C'erano, fra tutte quelle signore, le abbonate ai concerti, quelle che non mancano mai dovunque siavi un pianista da giudicare, un violinista celebre, una cantante straniera - dilettanti appassionate e imperterrite, a prova di sbadigli. C'erano le artiste vecchie, ritirate dalla scena, ora maestre di canto - grosse, grasse, vestite a paneggiamenti e a drappeggi come un arco trionfale, aventi nelle orecchie i diamanti regalati dall'imperatore di Russia, al bel tempo dei loro successi. E poi le novelline, le allieve, le aspiranti alla gloria della Patti ed a' suoi milioni. Infine le indifferenti, quelle capitate per caso, per ozio, per curiosità, per compiacenza, ed anche semplicemente per trovarsi con qualcuno e potersi guardare due ore di seguito negli occhi. In fondo alla sala, Sofia scorse una signora di sua conoscenza, Elvira Bonamore, e la salutò con ripetuti cenni del capo, poi volle indicarla a Maria. - Vedi laggiù quel cappello alpino con una penna di fagiano? È la Bonamore. Domando io come si fa a venire ad un concerto serale vestita come per andare a caccia.... Sarà, per farsi osservar meglio. E l'inseparabile cugino.... vedi ? un biondo un po' calvo. Graziosissimi.... L'orchestra cominciò a suonare il minuetto di Boccherini. Tutte le signore presero una attitudine attenta e soddisfatta. Sofia rovesciò il capo e tenne gli occhi socchiusi, le braccia languide, come vinta da un gran fascino; i suoi piedini, allungati, riposavano sui piedi di Bandini. Una dolcezza somma alitava per l'aria. Visioni rosee, sorridenti, attraversavano le fronti amabilmente pensose. Sorgevano, sotto le note del Boccherini, le dame del settecento così civettuole nei loro tupè cosparsi di polvere di Cipro, cogli abiti scollati e le scarpine ad alti tacchi; scivolavano, con un fruscìo di panieri rigonfi dietro i paraventi dorati, su uno sfondo verde tenero dipinto ad amorini. Un galante cavaliere in calzoni di raso color perla, col cappello schiacciato sotto l'ascella e lo spadino ciondolante sulle coscie, le passava in rivista, ciarlando con un abatino dagli occhi a mandorla, dalla parrucca profumata e dalle mani candide coperte di brillanti. Parchi ombrosi, mormorio di ruscelli, sussurro di fronde, taciti sospiri d'amanti incompresi, lunghi baci d'amanti felici; sogni, palpiti, speranze, memorie, tutto ciò scaturiva dalle note, ondeggiava nei cervellini commossi, suscitando piccoli fremiti di piacere. Una giovane vestita di bianco, con due cerchi plumbei sotto agli occhi, cantò l'aria di Gluk nell'Orfeo: «Che farò senza Euridice» e le marchese civettuole scomparvero, scomparvero gli abati e i cavalieri in spadino. Una fiamma calda di passione serpeggiò nella folla; molte testine si agitarono languidamente seguendo il ritmo della musica; le occhiate divennero più profonde; più intensi i rossori delle labbra morsicate dietro i ventagli. Sofia mormorava piano a Bandini : - Com'è bello! - e la sua manina, sotto il guanto di pelle bigia, premette la mano del giovane, così, come per caso; restando per qualche minuto ferma sulla mano di lui. Il concerto terminò colla composizione orignale di un nuovo maestro; una rapsodia violenta che scosse dalle membra gentili il torpore della seduta, tra il chiudersi dei ventagli, tra il grazioso affacendarsi delle pezzuole riposte e delle trine spiegazzate che tornavano a stendersi sotto una intelligente carezza. La mantiglia di Sofia le era scivolata dalle spalle; Bandini gliela rimise, indugiandosi, intanto che ognuno si disponeva alla partenza; e standole vicino colle mani errabonde intorno ai veli, le mormorò all'orecchio: - Mi è antipatica la vostra amica; ha la serietà di un inquisitore. - È buona - rispose Sofia, convinta. E uscirono insieme. Nell'atrio incontrarono Emanuele. - Che miracolo! S'è mai visto mio marito così previdente? Il professore tutto chiuso nel suo pastrano e leggermente impacciato, si scusò: - Temevo che non aveste cavaliere. Una carrozza era pronta; le due signore si posero nel fondo. Emanuele additò un posto a Bandini, ma questi ringraziò molto contrariato dicendo di dover andare per un'altra strada; Emanuele sedette solo, davanti alle signore. Maria, rannicchiata nel suo cantuccio, ascoltava una impressione di malessere crescente; la ascoltava per studiarla, per rintracciarne le cause. Era il dolore di aver trovato Emanuele sposo di un'altra? Era, ma non del tutto. Maria si sentiva a disagio fra quelle due persone a cui doveva egualmente mentire, e cercava il modo di uscirne al più presto senza parere ingrata verso Sofia. Avvezza a una vita di pensiero, quella esistenza meschina e superficiale la irritava e le faceva male; vedeva chiaramente la china per cui Sofia scivolava e avrebbe volulo richiamarla a' suoi doveri, ma si chiedeva se ne aveva il diritto e se era abbastanza pura per poterlo fare. L'ambiente tiepido del concerto, la melodia dei suoni, la corrente sensuale che aveva dischiuso tanti sorrisi, e accese tante scintille negli sguardi procacemente ricambiati; tutta quell'onda l'onda di mollezza, di abbandono, quel profumo di gentile peccato diffuso in ogni atomo, l'aveva momentaneamente prostrata. Nella oscurità della carrozza, scorgeva la massa nera formata dal corpo di Emanuele, a un breve tratto da lei; i loro abiti si toccavano. Come mai i loro pensieri non si sarebbero incontrati? - Non ho veduto al concerto la Guidobelli - disse improvvisamente Sofia. - Si capisce - rispose Emanuele - poiché si trova già da cinque o sei giorni sul lago, nella villa di Ormani. - È contento il marito? - chiese Sofia con una vocetta squillante. - Contentissimo. Fra un mese al più saranno divisi legalmente. La cosa parve naturale a Sofia, ed anche al professore, che aggiunse: - Egli ha già pronto il conforto. - La Rina Lucci, non è vero? - Si dice. - Dovrà allora abbandonare il suo capitano. - O tenerli entrambi. Il silenzio si rifece su queste parole. La carrozza andava avanti lentamente, nelle vie semi buie dei sobborghi lontani dal centro. Tratto tratto un fanale sull'angolo di una viuzza o al di sopra di una bottega gettava nell'interno un rapido sprazzo; fu in uno di questi momenti che Maria vide lo sguardo di Emanuele rivolto su di lei e ne provò un senso di tormento che tradusse rincantucciandosi più ancora nel buio. La sua gran calma era messa a una dura prova, nè ella stessa avrebbe saputo dire se più temeva la vittoria o la sconfitta. Giunta a casa si fermò a discorrere con Sofia cinque minuti, in piedi, tra due usci. Sofia le disse che il giorno dopo doveva andare ancora a trovare il suo bambino, che sarebbe tornata subito, e appena appena fosse rimesso in salute l'avrebbe condotta anche lei a trovarlo. Non glielo voleva mostrare brutto, giù di ciera... Le mamme sono molto civette... La salutò, baciandola sulle guancie, e poi sul punto di allontanarsi: - Ah! mi dimenticavo; domani è il mio giorno di ricevimento; sarò a casa per l'ora delle visite, senza alcun fallo, ma se capitasse qualcuno, te ne prego, fa gli onori e scusami presso i miei amici. E scusami tu pure. Sotto l'apparente volubilità, l'accento di Sofia aveva qualche cosa di incerto, come un pensiero nascosto a stento nell'onda delle parole; Maria, nel salutarla di nuovo, sentì che le tremava la mano e si ritirò turbata da mille dubbi strani, inverosimili, malcontenta di una posizione dove tutto era mistero. Emanuele amava Sofia? Sofia gli sarebbe rimasta a lungo fedele? Sapeva ella qualche cosa del passato di lui? Egli si curava dell'avvenire di lei? Da qual parte stava la virtù? Chi soffriva più dei due?... Chi mentiva meglio? Queste e altre domande fluttuarono per alcun poco nella mente di Maria, confuse alle impressioni del concerto, all'attitudine spavalda di Bandini e a quella indifferente di Emanuele; ma tutte insieme non erano di natura tale da tenerla desta; al contrario le pesarono e le si aggravarono addosso finché trovò pace in sonno greve, senza sogni. All'indomani, era un bel mattino primaverile e gaio, il terzo da che Maria si trovava a Milano. Aprendo la finestra le parve di sentire un'onda di profumi che venissero a darle il buon giorno. Maria li respirò a lungo, sentendosi rinascere nella purezza dell'aria fresca. Appoggiata al davanzale, mentre respirava gli olezzi del sambuco e delle glicinie fiorite, le veniva in mente il suo meraviglioso giardino delle Estancias, dove tutta la flora americana pompeggiava nel massimo sviluppo, dov'ella aveva trovato la pace, dove tanti cuori di persone ignoranti e buone l'avevano amata sinceramente - e si domandò se era tornata nella sua patria per rivedere una vana amica e un amante infedele. Dovette pur confessare a sè stessa che la speranza di incontrarsi con Emanuele l'aveva spinta al lungo viaggio; e perchè la speranza non aveva oramai ragione di essere, poichò il passato era irrevocabilmente distrutto, a che restare? Da un alto ramo della glicinia si staccò una fogliolina lilla, attraversando lo spazio: roteò un istante portata da una folata di vento, leggera, iridescente, bagnata nei vapori biondi del mattino che la facevano scintillare come un ame tista, poi cadde a piombo sul viale, dove fu presto confusa nell'umida e grigia uniformità della sabbia. - Così è! - mormorò Maria a fior di labbro; e si staccò dalla finestra, tranquilla, ma con una punta di malinconia in fondo al cuore. Nella cameretta che le avevano assegnata e che serviva prima di studiolo, c'era una libreria. Maria incominciò a guardare distrattamente il titolo dei libri, quasi tutti romanzi e poesie, finchè la colpì il cartoncino di un piccola volume; quel cartoncino era giallo, con dei mazzi di rose rosse, somigliante a nessun altro; antico, puerile nelle sue aspirazioni di eleganza; aveva i tagli dipinti in color lacca e un nastrino verde, succinto, pendeva dal mezzo delle pagine. Ella sentì un palpito alla vista di quel libro, lo prese tremando; era Puschin, uno di quelli che aveva letti in compagnia di Emanuele, uno de' suoi più simpatici. Lo strinse nelle mani come un amico, e si pose a sfogliarlo febbrilmente, quasi dalle carte ingiallite potessero uscire fresche e vitali le illusioni d'una volta. Rilesse: «Le procelle delle passioni rinfrescano, rinnovellano, maturano i cuori di vent'anni e fanno loro produrre splendidi fiori e frutti; ma nell'età provetta e infeconda il ravvivamento degli affetti, non genera che doglia e pianto, simili alle piogge d'autunno, che sfrondano i boschi.» «Felice colui che si alza dal banchetto della vita prima di vedere il fondo del bicchiere. » E rimase col libro aperto, abbandonato sui ginocchi e sovr'esso gli occhi immobili pieni dì lagrime. Fu bussato all'uscio timidamente. Maria si alzò. Era la cameriera che veniva a chiederle se le occorresse la sua opera prima della colazione. - La colazione? - domandò Maria trasognata - Quante sono le ore? - Le dieci e mezzo. Il padrone è già nella sala da pranzo. Il padrone! Maria aveva dimenticato che la. sua amica non c'era, che il padrone sarebbe stato solo con lei. - No - rispose in modo reciso - non vengo a colazione. Favorite dire al mio domestico che si tenga pronto. Esco. Uscì difatti quasi subito, seguita da Pablo.
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