Molte cose sono cambiate e sovvertite da trent'anni fa: non più il padre o lo zio o il parente più decorativo del candidato si presenta in redingote, con guanti paglierini abbottonati e cappello duro in mano, al padre della signorina; - non più la signorina, che doveva fingersi ignara, viene chiamata nello studio del padre e deve rispondere a occhi bassi: «se i miei genitori sono contenti...». Ora, generalmente, la gioventù s'accorda da sè; i padri o un amico comune trattano la questione finanziaria... e un bel giorno tutti sanno che la signorina X diverrà, tra poche settimane, la signora Y. Mentre non soltanto Giannino Antona Traversi, nella sua commedia, ma tutte le persone di buon senso e di sentimento calcolano «i giorni più lieti» quelli del fidanzamento, nella febbrile vita di tanta gente, che è una corsa (a che cosa?) intrapresa a 300 km. l'ora, diventa un'assoluta mania quella di sbrigare le cose presto, presto, presto... Risultato di tutto ciò è che i 40 giorni o i due mesi del fidanzamento divengono una pazza ridda di ricevimenti e di daffare... No; un fidanzato veramente assennato e una mamma veramente pratica della vita, dovrebbero ricordare che nulla strapazza e rovina un organismo femminile quanto il non avere un momento di riposo vero, quanto le veglie a teatro e i balli, quanto le interminabili sedute (oh ironia del vocabolo!), tenute in piedi con sarte, modiste, pellicciai, viaggiatori di biancheria ecc. ecc. E tutto ciò mentre, stabilendo una durata di almeno sei mesi al fidanzamento, tutto potrebbe venire disposto con calma, e i fidanzati godrebbero (se si vogliono bene) la gioia presente, quella di far progetti per l'avvenire, e,arriverebbero alle nozze riposati, sereni e soddisfatti. Se, poi, per una combinazione, sei forniture di biancheria arrivassero anche otto giorni dopo il matrimonio, il mondo non cadrebbe... Noi donne dovremmo imparare sempre a non calcolare catastrofiche certe eventualità della vita, a non desolarci e affannarci per avere tutto per il tale giorno... quando, come in questo caso, la sposa avrebbe sempre lasciato le sei forniture in un cassetto o in un baule!...
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Sono quelli che escono di casa male abbottonati, che buttano il soprabito sulle spalle invece d'infilarlo, che sono nemici mortali dei guanti. E il cappello! Talvolta se lo caccian sino agli occhi, e danno l'impressione del malumore e della scontrosaggine; talvolta se lo lasciano andar sulla nuca, e fanno l'effetto di goffi e sbadati. Se poi lo lascian pendere sull'orecchio, corrono il rischio d'essere, e proprio senza colpa, giudicati per arroganti e pretenziosi. L'ombrello non va tenuto obliquo sotto braccio... Ognuno sa poi quanta importanza abbia la calzatura ai tempi nostri, in cui l'eleganza e la varietà sono diventate una vera mania. Chi ha i mezzi di concedersi scarpine finissime e calze di seta, faccia pure; sarà un complemento necessario, badi almeno che la calzatura sia pulitissima, ben tenuta, e non dia nell'occhio per colori vistosi o singolarità di cattivo gusto. Regole speciali sono prescritte per le vesti da lutto, a seconda del grado di parentela, del paese, delle circostanze. E' vero che ora tali regole par si vadano rilassando, e per motivi che non fanno punto onore al cuore umano: tuttavia, eccole quali sono nell'uso più comunemente osservato. Per le vedove il lutto dura due anni; e il primo anno, o almeno i primi sei mesi, si può portare con velo o crespo. L'abito di semplice lana guarnito di crespo o liscio; il soprabito di panno nero. La pelliccia anche di colore non rompe il lutto. Nel secondo anno si ammette qualche guarnizione sul vestito e si toglie il crespo. Verso la fine dell'anno, comincia ad essere ammessa qualche lieve guarnizione bianca, grigia o violacea, che segna poi il passaggio al così detto mezzo lutto. Allora predomina il grigio con guarnizioni nere, il viola e il lilla, ed è anche ammesso il bianco, ma con qualche accenno al nero. Se però la vedova si rimarita prima, tronca il lutto e veste come le piace. Per i genitori il lutto grave è di sei mesi, indi il mezzo lutto, e così per i suoceri. Per i nonni sei mesi tra lutto grave e mezzo lutto, e così per i fratelli e i cognati; per gli zii quaranta giorni di lutto grave, pei cugini sei settimane di mezzo lutto. Tali sono le regole generalmente osservate nell'alta Italia. Ma nell'Italia meridionale i lutti si prolungano molto più, e quello delle vedove dura spesso tutta la vita. E siccome tali dimostrazioni non sono esteriori soltanto, ma corrispondono a una reale condizione dell'animo, dobbiamo farne la debita stima. Come s'è detto sopra, si tende però ora generalmente ad abbreviare o a sopprimere addirittura il lutto, specialmente per parenti che non vivevano nella stessa città. Dai parenti da cui si eredita, siano essi anche lontanissimi prozii o cugini, è obbligo il lutto. E aggiungo un'avvertenza che veramente dovrebbe suonare umiliazione per chi sente di doversela applicare. Il lutto indica un sacro dolore, un senso di rispetto e di rimpianto per l'estinto. Non profaniamoli dunque con fogge vistose, con mode sconvenienti. Le signore sovraccariche di perle nere, di vezzi cascanti, quelle che fanno ondeggiare il loro velo su una gonna che mostra i polpacci, quelle che al severo emblema del dolore uniscono le scollacciature e le sbracciature, o mal nascondono le carni sotto veli trasparenti, abbiano piuttosto la franchezza di smetterlo, e di non presentare lo spettacolo di una vanità vergognosa, unita all'assenza di sentimento e di decenza. Per gli uomini, il gran lutto è il vestito tutto nero; ma molti ora usano semplicemente il crespo al cappello o al braccio. Non si può dar una regola assoluta, ed è meglio prender norma dalle circostanze.
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Si presentaron due sconosciuti, col cappello basso su gli occhi, abbottonati fin sotto il mento in una palandrano nero. La fanciulla mise un grido, balzando indietro atterrita; la vecchia spalancò tanto d'occhi, e facendosi ritta ritta su la persona, appuntò le braccia su l'anche, in atto di stupore e di dispetto. Ma l'uno de' due sconosciuti, avanzatosi verso le donne, si pose l'indice della mano attraverso alle labbra, e: «State zitte, » disse loro, «non v'inquietate, non gridate! non veniamo per farvi nessun male; noi siamo impiegati, facciamo il nostro dovere; e non si cerca di voi. Ma, per amore, silenzio!» «Eh! ch'io non so niente, e qui non c'è nessuno!» cominciò a gridare la vecchia. «E.... e....» «Silenzio, dico, adesso!» ripetè colui: «risponderete a quel che siamo per domandarvi. E voi,» soggiunse voltandosi al compagno - una faccia lunga, scura e smorta, che gli stava sempre alle spalle, come la sua ombra - «ponetevi là, a quel tavolino, e scrivete.» E l'altro fece, senza dir nulla. «Siete voi la vedova Giuditta ****?» chiese allora l'uomo che parlava. «Sì, son io!» rispos'ella; «ma perchè voi.... perchè lui?... che c'entro io? «Voi, tacete! E la giovine qui presente è la nominata Angiola Maria ****?» «Son io quella; » rispose alla sua volta la fanciulla, ma con voce debole e tremante. «Bene! » E si rivolse di nuovo alla vecchia: «Abita in casa vostra il prete Carlo ****, fratello di questa giovine?» «Sì, ma è solamente da pochi dì; ch'io stessa gli ho fatto il piacere di tenerlo qui, con questa sua sorella; e l'ho fatto perchè siam vecchi amici, e se al mondo non ci fosse un po' di carità....» «Basta, tacete! non ho domandato questo.» «Ma se non posso tacere! sono una donna onesta, nè voglio che il primo....» «Tacete! vi replico, e badate a me. Da quanto tempo quel prete abita qui?» «Fanno giusto quindici giorni ieri.... è stato un venerdì. Quando si dice!... ecco cosa vuol dire un venerdì!... in verità santa, è cosa da non credere.... una storia simile non m'è capitata mai!» «Volete finirla con queste chiacchoere inutili? Ditemi piuttosto, dove tenete la roba della persona che alloggiate?» La Giuditta, inasprita più che mai, non sapendo comprendere la ragione di quest'interrogatorio, rispose alzando le spalle, e con un gesto indicò l'altra camera; poi si mise a guardare or l'una or l'altra di quelle due facce, per vedere se le riuscisse di raccapezzare qualche cosa di così fatto garbuglio. Ma l'uno, senza complimenti, preso un lume dalla tavola, e accesolo, passò nella vicina stanza, come egli fosse in casa sua; l'altro intanto continuava a scrivere col muso duro, inchiodati gli occhi sul suo scartafaccio. Maria, tutta piena di spavento, non osava quasi respirare; essa aveva indovinato che il suo povero Carlo correva qualche gran pericolo, e che coloro eran venuti per metter le mani sul fatto suo: resa ardita dal suo stesso terrore, si mosse per correr dietro a quell' uomo, e domandargli, per la pietà del cielo, che mai fosse avvenuto del fratel suo. Ma colui, contento di aver trovato di là quanto cercava, ricomparve su l'uscio, tenendo sotto il braccio un piccolo fascio di carte, e alcuni libri (erano le memorie, il breviario , un vecchio Dante, e la Bibbia del buon prete). Pose il tutto su la tavola, e rilegando con somma diligenza il fascio, v'improntò, senz'altro dire, un gran suggello. Poi, volgendosi alla giovinetta, tolse fuori e le porse una lettera, dicendo: « È di vostro fratello. Per quest' oggi la nostra incombenza è finita; buona notte!... » E fece un cenno al collega; il quale si levò, riposto via il grosso scartafaccio, e si chiuse di nuovo nel suo palandrano. E per dov' erano venuti, uscirono. La fanciulla allora s' abbandonò su la seggiola più vicina, tenendo stretto fra le mani il foglio fatale, che non aveva cuore d' aprire. Ma quando la vecchia, strabiliata ancora di quant' era succeduto, fece per toglierle quella carta, allora Maria la riguardò in volto, corrucciata insieme e pietosa; poi, chinati gli occhi, lesse, che quasi le mancava la voce: « Maria, mia cara sorella! Chi ti consegnerà questa lettera, ti dirà anche ciò che sia di me. Il cuore mi piange di dover lasciarti sola per qualche tempo; ma rassicùrati, non sarà che per pochi giorni, forse per poche ore! Pure, te ne prego, fa in modo che nostra madre venga anch' essa al più presto a Milano. Povera donna!... In quanto a me, non dirle altro per carità, se non che sono ammalato, che spero e ho bisogno di rivederla. Il cielo benedica te e lei. Di' ancora alla buona signora Giuditta che mi compatisca e mi perdoni. - E intanto prega il Signore per me, e fatti cuore; io non ho nulla da rimproverarmi in faccia agli uomini. Mia amata, mia infelice sorella! ricòrdati sempre, che quanto succede quaggiù, è tutto per volontà di Dio!... » Misera giovinetta! - Che cuore fosse il suo allora, di quale spavento, di quali fantasimi fosse agitata e piena per lei la notte che seguì quel terribile giorno, nessuno il potrebbe immaginare, non che dirlo. Ahimè! tutto l'affanno che può versarsi in cuore umano, era versato nel suo; e per maggior dolore, la sorgente di questa nuova sciagura era per lei un mistero.
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