Vocabolario dinamico dell'Italiano Moderno

UNICT

Risultati per: abbottonarsi

Numero di risultati: 2 in 1 pagine

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Sull'Oceano

171435
De Amicis, Edmondo 1 occorrenze
  • 1890
  • Fratelli Treves, Editori
  • Milano
  • Paraletteratura - Divulgazione
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E dopo ogni lite le due parti si separavano nemiche e gonfie di dispetti, che trasfondevano poi a prua nei loro compaesani dei due sessi; i quali a poco a poco s'andavano dividendo in due schiere, e si guardavano in cagnesco, e s'insultavano, scansandosi a vicenda, come per paura di essere impidocchiati, o affettando di abbottonarsi la giacchetta e di toccarsi in tasca quando si passavano accanto, come per salvare il portamonete o il fazzoletto. Oh miseria. ll Commissario, per quanto fosse sollecito, non aveva tempo d'ascoltar le querele di tutti, e per quanto fosse paziente, doveva qualche volta piantarsi i denti nella seconda falange dell'indice. La grossa bolognese, la cui alterigia montava con la temperatura, voleva far perquisire tutto il piroscafo perchè le avevan portato via un pettine di tartaruga, e minacciava di far screditare la Società di navigazione da suo fratello giornalista, appena sbarcata in America. La povera signora dal vestito di seta era disperata perchè le avevan rubato una piccola spilla d'argento, un ricordo di sua sorella, diceva; ma non osava di ricorrere al Commissario per timore di qualche vendetta. E c'eran delle donne che, non tanto per timore quanto per mostrare una diffidenza ingiuriosa alle vicine, dormivano con tutte le loro robe ammontate fra le braccia e fra le gambe, anche a rischio di provocare la calunnia coi falsi contorni dell'adulterio. Una vera pazzia, insomma. E ancora le quistioni che nascevan da furti veri o mentiti eran le meno difficili. Il peggio era che l'irritazione aveva svegliato in tutti una delicatezza d'amor proprio straordinaria, che s'adombrava d'una mezza parola o d'un mezzo sorriso, tanto che ogni momento si presentava qualcuno al Commissario a lamentarsi d'una mancanza di rispetto, e il Commissariato si dovea convertire in una specie di tribunale per la casistica della dignità e della buona creanza. Il marinaio gobbo diceva che non si potea più campare. - Dixan che gh'è de ladre! (dicono che ci son delle ladre) - esclamava, poichè non parlava mai altro che delle donne; - ma se non s'imbarcassero le ladre, non si farebbero nemmeno più le spese del carbone, che dio le sprofondi! - A come si mettevan le cose c'era da aspettarsi da un'ora all'altra qualche baruffa seria. Già la sera innanzi, dopo il battesimo, due passeggiere s'eran fatte una cappelliera, alla muta, da signore ben educate, in un angolo oscuro del dormitorio. E la sera del giorno dopo toccò di peggio al povero scrivanello. Essendosi lasciato sfuggire una parola d'indignazione contro due emigranti che facevan degli atti osceni dietro alle spalle della genovese, provocando le risatacce di tutti, quelli gli misero le mani addosso, e stavano per conciarlo male, quando passò di là per caso il garibaldino, e lo liberò, che aveva già la cravatta in brindelli. Tutti effetti del "focolare elettrico del globo." E il Commissario seguitava a dirmi: - Ne vedrà di peggio.

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L'indomani

246112
Neera 1 occorrenze
  • 1889
  • Libreria editrice Galli
  • Milano
  • Verismo
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Involontariamente guardò il signor Merelli, poi la piccina, poi si pose ad abbottonarsi un guanto. Si udivano i respiri delle quattro persone e della personcina: - Mi pare che non tieni allegri la signora sposa! - tuonò Merelli - e dov'è andata Ninetta? Ninetta! Con la prontezza di un baleno la serva apparve. - Prepara il caffè. Alberto volle protestare, Marta anche. - Che? disse Ninetta. È subito fatto. - Non prendo mai caffè - soggiunse Alberto - e mia moglie... Ninetta intervenne lestamente: - Un bicchiere di vin bianco allora? - Brava! - fece Merelli. - Ben pensato; va' a prendere il vin bianco. Durante la piccola discussione la signora Merelli non s'era mossa, con le mani incrociate sul grembo, dolcemente. La bambina, accanto a lei, rosicchiava il suo pane con un grazioso rumore di topolino sotto un uscio. Ninetta tornò, sorreggendo con una mano il vassoio carico di bicchieri, coll'altra tenendo la bottiglia. - Conduci via l'Adelina - le disse piano il signor Merelli - non vuole ubbidire. La serva rispose con un'occhiata d'intelligenza, ma prima stappò la bottiglia, versò il vin bianco e lo servì, e siccome Marta esitava, ella la incoraggiò, assicurandola che era vino schietto, fatto in casa. Indi prese per un braccio l'Adelina, scuotendola un poco, mormorandole all'orecchio che era una cattivaccia, e se la trascinò dietro in cucina. Marta, che pure aveva una certa pratica di società, non trovava una parola. Guardava quella famiglia singolare, cercando inutilmente lo sguardo di suo marito, che sembrava sotto il fascino di Merelli. - Ha la mamma, nevvero? - chiese ad un tratto la voce fioca della signora Merelli. - Si, ho la mamma. - Il padre no? - No, sgraziatamente. - È proprio una disgrazia quando muore il capo di casa! La signora Merelli, che era rimasta coll'occhio vagante, quasi seguendo nell'aria lo svanire delle proprie parole, riprese, rassegnata sotto il peso dei suoi doveri di padrona: - E fratelli? - Nessuno. Ero io sola con la mamma; ora sono sola con Alberto. - Ma non starà a lungo sola! - soggiunse con una grossa risata il signor Merelli. Marta tornò ad arrossire. - Vorrei andare un momento a vedere la Pina - mormorò la signora Merelli, che aveva esauriti tutti i suoi argomenti di conversazione. - Va e conduci la signora. - Oh!... non è un divertimento... Marta protestò che le avrebbe fatto piacere conoscere anche l'altra bambina. S'avviarono su per una scala modesta, cogli scalini di mattonelle, ed entrarono in uno stanzone che serviva di guardaroba, di dormitorio e di ripostiglio per gli stivali del capo di casa: stivali rossi di cuoio, stivaloni lunghi a gambiera, uose, tiranti, il tutto allineato lungo una parete, colla canna di un fucile che luccicava in un angolo e la casacca di fustagno dai bottoni di rame, gettata sullo schienale di una sedia, tesa ancora e quasi calda della plasticità vigorosa di chi la aveva rivestita. Davanti al letto della piccina, intanto che Marta ne lodava il volto intelligente, la madre sospirò: - Lei è adesso nella sua luna di miele... le auguro che duri a lungo. - Oh! sempre - esclamò Marta con vivacità. Un'espressione di meraviglia passò negli occhi della signora Merelli, che poco dopo soggiunse: - Almeno non avesse troppi figli... perchè qualcuno ci vuole, ma troppi! Io non ho aspettato neanche un giorno; nove mesi giusti dal dì del mio matrimonio nacque Battistino. - Davvero? - fece Marta - È egli possibile? - Come le dico. E ho sofferto tanto quella volta! Si allontanò dal letto voltando le spalle alla bimba: - Tre giorni interi coi dolori e poi un male, un male... Marta ascoltava, terrorizzata, sentendosi un brivido alla superficie della pelle. Dopo un po' di silenzio si arrischiò a domandare: - E gli altri? - Meno; tuttavia è una gran brutta parte che il Signore ha dato a noi donne. Gli uomini hanno tutto di buono, essi! Quante domande sulle labbra di Marta! Quella donna maritata da dieci anni avrebbe potuto scioglierle una quantità di problemi, ma non osò. Diede timidamente un'occhiata all'esercito degli stivali e a quella casacca baldanzosa, meditando le parole: hanno tutto di buono essi! E le parve di sentire l'eco di risate rumorose, di passi pesanti, di parole alte e brutali, tutto un egoismo scettico di padroni e di conquistatori. Di ritorno nel salotto provò un'impressione di sollievo vedendo Alberto. - Partiamo? - gli disse. Egli rispose gentilmente: - Come vuoi. Nell'andito sbucò fuori la Ninetta, complimentosa, aggiungendo i propri saluti a quelli che i suoi padroni andavano facendo agli sposi. Le due signore si abbracciarono, promettendo di vedersi spesso. Ninetta soggiunse: - Ma sì, venga! Quando la porta della casa gialla fu chiusa, Marta si strinse al braccio di suo marito. - Ti sei annoiata un pochino? - chiese egli ridendo. - No, ma desideravo trovarmi sola con te. Mi pare che tutti gli altri abbiano a portarmi via qualcosa del mio Alberto, perchè tu sei mio, non è vero? - Oramai, se anche non volessi, è cosa fatta. - E quel signor Merelli è lui pure tutto di sua moglie? - chiese Marta insidiosamente. - Oh! capirai, non posso saperlo... - Non mi piacerebbe per marito. - Ne sono ben lieto. - È grossolano. - Un pochino. - E troppo pingue. - Converrai che di questo non ne ha colpa. Sua moglie, che te ne pare? - Una buona donna, con poco spirito se vuoi, oh! ma ha sofferto tanto. - Ti ha raccontato?... - Si, il suo primo parto... - Ah! solamente ciò? - Sicuro - fece Marta, dandosi l'importanza di una matrona iniziata a segreti misteri. Tacquero fino a casa. Sulla soglia trovarono il dottorone, impettito. Egli, che era già stato presentato a Marta, la salutò chiedendole che cosa l'era parso dei coniugi Merelli. - Ma... gentili. - E la servetta? Il dottorone lanciò questa domanda con tale malizia negli occhi, che Marta stupì. - Andiamo - fece Alberto prendendo il, dottore sotto braccio - vieni a desinare con noi. - Non posso. Ho a casa una galantina di lepre con certi tartufi che sono una meraviglia. La mia serva non ha l'abilità della Ninetta... ma per la galantina! Si baciò la punta delle dita, sempre con gli occhi birichini, e fatta una scappellata alla signora, e detto che s'era fermato apposta per augurarle il buon pranzo, se ne andò, lento lento, col corpaccione male assettato nell'abito nero, coi calzoni color lumaca troppo corti, il cappello a tuba posto in bilico sopra l'orecchio. Marta si spogliò in fretta; doveva preparare una salsa di cui ella sola conosceva la ricetta e che, nel suo ardore di neofita, giudicava più accetta ad Alberto, se fatta da lei. Comparve a tavola tutta rossa, impaziente di conoscere l'esito. Quando Alberto ebbe dichiarato che la salsa era gustosa, allora si calmò; mangiò e bevve di buonissimo umore; fece l'enumerazione dei piatti che preferiva, combinandoli con quelli preferiti da Alberto, vedendo con soddisfazione che si incontravano nel gusto. - E, dimmi - esclamò improvvisamente - che cosa intendeva il dottore con le sue allusioni alla serva dei Merelli? Alberto era l'uomo meno adatto del mondo a nascondere checchessia; rispose, un po' imbarazzato, che il dottore scherzava volentieri. - Non è ciò - interruppe Marta a cui si schiarivano le idee meravigliosamente - se non ci fosse nulla di positivo, lo scherzo non avrebbe avuto ragione d'essere. - Ebbene, disse Alberto, pensando che, in fin dei conti, la cosa non lo riguardava affatto e che Marta l'avrebbe saputa egualmente - Merelli fa all'amore colla Ninetta. - Così? - esclamò Marta sgranando gli occhi. - Come, così? - In presenza della moglie... - Ma!... - Con tanti bambini? - I bambini non c'entrano, - Ma è un orrore! - Certo non lo approvo. - Tu non avresti questo coraggio, eh? - Non mi sono mai piaciute le serve. - Ah! - tornò a fare Marta con un sospiro di sollievo, mentre l'onesto faccione dell'Appollonia le attraversava il pensiero. E dopo un po' di tempo mormorava ancora: - È un'infamia, è un'infamia. Ma perchè sei amico di quell'uomo? - Oh! bella, dovrei levargli il saluto in causa del suo gusto per le serve? È una debolezza in lui, non può correggersi. Ninetta non è la prima. - Ma sua moglie? Poverina, voglio avvertirla... - Non ci mancherebbe altro! - Almeno consigliarla a tener serve vecchie.... - Non ci stanno in quella casa, con tutti quei bambini, rifletti. - Oh! povera donna, povera donna! - Senti - continuò Alberto prendendo le mani di sua moglie per calmarla - secondo ogni probabilità, la signora Merelli non sospetta niente; e se lo sospetta, forse non ci pensa; può anche darsi che lo sospetti, che ci pensi, ma che non gliene importi un cavolo. In tal caso tocca a noi farci cattivo sangue? Marta stette zitta un momento. - È impossibile - scattò poi - che ella resti indifferente! - E perchè impossibile? - dopo dieci anni di matrimonio... - Alberto, che cosa dici? L'amore fra marito e moglie non deve essere eterno? - Cara mia, se tutte le cose che dovrebbero essere, fossero! - Tu dunque fra dieci anni non mi amerai più? E amoreggerai?... L'Appollonia tornò a passare nella mente di Marta portandovi un raggio così giulivo che, nel bel mezzo della sua indignazione, dovette sorridere; di che accorgendosi Alberto, disse: - Ma sì, farò all'amore coll'Appollonia. Ella rideva, adesso; avendo posata la fronte sulla spalla di suo marito, eccitata da un ordine nuovo di idee che le si erano parate dinanzi. - Però, senti, non capisco come una persona educata, un uomo che ha studiato, infine che non è un villano del tutto, possa perdersi con le serve. - Anche un uomo educato non trova sempre delle duchesse, mia cara Marta, e poi, se ti dico che è il suo debole! Vuoi uscire a fare due passi in giardino? - No. Ella tornava al suo argomento, appassionandovisi con una voluttà rabbiosa e crudele. - Ma non pensa alle conseguenze, al disonore della ragazza, a... - Che cosa vuoi che pensi!... Finiamola, se non ti dispiace, coi Merelli. Alberto si era levato in piedi, non dissimulando una certa seccatura, e passeggiava innanzi e indietro fermandosi ogni tanto a guardar fuori dalla finestra. Marta sentì una stretta al cuore. Non cambiò positura, non si mosse. Aveva ancora davanti il piatto sul quale stavano alla rinfusa dei picciuoli di ciliegia; li prendeva a due a due, allacciandoli insieme per vedere quale si rompeva; a conti fatti, i picciuoli rotti erano in gran maggioranza. Li riunì con cura in un monticello. - Hai detto all'Appollonia che non faccia più tanto rumore, alla mattina, co' suoi zoccoli? - Sì, gliel'ho detto. - E tu sarai così buona da cucirmi, domani, quei bottoni alla mia casacca di velluto? - Sono già cuciti. - Oh! che tesoro di donnina. Ella sperava ancora che l'avrebbe guardata in faccia; ma Alberto si fermò dietro la sedia di sua moglie, accarezzandole il collo colla punta dell'indice. - Addio, vado fuori un po'. Chinossi, baciandola sulle guancie, sonoramente. Marta rispose: addio - e si strinse nelle spalle, sembrandole che la stanza diventasse fredda.

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