La signora non stende mai la mano ad un uomo che le viene presentato, china la testa mormorando o abbozzando una delle frasi sacramentali: fortunata di conoscerla, ecc. Due uomini s'inchinano entrambi; due signore possono stendersi la mano; ma tocca alla più ragguardevole per età o posizione prendere l'iniziativa. Ad ogni modo in queste cose si può, anche senza mancare alla buona educazione, seguire un poco il proprio carattere, e non trovo niente di male in una franca e spontanea stretta di mano, quando le persone che ci presentano destano a prima vista la nostra simpatia. La prima visita si restituisce entro gli otto giorni; tocca alla signora che ricevette la cortesia renderla presto, anzi ritornare più volte di seguito senza aspettarne un'altra, per provare che ha gradito la nuova relazione. Oltre queste visite volontarie, o, per così dire di elezione, vi sono quelle di dovere, che si fanno a date fisse, Natale o Capo d'anno, Pasqua, onomastici, condoglianza, congedo, ritorno, arrivo, puerperio, ecc. Le visite d'augurio, quando non sono ispirate dall'affetto, si fanno per obbligo ai superiori, ai parenti meno prossimi, a quelli cui s'è legati da un sentimento di gratitudine. Non è necessario fare a parole gli augurii rischiando di cadere nella banalità, é inteso che chi si presenta il giorno di San Silvestro, il ventiquattro dicembre, o il giorno del nostro compleanno, è venuto per bene augurare alla nostra vita. Per le visite di condoglianza bisogna lasciar passare qualche settimana dopo il triste avvenimento che le impone, a meno di una grande intimità; l'abito deve essere adattato alla circostanza, non colori chiassosi, non eccentricità; se non occorre un abito di lutto, ci vuole però un costume serio; non è necessario diffondersi in frasi convenzionali; dal momento che fate la visita, provate di associarvi al dolore recente del vostro ospite. Non é indispensabile, e neppure gentile, intavolare il discorso sulla persona perduta, ma è indizio di bontà cortese l'ascoltare i particolari, anche dolorosi, della disgrazia. Chi parte e chi arriva fa le visite d'addio o di ritorno; non tutti sono obbligati d'essere al corrente dei nostri affari, e il biglietto coll'enigmatico p. p. c., non basta per le relazioni intime. In qualche paese il nuovo inquilino di casa riceve le visite di quelli che l'hanno preceduto, i quali fanno domandare per via indiretta se sarebbe gradita la loro presenza; in generale è sempre meglio andare molto adagio nel far relazioni, ed è prudente non presentarsi in una casa dove non si è sicuri di piacere. Una signorina non fa visita ad una puerpera; questa, quando il medico e le forze glielo permettono, fa sapere che riceve. Ha preparato per tali visite una veste da camera di buon gusto e ammette nel santuario della sua stanza le amiche maritate. La culla, elegante quanto è possibile, le sta vicina, ed ella mostra il suo tesoro senza però imporlo alle visitatrici. Una signora in lutto grave non va a trovare una puerpera; i suoi veli neri stonano colla gaiezza della mammina e della casa, e potrebbero impressionare la giovane signora, che ha bisogno di calma; così pure non si visita un ammalato se si è in lutto, nè s'indossa per la circostanza una toeletta troppo chiassosa. In generale queste visite si fanno dalle quattordici alle diciassette, che sono le ore migliori per chi soffre o ha sofferto; si evitano i profumi, non si parla a voce troppo alta, il che, è bene ricordarlo, è sempre sconveniente; si deve aver cura di non far racconti troppo impressionanti; infine si agisce come si vorrebbe agissero gli altri verso di noi. II tempo propizio alle visite ordinarie comprende le ore del pomeriggio, e dura fino al momento che si sa, essere quello del pranzo della padrona di casa. In alcune famiglie usa che il servo o la cameriera annunzino, ad alta voce, il nome dei nuovi venuti via via che li introducono nel salotto; dato che sia ammessa l'abolizione delle presentazioni, quest'abitudine è buona assai, perchè impedisce equivoci spiacevoli specialmente alla signora che riceve. Ho detto prima che la padrona di casa non si alza se entra un uomo, però ella può, anzi deve farlo, se la persona che la onora della sua presenza è un vecchio o una di quelle celebrità artistiche, letterarie, che, come diceva una donna di spirito, non hanno sesso. Il primo dovere della persona che riceve è di accogliere ugualmente tutti i visitatori, di rendersi piacevole quanto le è possibile, colla cordialità, la bontà, lo spirito; infine, di fare in modo che il quarto d'ora, la mezz'ora passata nel suo salotto rimanga come un punto lieto fra le inevitabili piccole o grandi noie della giornata. Alle visite già accennate bisogna aggiungere ancora quelle che si fanno di sera: a queste una signora che non riceve nel vero senso della parola, che non dà balli, serate musicali, infine, che non fa qualche cosa per divertire i suoi ospiti, non invita che gli intimi, i quali, se sono uomini, sono tenuti ad indossare l'abito nero, se donne, debbono avere un abito semplice, ma grazioso; esse possono portare anche il lavoro, ma non deve essere di quei lavori comuni destinati all'intimità della casa; in una parola, gl'intervenuti hanno obbligo di provare che considerano la veglia come una cosa piacevole, una cortesia della signora, e mostrarne gratitudine. Non è un dovere, ma in quasi tutte le famiglie, dove si riuniscono alla sera gli intimi, si usa offrire il thè o qualche rinfresco. È la padrona di casa quella che presiede alla piccola tavola a questo scopo e con grazia preparata; essa può pregare una giovane amica, o un uomo di aiutarla; conoscendo già i gusti di ciascuno dà prova di molta compiacenza se ricorda ogni sera, senza farsele ripetere, le piccole preferenze e i vari gusti individuali. La tavola deve essere coperta con una bella tovaglia ricamata, e mostrare che la signora si occupa di giorno a rendere piacevoli le ore serali a quelli che gliele consacrano. È molto scortese di parlare di questi ricevimenti intimi a coloro che non vi sono ammessi. Quando, per una circostanza qualsiasi, la signora che ha per abitudine di ricevere una sera alla settimana, o anche tutte le sere, è costretta ad assentarsi o non può veder nessuno, deve preavvertire quelli che sono soliti visitarla, pensando che è poco piacevole, in una serata d'inverno, affrontare il freddo o la neve inutilmente e salire magari ad un terzo piano per poi sentirsi dire: la signora non è in casa. Se si è di cattivo umore, contrariati, in altre parole, se una persona non si sente disposta a rendersi piacevole, non va in società, e una padrona di casa, che ha il dovere dell'ospitalità oltre quello della cortesia che incombe a tutti, è tenuta a sapersi padroneggiare e a mostrare volto sorridente anche quando avrebbe forse voglia di piangere. Un marito cortese, anche se è abituato a passare la sera al club o al caffè cogli amici, vi rinunzia per far compagnia alla moglie in queste serate; e se per una combinazione non può rimanere, la moglie fa per lui le scuse agli ospiti. I bambini non assistono a questi ricevimenti, nè quelli della casa, nè tanto meno quelli degli invitati, ma di questi dirò dopo parlando della mamma.
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Non c'è niente di male a chiedere "per favore, il sale", abbozzando un lieve sorriso di cortesia e ringraziando. E se l'altra persona vi chiede qualcosa non fulminatela con lo sguardo, ma rispondete con gentilezza. Se vostro malgrado siete trascinati in una conversazione, tenetela sempre su un tono generico; del resto qualche parola con i vicini è inevitabile. Non aspettatevi che in treno siano rispettate dai cameriere certe formalità. È probabile che il giovanotto che vi siede accanto sia servito prima di voi semplicemente perché ciò semplifica servizio. Quando il cameriere vi chiede che cosa volete bere non sentitevi costretti a ordinare del vino per non fare brutta figura. Chiedete semplicemente dell'acqua minerale. Ma non pretendete acqua naturale perché non è possibile averla. Durante il pasto non fate commenti sulla qualità dei cibi. Non avete bisogno di far capire al prossimo che siete abituati a ben altro. La signorina si vede dallo spirito di adattamento e dalla tolleranza. È indiscusso che ognuno paga per sé. Se siete seduti accanto al finestrino aspettate che si alzi chi è seduto al vostro fianco. Non dovete disturbare nessuno, soprattutto se la persona vicina sta ancora bevendo il caffè o fumando una sigaretta. Nell' accomiatarvi, salutate i compagni di tavola con poche parole o un cenno del capo. Non dimenticate di dare una mancia al cameriere che vi ha servito.
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Tutto lentamente nasceva, fatto di quello che Madurer e Sakumat sapevano e immaginavano e desideravano, abbozzando, cambiando, disegnando, colorando. Il movimento della mano di Sakumat era pacato: sapeva attendere che attraverso la parola, le risate e i ricordi, il segno fosse insieme concordato. Scomparve il bianco della prima parete, e al suo posto ci fu una parte montagnosa del mondo, uno spazio ben distribuito tra il vicino e l'infinito, tra il basso e l'altissimo. Ogni colpo di pennello aveva creato una dimensione, una direzione e una verità. La pittura non si fermò. Scivolando sulla curva che raccordava le pareti, le montagne continuavano, mutando tessitura e tinta, abbassandosi in colline brune, spoglie di boschi e ricche di pietraie. Una zona pianeggiante fu poi distesa, con casupole sparse e lontani villaggi dai muri bianchi, molto simili a quelli di Nactumal. In primo piano, anzi in secondo, giacché in primo piano vi era una sensazione luminosa di aria, una trasparenza adatta a guardare, un carro di nomadi con la tenda azzurra attraversava un ponticello di legno su un torrente. Era una illustrazione trovata da Madurer su uno dei suoi libri, e cosí amata e guardata che Sakumat l'aveva rifatta sulla parete. Ma dietro, sul piccolo cavallo pelo-di-pepe che trottava legato al carro, avevano aggiunto una bambina col fazzoletto rosso in testa, che si chiamava Talya. — Dove va il carro, Madurer? — Va molto molto lontano, Sakumat. — Sí, ma è diretto verso le colline, laggiú, o dall'altra parte? — Perché lo chiedi? — Vedi, qui, dopo la curva, la strada non è ancora disegnata. Possiamo farla proseguire verso le colline, cosí, con un largo giro, fino a quel villaggio; oppure possiamo farla andare a destra, verso la nuova parete. — Cosa ci sarà sulla nuova parete, Sakumat? — Continuerà il mondo. Non avevamo pensato di metterci una pianura? Terra e terra fino all'orizzonte. — Sí. Fa' la strada che va verso la pianura, — disse il bambino, — il carro di Talya va laggiú. Quando arriverà laggiú, Talya scenderà dal cavalluccio e raccoglierà fiori... Però, per favore, fai anche una strada che va verso il villaggio. Il carro prenderà l'altra, ma perché lo vuole, non perché c'è una sola strada. — Certo, Madurer. Non c'è una sola strada, al mondo. La terza parete, e anche la quarta, diventarono una pianura. Ci vollero due pareti perché era una pianura molto grande e conteneva moltissime cose: due villaggi, uno vicino e uno lontano, campi di grano e tabacco, mulini a vento simili a quelli della lontanissima Olanda. Era proprio verso i mulini che viaggiava il carro di Talya, su una strada che tagliava campi e villaggi, costeggiava un fiume verde: finché, ormai nella quarta parete, a sinistra dell'ingresso da cui la pittura era partita, arrivava ad una città assediata. Coloratissimi accampamenti di soldati circondavano le mura giallastre della città fortificata, batterie di panciuti cannoni sparavano palle e drappelli di cavalieri sollevavano polvere in carosello attorno alle mura. C'erano anche una catapulta e una torre di legno da cui gli arcieri scagliavano frecce contro i difensori della città. Ma gli assediati si difendevano bene, e si vedeva che avrebbero potuto resistere ancora per molto tempo. Sulla cima delle muraglie, incuranti di frecce e proiettili, donne belle ed eleganti osservavano l'accampamento avversario come una festa di parata. E, a ben osservare, che altro facevano i cavalieri assedianti, se non delle manovre per farsi ammirare dalle donnine di lassú? Che senso aveva il loro trotto, sotto le inespugnabili mura della città? Pensavano forse di poter spiccare un salto, e portare l'attacco all'interno? Ma le mura erano cosí alte e munite che i poveri fanti, piú in là, cadevano a grappoli dal tentativo di scalarle, e finivano come oche e porci nel fossato. Sakumat impiegò tre mesi a dipingere l'assedio. Era una scena molto complicata, e ogni giorno si aggiungevano personaggi, vicende, storie da raccontare. Poi, con l'aggiunta di un piccolissimo principe assediante che spediva con un piccione un messaggio ad una principessa assediata, quella parte dell'opera fu compiuta. Sarebbe riuscito, il piccione messaggero, a volare illeso nel cielo turbinoso della battaglia? Molte frecce, in basso e in alto, erano puntate nella sua direzione; molti proiettili percorrevano la loro rotta invincibile, senza badare al bianco delle sue penne... Sakumat e Madurer sapevano che i soldati, guerreggiando, spesso si annoiano: e preferiscono mirare a un uccello, che cade senza un grido, piuttosto che tra corazza e corazza dei nemici, con il rischio di colpirli, e sentirli gridare e vederne sgorgare sangue come da una brocca rotta... Tuttavia, per ora, il piccione era là, puro e chiaro nei primi metri del volo: e da lassú, sporta da una feritoia come dalla speranza, la principessa lo guardava arrivare, e col suo sguardo lo proteggeva. Erano ormai trascorsi otto mesi dall'arrivo di Sakumat a Nactumal: ma la pittura, avvolgendosi all'angolo smussato della soglia, non si fermava. Come un orizzonte aperto, la pianura la trapassava verso la seconda stanza, allontanandosi da mulini e assedi, e innalzandosi in dolci ondulazioni nella forma di nuove colline. — Perché ancora colline, Sakumat? — diceva il bambino. — Non abbiamo deciso che in questa stanza comincia il mare? Sakumat non rispose, continuando rapido il disegno. Ma non passò molto che la linea morbida dei colli si interruppe, e un segno netto calò, disegnando una scarpata quasi verticale. Poi, tenendo leggermente il carboncino fra due dita, il pittore tracciò una linea sottile, continua, perfettamente orizzontale, per l'intera parete. — Ecco il mare, Madurer. Il bambino seguiva con lo sguardo la nascita dell'orizzonte. — Non ti fermare, per favore, — disse. Sakumat aveva ormai superato l'angolo tra le pareti. — Ancora? — chiese senza voltarsi. — Sí, ancora! Per tutta la parete, e anche l'altra... per favore! — disse Madurer. — Facciamo tutto il mare, in questa stanza! Sakumat non si fermò. Lentamente, con sicurezza, tracciò la linea orizzontale tutto intorno interrompendola all'ingresso della terza stanza e riprendendola dall'altra parte, fino a tornare alla porta tra la prima stanza e la seconda. — Ecco, è tutto il mare, — disse. Madurer, in piedi al centro della stanza, girava lentamente su se stesso, guardando intensamente la linea leggera che divideva lo spazio bianco della parete. Girò piú volte, rosso in faccia, con gli occhi lucidi e le mani che stringevano l'aria in strane contrazioni. — Sopra è il cielo, e sotto è il mare, — disse. All'improvviso, con uno dei suoi scatti leggeri, corse nella prima stanza e tirò una corda appesa vicino all'ingresso principale. Dopo un istante entrò la piú anziana delle servitrici. — Alika! Corri a chiamare mio padre! — disse il bambino. — Non stai bene, mio piccolo signore? — chiese la donna guardandolo in faccia. — Sto molto bene, Alika, — disse Madurer. — Voglio soltanto che venga mio padre, per mostrargli una cosa. Fai in fretta, per favore!
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Una grassa mulatta, che era curva su un vecchio fornello arrugginito, si volse abbozzando un saluto e continuò a mescolare in una casseruola dove cuocevano dei fagioli. Rossella sapeva che Johnnie Gallegher viveva con quella donna; ma ritenne che fosse meglio fingere di ignorarlo. Vide che eccettuato i fagioli e un pane di granturco non vi erano altri preparativi per la cena. - Non fate altro per questi uomini? - No, signora. - C'è della carne a cuocere insieme a quei fagioli? - No, signora. - Non c'è lardo? Ma i fagioli non valgono nulla senza lardo. Non nutrono abbastanza. Perché non c'è lardo? - Mist' Johnnie dice che è inutile. - Dovete mettercelo. Dove tenete le provviste? La negra volse gli occhi spaventati verso un piccolo armadio a muro che serviva da dispensa e che Rossella spalancò. Vi era a terra un bariletto aperto di farina di granturco, un sacchetto di farina di frumento, una libbra di caffè, un poco di zucchero, un barattolo di sorgo e due prosciutti. Uno di questi, posato sulla scansia, era stato cotto da poco e ne erano state tagliate un paio di fettine. Rossella si voltò verso Johnnie come una furia e incontrò il suo sguardo incollerito. - Dove sono i cinque sacchi di farina di frumento che vi ho mandato la settimana scorsa? E il sacco di zucchero e quello di caffè? Ho mandato cinque prosciutti e dieci libbre di lardo e non so quanti sacchi di ignami e di patate... Dove sono? Non potete averle consumate in una settimana, anche dando agli uomini cinque pasti al giorno. Avete venduto tutto, ladro che siete! Venduto i miei viveri e vi siete messo in tasca il denaro; e a questi uomini date fagioli e pane di granturco! Sfido che sono cosí magri! Levatevi di lí. Gli passò davanti impetuosamente e andò alla porta. - Ehi, voi lí in fondo! Sí, voi...! Venite qui! L'uomo si alzò e andò goffamente verso di lei, facendo tintinnare le catene; ella vide che i suoi malleoli nudi erano rossi e irritati per lo strofinare del ferro. - Quando avete avuto del prosciutto l'ultima volta? L'uomo guardò a terra. - Parlate! L'uomo continuò a tacere, avvilito. Finalmente alzò gli occhi, guardò Rossella implorando e li riabbassò. - Paura di parlare, eh? Bene, andate in dispensa e prendete quel prosciutto sulla scansia. Rebecca, dàgli il tuo coltello. Voi, portate il prosciutto a quegli uomini e dividetelo con loro. E tu, Rebecca, prepara delle focacce e del caffè per costoro. E dàgli del sorgo in abbondanza. Subito, cosí vedo mentre glielo dai. - Questo essere caffè privato e farina di mist' Johnnie - azzardò Rebecca sgomentata. - Di mister Johnnie, proprio?! Suppongo che anche il prosciutto sia suo. Fai quello che ti dico. Sbrigati. Johnnie Gallegher, venite con me fino al carrozzino. Attraversò lo spiazzo in disordine e si arrampicò nel veicolo, osservando con cupa soddisfazione che gli uomini strappavano il prosciutto a brandelli che ficcavano voracemente in bocca. Sembrava che temessero che qualcuno potesse da un momento all'altro rapir loro quel cibo. - Siete un vero furfante! - gridò furibonda a Johnnie che era accanto alla ruota, col cappello ricacciato indietro sulla fronte aggrottata. - E mi consegnerete il prezzo dei miei viveri. Per l'avvenire vi porterò le provviste giorno per giorno invece di mandarvi il necessario per un mese. Cosí non potrete truffarmi. - Per l'avvenire io non ci sarò. - Vi licenziate?! Ebbe l'impulso di gridare: «Tanto meglio!» ma la fredda mano della prudenza la trattenne. Che farebbe, se Johnnie se ne andasse? Con lui, era stato prodotto il doppio di legname di quanto se ne produceva sotto la gestione di Ugo. E proprio adesso ella aveva ricevuto una grande ordinazione, la piú grossa che avesse mai avuta; ed era urgente. Se Johnnie se ne andava, chi provvederebbe alla gestione dello stabilimento? - Sí, mi licenzio. Voi mi avete dato qui pieni poteri, e mi avete detto che da me non volevate altro se non la maggior quantità possibile di legname. Non mi avete detto allora che sistemi dovevo usare; e non intendo che veniate a dirmelo adesso. Non potete lagnarvi che io non abbia rispettato il contratto. Come ottengo il risultato, è cosa che non vi riguarda. Vi ho fatto guadagnare del denaro e ho ben guadagnato il mio salario... e quello che ho potuto arrangiare in piú. E adesso voi venite qui a immischiarvi, a rivolgere delle domande agli uomini, a distruggere la mia autorità. Come volete che, dopo questo, io possa conservare la disciplina? Che vi importa se occasionalmente qualcuno riceve un colpo di frusta? Sono degli indolenti che meritano anche di peggio. E se anche non sono rimpinzati?... Non meritano di meglio. O vi occupate degli affari vostri e lasciate che io mi occupi dei miei, o me ne vado stasera stessa. Il suo viso duro era piú spietato che mai; e Rossella si sentí incerta sul da farsi. «Che farò, se se ne va stasera? Non posso rimanere tutta la notte a guardia dei galeotti!» Evidentemente il suo volto rivelò il suo pensiero, perché l'espressione di Johnnie mutò alquanto e i suoi occhi sembravano meno crudeli. Anche la sua voce suonò meno aspra. - Si fa tardi, signora Kennedy; è meglio che andiate a casa. Non ci guasteremo per una piccola cosa come questa; vi pare? Potete trattenere dieci dollari sul mio stipendio del mese prossimo e siamo pari. Gli sguardi di Rossella andarono involontariamente al miserabile gruppo che stava divorando il prosciutto; poi pensò al malato. Avrebbe dovuto liberarsi di Johnnie Gallegher che era un ladro e un aguzzino. Chi sa che cosa faceva a quei disgraziati quando lei non c'era... Ma, d'altra parte era abile; e lei aveva bisogno di un uomo che sapesse il fatto suo. Inutile: ora non poteva mandarlo via. Soltanto, in avvenire sorveglierebbe che i forzati avessero le giuste razioni di vitto. - Vi tratterrò venti dollari - disse brevemente - e tornerò a discutere su questa faccenda di mattina. Raccolse le redini. Ma sapeva che non se ne sarebbe piú parlato. Era un affar finito; e anche Johnnie lo sapeva. Mentre percorreva il viottolo verso la strada di Decatur, la sua coscienza e il suo desiderio di guadagno combatterono un'aspra battaglia. Non vi era scopo ad esporre delle vite umane alla brutalità di quel piccolo uomo. Se uno di quei disgraziati moriva, ella sarebbe colpevole quanto lui, perché lo aveva lasciato a quel posto conoscendo i suoi mali trattamenti. Ma d'altra parte... d'altra parte, quegli uomini avevano il torto di essere dei forzati. Se avevano commesso dei delitti ed erano stati arrestati, meritavano ciò che loro capitava. Ciò in parte sollevò la sua coscienza; ma mentre percorreva la strada, i visi smunti dei forzati le tornarono dinanzi agli occhi. - Oh, vi penserò dopo! - si disse; e ricacciando il pensiero nel fondo piú recondito della sua mente, richiuse la porta del ripostiglio in cui nascondeva le immagini piú segrete.
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. - Mi spaventi - rispose Maria abbozzando un sorriso, e poichè il passo del marito già risuonava, nella stanza vicina, aggiunse. - Ma chi hai dunque sposato? - Non te l'ho ancor detto? Vedilo, il professore Emanuele Campo... Maria emise un grido rauco, soffocato; fu assalita da uno smarrimento improvviso; si aggrappò colle mani contratte ai bracciuoli della poltrona quasi temesse di cadere; e Sofia nulla vide, nulla udì, essendo balzata verso l'uscio, spalancandolo, con fracasso di imposte sbattute e di allegro vocio. Emanuele Campo entrò.
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