Ecco i pianti e le strida delle donne, dei vecchi e de' fanciulli, annunciano che già dall'alto delle mura scorgonsi le temute insegne, e il fulgore delle abborrite armi; ecco, Ippolita, trasportata da un'energia naturale al suo animo, e resa ancora più forte dall'esaltazione della recente sventura, ascende correndo la torre del pubblico palagio, e suona la campana a stormo per riunire la moltitudine , noi stringe nella destra una spada, impugna coll'altra un vessillo aretino, e con l'esempio e con la voce incora non solo gli uomini che la circondavano, ma trasmuta in guerrieri le donne, i fanciulli, e fino i vegliardi cadenti, che rinvigoriti dal grido incitatore di coraggio, obliano la debolezza loro per consacrare le ultime ore della vita alla patria salute. La forte matrona guida le sue seguaci armate di tutto punto, e con esse sale alle mura. L'armata fiorentina credeva entrare senza trar colpo in Arezzo, già deserta de'suoi bravi per la perdita e la strage di Campaldino, invece è respinta da una grandine di quadrella lanciata dalle mani delle Amazzoni aretine. I Fiorentini tornano inaspriti dopo il primo stupore all'assalto, ma per ordine d'Ippolita, là dove mancano le armi, piovon sovressi i frantumi dei merli, la pece e l'acqua bollente. Una mano di guerrieri fiorentini cerca introdursi per celato indifeso varco nella piazza assediata ; Ippolita se ne accorge, vola alla difesa; ferisce di sua mano il condottiero della schiera nemica, e aiutata dal popolo e dalle sue donne, li pone in fuga. Mentre Arezzo esultava per questo trionfo insperato, Ippolita avea ben d'onde piangere, perchè il giovinetto Azzolino, di lei figlio, spinto dal desìo di distinguersi e di mostrarsi degno figlio d'Ippolita e dell' estinto genitore, erasi trasportato con altri giovani fuori di un'apertura della cinta, e per malavventura stando sulla riva del fosso, era stato fatto prigioniero da un soldato nemico, e condotto alla tenda del comandante. Era costui l'implacabile e fiero duca di Narbona. Saputo che Azzolino era il figlio d'Ippolita, gioì, in pensando che omai tenea nelle mani il pegno fatale che dovea piegar l'animo della fino allora imperterrita donna, da cui solo omai parea dipendere la difesa o la resa di Arezzo. Però quando alcuni giorni dopo Ippolita appariva come al solito sulle mura, egli traendo per mano il giovinetto, dichiarò in faccia della propria armata agli assediati, e specialmente a colei che li comandava, che ove non fossero consegnate nel momento le chiavi delle porte, egli avrebbe fatto uccidere il figlio della da lui chiamata fanatica condottiera. Ippolita era madre..... ciò basta per far comprendere qual fera pugna d'affetti le dilaniasse l'anima; ella guardava avidamente il figliuolo, quasi che avesse voluto con la potenza a di quello sguardo attrarlo a sè, e rapirlo al nemico; tremavan per essa le di lei fide compagne, e compativano ad di lei strazio mortale: tremavano gli assediati, sicuri chu ella avrebbe ceduto, e non osi pertanto da opporsi alla di lei deliberazione, come quella che sarebbe stata naturale, e come veniente da donna a cui tanto rispetto ed onoranza e gratitudine doveasi. Già il Narbona si accostava sperando il trionfo, ma la sublime riprendendo l'ardire meraviglioso, fatta maggiore di sè stessa, grida: « Indietro, o barbaro ! sfoga pure il tuo furore sull'innocente mia creatura! non per questo avrai il vanto di aver superati col dono della vita di un pargolo gli ostacoli che hai dinanzi; non già per un fanciullo ti darò io il dominio su centinaia di vite; prima di esser madre fui cittadina, ferisci! io ricuso ogni patto, muoia mio figlio! Viva la patria! » Attonito e commosso il Narbona dall'inaudita costanza, non ebbe cuore di compiere l'inutile misfatto, e ritirossi alle tende, seco riconducendo il fanciullo. Era alta la notte, e l'indomani doveasi dare il decisivo assalto. Ecco, un chiarore improvviso, ecco urli tremendi e disperati rimbombano nell'aere: Ippolita, seguìta dall'intrepida guarnigione, ha appiccato il fuoco colle proprie mani alle macchine da guerra dell'inimico e fa strage de'sorpresi dormenti. Il campo non presenta che confusione e scompiglio. Si pugna, si cade, si muore: Azzolino è reso in quel trambusto libero di fuggire, e si mischia nella folla de' compagni; Narbona furente pone a prezzo il capo della valorosissima fra le donne, é cosìcchè quella testa preziosa è scopo di mille colpi..... ma invano.... Dio la protegge e la guarda. Ella prima ad uscire, ultima a rientrare in città, col proprio petto fa scudo ai suoi, e difende la falange che riguadagna le porte. Ella é ferita... vacilla, sparisce... le compagne l'han tratta seco loro ne' ripari. Narbona vuole approfittare del supposto disastro e dar l'assalto , mentre gli Aretini si trovano scompigliati dalla mancanza della loro eroina. Ma Ippolita, ferita solo a una gamba, sp rezza il dolore che ne risente, ed inattesa, come spirito evocato, appare sulla torre, ondeggiando la sua bandiera, e gridando - Libertà o morte. - Atterrito il duca da siffatto valore, e dal quasi sovrannaturale eroismo, che sembra protetto da Dio, ordina che si levi il campo, e si dia onorevol sepoltura ai morti, indi abbandona il per lui infausto suolo il dì 23 luglio, andando a sfogar la sua rabbia contro il distretto Aretino, per mezzo delle devastazioni, del sangue e del fuoco. Ippolita non sopravvisse che di poco al magnifico trionfo del suo valore. Quasi che avesse speso in quei giorni tutto l'alimento del fuoco della sua vita, come se oramai più non le restasse, dopo avere operato tutto grandemente, null'altro di degno da fare per lei al mondo, moriva, e tornava al cielo, pari all'angelo delle battaglie, che adempiuti i voleri di Dio, e dispersi i nemici di coloro che volea vincitori, risale sereno e maestoso al loco da cui dianzi era disceso.
Pagina 22