per forza superiore ed ineluttabile, costretto, al par di me, a consumare il suicidio della propria volontà? Egli, che con tanto ardore decanta i vantaggi del ritiro, conosce forse come sa di morte la solitudine, quando priva è d'affetti, di vincoli, di memorie, d'aspirazioni; la solitudine, sfrondata da ogni germoglio d'amore, impastoiata da mille pratiche, l'una più servile dell'altra, sentenziata a perenne ed ignobile sterilità? - Ricaddi più che mai nell'abbattimento. Una mano di ferro m'adunghiò alla gola: credetti di restarne soffogata. L'orologio del vicinato aveva già suonato il tócco dopo la mezzanotte. Richiusi il libro, spensi il lume, e spalancai la finestra in cerca d'aria. Era il cielo velato da foschi nuvoloni, vaganti a seconda del vento. All'estremo orizzonte qualche stella romita avventurava un raggio, offuscato dalla caligine; e la luna, involta pur essa nella nebbia, batteva con incerta luce le mura del monastero. Alcune goccie di pioggia, che di tratto in tratto scrosciavano sul lastrico, interrompevano per un istante il vasto silenzio, e poi tutto rientrava nella muta solitudine. Mi venne in mente di scrivere a mia madre una lettera grondante di lagrime. Riaccesi la lucerna, ne gettai lo sbozzo sulla carta, ma troppo agitato giudicando lo stile, lo stracciai subito. - Non sarebbe meglio, domandai a me stessa, confidare alla zia le mie angustie? - Ma ella dorme a quest'ora! - La sveglierò. Per giungere alla sua stanza, bisognava traversare un tenebroso corridoio. Bussai all'uscio: nessun risponde. Torno a bussare: la conversa riconosce la mia voce, ed apre, sgomentata da tale visita. Nel vedermi a quell'ora, e sì fortemente conturbata, anche la badessa trasecolò. Dopo aver fatto uscire la conversa: "Cara zia," le dissi, contenendo appena la commozione che m'agitava: "duolmi assai di recarvi tante e sì gravi molestie; ma il tempo stringe, gli affari miei camminano con soverchia celerità, poichè non voglio lasciarmi sorprendere degli eventi al di là del dovere." L'informai allora minutamente del concorso di circostanze, che mi avevano indotta a ritornare nel monastero, non senza la riserva d'un imminente e definitivo riscatto, e conclusi il ragionamento dichiarandole ch'io provava per lo stato monastico la più ferma ed insuperabile ripugnanza. La povera vecchia diè tosto nel pianto, e fattosi delle mani velo, esclamò: "Lassa! Quale vergogna attendeva la mia vecchiaia, e l'ultimo mio badessato! Che mai diranno le monache? Che dirà il cardinale? Che dirà il vicario? Che dirà il mondo intero? Chiameranno pazzarella te, e me più pazza ancora, per averti persuasa a rientrare. E la riputazione del convento!.... E il campanello di San Benedetto che ha suonato!.... E le gazzette che ne parleranno!.... Qual ampia materia di scandalo! Quale argomento di favole presso gl'increduli della città!" A queste riflessioni la poveretta si diede a piangere e singhiozzare dirottamente. Il turbamento di quell'ottuagenaria, la sua somiglianza col mio adorato padre, al quale io non aveva cagionato mai il menomo cruccio, queste cose mi scossero. Veggendo ch'ella non si dava nè pace nè tregua, e andava ripetendo lamentevolmente: "Ahimè, quale tremenda sventura! Quale vergogna!" le presi una mano fra le mie, e dando allora libero sfogo al dolore, "Amata zia," le dissi, "ricoricatevi, e datevi pure pace: contro il destino mio non mi rivolterò più." Alzò la testa, mi guardò fisa: io, senza prender fiato: "Sì," le soggiunsi, "mi farò monaca. Mi costerà la vita: una disgraziata di meno: ma non amareggerò per certo gli ultimi giorni di vita della sorella di mio padre." Non potei andar oltre, perchè la foga dei singhiozzi mi soffocò le parole. Restammo entrambe abbracciate per qualche tempo senza dir motto. Alfine riprendendo essa il discorso, e sul mio capo poggiando la santa reliquia, che pendeva al di lei collo: "Sta' tranquilla, figlia mia," mi disse. "Iddio e il nostro patriarca ti sosterranno in questo sagrifizio. Pregherò dalla mattina alla sera per farti venire la vocazione che ti manca, e sarò esaudita." Volle da me la promessa di non ripetere a chicchessia gl'incidenti di quella notturna conferenza, e lo promisi. Il mio sagrifizio da quel momento era consumato: mi considerai una vittima. L'ingresso del giornalismo è interdetto nel convento. Ciò nondimeno, tiratami il canonico in disparte la seguente mattina, mi pose sott’occhio due giornali, umidi ancora dalla stampa, ove davasi al pubblico la notizia della mia deliberazione. Dicevasi in uno di quei fogli: «Ci facciamo solleciti di partecipare un fatto, che a' devoti d'ogni classe recherà piacere. Una delle figlie del defunto e compianto maresciallo Caracciolo, la signorina Enrichetta, de' principi di Forino, giovine di rara pietà, si è determinata di ripudiare la vanità del mondo, per prendere il velo nel monastero di San Gregorio.» Portava l'altro diario, organo ben noto della pretesca consorteria: «Il campanello di San Benedetto ha tornato a risuonare poc'anzi, e questa volta per conquistare all'angelica regola Benedettina un'altra Caracciolo in età tenera, e discendente in linea diretta da san Francesco dello stesso cognome. Questa giovinetta, che somma reluttanza avea mostrato nell'abbracciare lo stato monastico, ora, per essere stata evocata durante il sonno dal suddetto miracoloso campanello, ha formalmente espressa la sua intenzione di farsi monaca..... Empi e miscredenti, favete linguis animisque!» Intanto mia madre non mi scriveva. Le indirizzai una lettera; un'altra ne scrisse mia zia per annunziarle la mia risoluzione di farmi monaca. Rispose non volerlo affatto permettere, e per molti mesi oppose la più ostinata resistenza. Era suo intendimento, diceva, di maritarmi a persona di suo aggradimento, nè mi avrebbe ritenuta nel chiostro, se non infino a che tale opportunità si presentasse. Se non che, soggiunse mia zia, non poteva essa opporsi ai decreti della Divinità. Questi decreti per altro non potevano effettuarsi immediatamente. Al mese d'agosto del 1840 non aveva ancora raggiunta l'età disciplinale per vestirmi monaca; compiva vent'anni nel 1841. Si dovette perciò attendere sino al mese d'ottobre di quest'ultimo anno, ossia un intervallo di venti mesi dopo il mio primo ingresso nel chiostro. Questo tempo fu dalla comunità dedicato ad apparecchiare a spese mie..... i confetti pel giorno della festa. Frattanto mia zia che per un intero decennio aveva esercitato le funzioni di badessa, fu surrogata da un'altra Caracciolo, donna piuttosto burbera e rigorosa. Questo rigore, contrapposto alla soverchia affabilità di mia zia, fece sì che malcontente ne uscissero tutte le monache. Quaranta giorni prima della mia vestizione fu deciso, per contentare mia madre, ch'io passassi questo spazio di tempo presso di lei. Però, prima di uscire, mi fu fatto sborsare per le spese della funzione ducati 700, e qui cade acconcio di notare, che l'egregio generale Salluzzi mantenne la sua promessa, donandomi ducati mille. In questo mentre mia madre, reduce dalla Calabria, prese alloggio in casa di Giuseppina di conserva colle mie due sorelline. Tanto essa che gli altri parenti, nel notare la mia rassegnazione ad un male che ormai sembravami inevitabile, riputarono vera e spontanea la mia vocazione. Dal canto mio, dovendo rinunziare al mondo per sempre, e volendo evitare ulteriori rammarichi, schivai, per quello spazio di tempo, e teatro, e passeggio, e società. Tentai soltanto un giorno di cantare sul piano-forte un'arietta popolare, quella che tanto era piaciuta altra volta a Domenico; ma la commozione che mi sorprese, ma i rimpianti amari che nel cuore mi ripullularono, diedero ai miei nervi sì gagliarda scossa, che d'allora in poi feci divorzio anche colla musica, nè suonai più che l'organo della chiesa. Più d'una volta mi venne il pensiero di aprire il mio cuore al Generale, mio secondo padre, e chiedergli aiuto: ma la parola data mi chiudeva le labbra. Egli aveva già sborsato il danaro, del quale molta parte erasi presa; ora, volendo pur mancare all'impegno solenne, fermato colla zia e colle monache, poteva io più ritrattarmene, senza far trista figura davanti al benefattore? Non vi era alcuno scampo plausibile. Doveva assolutamente chiuder gli occhi, ed abbandonarmi alla discrezione della fatalità. Spuntò il critico giorno. Una folla di parenti e d'amici affluì fin dal mattino nella sala di mio cognato: gli uomini discorrevano allegramente; le donne chiassavano, le zittelle si erano impadronite del piano-forte; io sola era mesta con in bocca l'amarezza dell'assenzio. A dieci ore fui chiamata all'allestimento. M'inghirlandarono di fiori gemmati, a guisa di sposa: mi fecero indossare un abito sontuoso di velo bianco, ed al capo mi attaccarono un altro velo dello stesso colore, scendente sino ai piedi. - Quattro dame assistettero all'acconciatura, due altre dovevano accompagnarmi: la duchessa di Carigliano e la principessa di Castagnetto. Conformandosi alla consuetudine, queste dame cominciarono dal condurmi a diversi monasteri, onde farmi vedere dalle altre monache: le seguitai automaticamente, muta d'accento, col pensiero assente. Mi scossi solo, allorchè seduta nella porteria del monastero di Santa Patrizia, accanto all'altra zia Benedettina, vidi entrare frettolosi ed anelanti due chierici, che gridarono: "Ma, signore, venite presto a San Gregorio Armeno! Il pontificale è finito: non si attende che la monaca." Una pugnalata al cuore non ha effetto diverso di quello che provai da tale chiamata. Un tremito generale s'impossessò delle mie membra, e divenni livida al par di cadavere. La prima ad alzarsi fu la duchessa Carigliano. Compressi la mano sul cuore, mi levai a stento, e baciai quella vecchia zia, che mi disse lagrimando: "È questo l'ultimo nostro bacio.... Addio, figlia mia! ci rivedremo in cielo." La principessa, venutami più d'appresso, mi guardò in volto. "Fermatevi, duchessa," disse alla Carigliano: "non vedete che la monachella si sviene?" Infatti, appuntellata alla spalliera della seggiola, io vacillava, pronta a cadere. Mi posero a sedere, e chiesero un bicchier d'acqua, dal che refrigerata un poco, ripresi lena, e mi rialzai. "Scommetto, che non siete contenta di farvi monaca," mi disse per via la principessa. "Al contrario," risposi, inghiottendo un sospiro traditore; "ne sono contentissima." Avanzava frattanto la carrozza, ed avanzando entrava nel quartiere di San Lorenzo. Approssimatici alla città dolente, misi il capo allo sportello, cercando con lacerante curiosità le persiane delle finestre, le cancellate di legno, le inferriate, e gli altri ripari del monastero. Alla vista del sepolcro che stava lì per ingoiarmi, non so come, spinta da un istintivo impulso, non mi sia rovesciata dalla carrozza in mezzo alla strada. - Mi risostenne l'intima autorità dell'amor proprio. Quanto mi avvicinava a San Gregorio, tanto più distinto facevasi il suono delle campane. Ogni tócco era suono funereo nell'animo mio. All'angolo della strada, il confuso cicalar della moltitudine, accorsa da ogni parte, lo sparo dei mortaletti, le acclamazioni delle donnicciuole a' balconi, e la banda degli Svizzeri finirono di impietrirmi. - Io ho provate le estreme sensazioni del suppliziato! Al portone della chiesa fui ricevuta da una processione di preti colla croce in alto. Due altre dame si posero al mio fianco, la principessa di Montemiletto, e la marchesa Messanella. Il prete colla croce in mano camminava innanzi, gli altri formavano due ale. La chiesa era parata con eleganza, illuminata con profusione, e divisa nel mezzo da uno steccato bianco e rosso, alla cui dritta stanziavano le signore, che erano state invitate e ricevute da mia madre, ed a sinistra stavano i cavalieri, ricevuti da mio cugino il principe Forino. Di quella assemblea numerosa, delle variopinte decorazioni, di quell'oceano di luce altro non vidi che una masse informe e confusa. Giunta che fui al mezzo del tempio, mi fecero inginocchiare, e mi presentarono una piccola croce d'argento, e una candela accesa. Dovetti poggiare la prima sul petto, tenendola colla sinistra, e portar nella destra la fiaccola. Nel passare vicino alle signore, la mia sorellina Giulietta stese le mani per afferrarmi dal velo, e gridò tanto alto da farsi sentire da tutti: "Non voglio, no, non voglio che tu vada a chiuderti!" Quella voce argentina attirò l'attenzione d'ogni persona. Era la voce dell'innocenza che gridava alla barbarie. Mi volsi a quella parte: una signora imbavagliava la bocca della fanciulla col fazzoletto. Mi corsero le lagrime agli occhi, asciutti fino a quel punto. Arrivai all'altar maggiore. Il vicario, che funzionava, essendo infermo il cardinale, stava seduto dal lato dell'Epistola. Ivi, io e le dame rimanemmo per pochi minuti genuflesse; poi mi menarono al vicario, e mi posero ginocchione ai suoi piedi. Un prete, dalla cotta superbamente ricamata, presentògli un piccolo bacile d'argento con forbicette, con le quali mi recise una piccola ciocca di capelli. Mi rialzai allora; e fiancheggiata dallo stesso corteggio, preceduta dalla banda che suonava, uscíi nuovamente della chiesa. Il tratto di strada, che da questa mena alla porteria, fu fatto da tutti a piedi, in mezzo ad una fittissima calca di curiosi. Appena posi il piede al soglio della clausura, proruppi in uno di quei pianti sfrenati, che non può forza umana contenere: e le monache a chiuder tosto le porte, ad internarmi sollecitamente, a dirmi in coro: "Non piangere, per carità! Altrimenti diranno i secolari, che non ci monachiamo per vocazione, ma per forza.... Zitto, zitto, per carità!" Scesi al comunichino. Il vicario, i canonici, i preti e gl'invitati erano tutti affollati presso al cancello. Ivi, condotta in un angolo, fui per mano delle monache spogliata via via degli abiti di gala, del velo, della ghirlanda, dei guanti e perfino dei calzarini. Quando in vesta di lana nera, colla chioma scarmigliata, cogli occhi tumefatti dal pianto m'accostai al portellino del comunichino, intesi tra la folla alcuni gemiti, provocati dalla commozione. Chi mi deplorava? Lo ignoro. Il vicario benedisse lo scapolare, ed offertomelo di propria mano, me l'indossai. Quindi mi prosternai dinnanzi alla badessa. M'avevano spogliata dell'abito secolare: dovevano pur togliermi la chioma. Le monache strinsero in una sola treccia i miei lunghi capelli, e la badessa impugnò delle grandi forbici per reciderla, mentre un silenzio profondo regnava intorno. Una voce potente, uscita da mezzo i convitati, gridò: "Barbara, non tagliare i capelli a quella ragazza!" Tutti si volsero: bisbigliarono di un pazzo. Era un membro del Parlamento inglese. I preti imposero silenzio, e le monache, le quali in altre simili funzioni avevano veduto de' protestanti, dissero alla superiora, ch'era rimasta colla mano sospesa, stringendo le forbici: "Tagliate! È un eretico." La chioma cadde, e presi il velo.

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Il ritorno del figlio. La bambina rubata.

245385
Grazia Deledda 1 occorrenze
  • 1919
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Verismo
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Ma io lo abbracciai: allora il suo viso d'un rosso scuro, tutto rugoso, si coprì come di una patina lucente: sorrideva. Aveva tutti i denti intatti, di vecchio lupo, e gli occhi del colore del mare. E cominciò a farmi dei cenni con la testa domandandomi dove andavo e che cosa volevo. Gli accennai che cercavo di lui. Di lui? Si fermò, fermandomi per il braccio. Trassi il taccuino e scrissi: "Ho bisogno di lavorare,,. Ma egli non sapeva leggere; e me lo fece sapere in modo grottesco, chiudendo gli occhi e battendo il dito sul taccuino per indicarmi che non vedeva la scrittura. Allora io feci atto di chi conta monete e mi battei la mano sul petto per significargli che avevo bisogno di guadagnare. Egli si fece pensieroso; poi mi guardò con sorpresa, infine con una cert'aria di derisione, che però sfumò subito: si rifece pensieroso: forse vedeva l'ombra di tristezza che passava nei miei occhi nell'accorgermi che anche lui mi credeva incapace di lavorare. Riprese a camminare ed io gli andai a fianco: egli aveva rivoltato la fiocina e la ficcava per terra; e scuoteva la testa: che lavoro poteva darmi? Se fosse stato in lui mi avrebbe subito nominato capitano di porto o qualche cosa di simile: ma egli non poteva niente ed era difficile darmi un posto, con la mia disgrazia! D'un tratto si volse, tornò indietro accennandomi di seguirlo: e mi condusse dal droghiere. II droghiere stava sempre al banco a servire le donne, col suo solito modo di prendere e pesar la roba con evidente dispiacere: poichè amava di vendere, ma avrebbe voluto pigliare i quattrini e non far diminuire la merce negli scaffali. Nel vederci entrare guardò il suocero con inquietudine, pauroso che qualche cosa d'insolito fosse accaduto nello stabilimento: il vecchio stava vicino a me, in atto di protezione: appena disse quello che io desideravo le donne si volsero a guardarmi, qualcuna con pietà, qualche altra con curiosità e anche con benevola derisione. Forse pensavano che la zia mi avesse cacciato di casa: mi fece dispiacere quel modo di trattare i miei affari, ma in fondo ero disposto a tutto, pur di trovare lavoro. II droghiere aveva ripreso a servire le donne e a segnare i conti su pezzi di carta straccia: io già provavo un senso di umiliazione credendo ch'egli neppure desse risposta alla raccomandazione del suocero, quando uno di quei brani di cartaccia gialla fu dato anche a me come un conto: c'era scritto: "torna da me verso la una,,.

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Una peccatrice

249849
Giovanni Verga 1 occorrenze
  • 1866
  • Augusto Federico Negro
  • Torino
  • Verismo
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«Lo abbracciai; piangendo anch'io; tremando convulsivamente del suo tremito; mischiando le mie labbra alle sue. « - Dillo! Pietro... dillo! - gridai con disperato sforzo di volontà, - tu non mi ami più!... tu non mi ami più come prima! «Egli rimase abbattuto, in silenzio, sulla panchetta della barca. «Quel silenzio durò cinque minuti. «Quando risollevò il volto fui atterrita dallo spaventevole pallore che copriva i suoi lineamenti solcati profondamente. « - Ascoltami, Narcisa! - cominciò egli con voce solenne, quasi calma: - io ho un sacro dovere di gratitudine verso di te... dovere che mi fanno care le reminiscenze che non potrò dimenticare giammai, e che formano ora il mio inferno... Eppure, te lo giurò sul mio onore, io non mi trovo colpevole... no!... che soltanto queste reminiscenze mi restino ora vicino a te... Tu hai il diritto di disporre di me, in tutto... Io sacrificherò al dovere quello che avrei sacrificato all'amore, e farò quanto è possibile all'uomo per renderti la tua felicità. Ho tanto provato di sì immenso nella voluttà del godimento, nel delirio dell'esser felice che forse all'uomo non è concesso di godere... e Dio mi punisce col soffiare su tutte quelle sensazioni che formavano il mio amore... che cerco invano da due mesi... e spegnerle per me. Nel tremito ardente dei tuoi labbri sul tiepore della tua pelle rosata, nelle nervose e convulse pressioni delle tue braccia, nel delirio fervente delle tue carezze; ho cercato invano un atomo, un atomo solo, di quello che provavo d'arcano, d'indefinibile, di più che terreno, quando, seduto sul lastrico della. strada, ti vedevo al verone, ciò che formava il delirio dei miei sogni; che nei primi trasporti del possederti, quando mi pareva di divenir folle per la felicità dell'amor tuo, io provai sino a quel parossismo del godimento che ci annienta, direi, nel godimento istesso, e che ci lascia sbalorditi della sua estensione. lo ho cercato invano questo profumo, questo vapore che ti circondava d'incenso come gli angeli, e in cui non osavo immergermi per timore di perdervi la ragione o di perdervi l'illusione... È duro, è crudele quello che dico... ma tu hai mente per apprezzarlo e cuore per perdonarmelo... come mi hai perdonato tutto quello che ti ho fatto soffrire da due mesi, che mi son rimproverato, e di cui il rimorso mi lacera... Quello che io piango, Narcisa, è l'amore che ho provato e che non posso più trovare... che cerco assetato per inebbriarmene, poichè la sete che ne ho è ardente, divoratrice, e che mi fugge sempre dinanzi come un fuoco fatuo... Io avrei paura, rimanendoti più a lungo vicino, che la stanchezza dell'animo non vincesse anche il desiderio ineffabile che ho di quest'amore... e che tutto questo tesoro di diletti che trovasi in te, di cui m'abbeverai forse sino all'ebbrietà, non vada perduto dell'intutto per me! Oh! io ho paura di ciò, Narcisa!... poichè la speranza di riamarti un giorno come ti ho amato, m'impedisce che mi bruci le cervella, non avendo più nulla a godere sulla terra. Bisogna che io mi allontani da te per qualche tempo, ch'io torni a dubitare della felicità che ho goduto... ch'io dubiti della speranza fin anche di questa felicità, per esser pazzo di te come ero quando passavo le notti innanzi la tua casa senza sperare un'occhiata da te... bisogna che io ti vegga ancora lontana da me, in mezzo allo pompe del tuo lusso, all'incanto delle tue seduzioni, per cercarti ansioso, cieco, folle, come allora; e stendere le braccia, delirante, invocando un altro sorso di questa coppa fatata... a cui fui tanto stolto da bere troppo... «Egli non potè più proseguire, soffocato dalla violenza della sua commozione; tenendosi il petto colle mani increspate da una violenta contrazione; inginocchiato ai miei piedi; coll'occhio luccicante di una fosca luce sul pallore quasi tetro del suo volto; coi capelli irti sulla fronte madida di freddo sudore. «Quest'addio che quel cuore mi dava era grande, era sublime, come l'amore di cui m'aveva amato. «Lo sollevai fra le mie braccia; lo baciai in fronte, sentendomi ancor io fredda di sudore ghiacciato, provando una forte risoluzione che quelle parole infondevanmi, la quale correva al cuore, quasi con gli smarrimenti di una vertigine, insieme al sangue che da tutte le vene vi affluiva. « - Addio dunque! - gli dissi con una calma nella voce della quale io stessa ero atterrita: - Addio, Pietro!... «Egli cercò i miei labbri coi suoi freddi, tremanti d'angoscia e di voluttà. « - Addio!... gli mormorarono ancora i miei labbri palpitanti nei suoi. - E svenni fra le sue braccia.

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