Abbominevole e brutale è quando un principale approfitta della propria autorità per permettersi delle libertà di fronte alle sue impiegate, ed è ancor peggio se esige condiscendenze con promesse di avanzamento o miglioramento di stipendio. Anche se tra dipendenti, uomini e donne, vi fossero delicati rapporti d'amore, nei locali d'ufficio le intimità sono fuori posto. La vita privata e la professionale sono in tale riguardo da dividersi nettamente. In conclusione dobbiamo ancora rilevare il significato della grazia femminile nella vita professionale. Infatti l'allegria e la volontà di vita delle diligenti impiegate contribuiscono di molto a sollevare il tono generale ed influiscono favorevolmente sui colleghi spronandoli a maggior attività. Anche in questo senso la donna è divenuta nella vita professionale moderna un fattore di cui ormai difficilmente si può fare a meno, però sempre col presupposto di non affidare a donne mansioni inadatte.
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A Monte-Carlo, nel Principato di Monaco, sono migliaia di padri di famiglia che si rovinano e si uccidono; a diecine di migliaia sommano annualmente le vittime indirette di quella abbominevole bisca, perchè diecine di migliaia sono ogni anno le mogli e i figli dei miseri suicidi, che prendono il lutto e piombano nella miseria. La ruletta si compone di un gran tappeto verde, sul quale sono scritti, alternativamente, in rosso e in nero, i numeri da 1 a 36, disposti su tre colonne, in maniera da avere tre dozzine, e tre colonne. Le dozzine sono separate da due linee in cima alle quali, in alto, si trovano uno zero rosso e due zeri neri. Da un lato dei numeri sonvi tre caselle per il pair (pari), per il passe (oltre la metà e cioè da 19 a 36) e il nero (il colore); dall'altro tre caselle per l'impair (dispari), per il manque (cioè da 1 a 18), per il rouge (colore rosso). Un tavoliere di ruletta ha due di questi quadri e tra i due evvi collocato lo strumento che dà il nome al giuoco: girello in italiano, roulette in francese. Questo strumento è formato da una piccola ruota concava, di circa 30 centimetri di diametro, per lo più di legno o di ferro, intorno a un asse ed ha una gola scavata nella circonferenza. Sotto la gola vi è una serie di caselle numerate da 1 a 36; più lo zero semplice e quello doppio, che sono scritti in nero. I giocatori, in numero illimitato, mettono la posta o in pieno, oppure a cavallo a due, a tre, a quattro e a sei numeri; sulla prima, seconda e terza dozzina; sullo zero; sui primi quattro numeri (0, 1, 2, 3); sul pari, sul dispari. ecc. Il banchiere fa girare in un senso la girella o girello, e in un senso opposto lancia una pallottolina che, dopo fatti alcuni giri, va a cadere in una delle caselle numerate. Il numero della casella nella quale va a riposare la pallottolina, indica il vincitore o i vincitori. Tutte le altre scommesse vanno a beneficio del banco. Chi ha puntato in pieno sopra un numero riceve dal banco 36 volte la posta; se la posta fu messa a cavallo a due numeri contigui, 18 volte; se su quattro, 9 volte. Il banco paga due volte la posta delle dozzine e delle colonne; raddoppia quella del pari e dispari, del passe e manque, del nero e del rosso. Quando esce lo zero, metà della posta va al banco, eccetto quelle scommesse sullo zero stesso. A calcoli fatti s'ha, che mentre il banchiere, se tutte le combinazioni fossero egualmente giuocate, paga 36, riceve almeno 38. Queste le regole principali del giuoco della ruletta. Non pochi si piccano di avere scoperto un sistema per vincere sicuramente; ma in effetto finiscono per perdere e per rovinarsi, poichè non c'è sistema che tenga, ed il banco, se talvolta paga somme favolose ai giuocatori, le ricupera ben tosto, quando i fortunati non hanno il criterio di abbandonare subito e per sempre il giuoco. A Montecarlo, per esempio, ho udito io con le mie orecchie uno dei tanti croupiers esclamare, indicando un vincitore assai fortunato: - Se non parte, stanotte dorme col danaro vinto e domani ce lo rende!
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Ella è tutto quanto v'ha di meglio e nel tempo stesso tutto quanto v'ha di peggio, di abbominevole e di funesto nell'umanità. Ell'è in una parola, Angelo e Demone. Padre Ventura.
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Appoggiarsi sullo schienale della poltrona che vi sta dinanzi, è pure un uso abbominevole. Ancora peggio poi è di appoggiare su di essa i piedi. Si guardi di mantenersi nel più perfetto silenzio durante lo spettacolo. Si eviti ogni cosa che potrebbe fare rumore. Non sta bene neanche sussurrare. Si stia tranquilli anche durante l'introduzione, e ciò non soltanto se si tratta di opere musicali. Se qualcuno ha un forte raffreddore o tosse, fa meglio di rimanersene a casa.
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Per pietà, amica carissima, per pietà, non fare questo passo falso, o se sventuratamente lo hai fatto, ritirati prontamente, se non vuoi legare il tuo cuore vergine e libero al primo anello di quella catena, che, sotto il nome bugiardo di emancipazione, non è altro invece se non schiavitù e schiavitù abbominevole. Ascoltami, o anima sorella, perchè creata dallo stesso Iddio Padre, dallo stesso Gesù redenta, dallo stesso Spirito Santo illuminata; ascoltami, o cara; io non ti parlo per piacerti, o per dilettarti, io ti parlo solo per farti del bene, per rendere tranquilla e buona la tua vita, la tua morte, la tua eternità, e, lascia che tel ripeta, anche perchè serena ti scorra l'esistenza, e inalterata sia la tua pace. Io, prima di scrivere queste pagine, ho piegato le ginocchia davanti all'Immacolata, le ho chiesto d'inspirarmi quello che debbo dire a te per toglierti ai travagli delle passioni, per ajutarti a combattere e vincere la guerra terribile che il mondo, il demonio e la carne ti faranno, e la Madonna mi ascolterà. Non credere, sai, a quei cotali che ti van ripetendo che i libri di pietà ti renderanno uggiosa, melanconica, egoista: Oh! non creder loro; essi o sono ingannati, o sono ingannatori. Gli è appunto per recare al tuo labbro quel sorriso che tanto ti stupisce sul labbro di quell'anima afflitta, travagliata, ch'io ti parlo come faccio, e cerco di riverberare, sulla tua mente e sul tuo cuore la luce soave e smagliante del Vangelo. Allorchè io mi sento l'animo oppresso, mi reco appiè dell'altare, poi, sai dove vado? vado a ritemprare l'animo mio a fianco di una vecchia inferma che, caduta da condizione civile in bassa fortuna, conserva tra gli stenti e gli acciacchi de' suoi ottantotto anni un'inalterabile serenità. Essa ha trovato il segreto di tutto sopportare non solo coraggiosamente, ma allegramente, e da lei emana come un effluvio di pace che non può a meno di comunicarsi a tutti quanti la circondano. Allorchè esco da quell'umile cameretta mi trovo assai rincorata, ma vergognosa però d'essere tanto da meno di colei che mi ha sovranamente edificata. Sì, credilo, te lo dico in nome di Dio; io desidero vivamente di farti lieta e contenta; e per far ciò debbo metterti sull'avviso, affinchè quel brutto mondo, dal quale sei circondata, non ti prenda di sorpresa, non ti allucini co' suoi falsi splendori e ti rapisca quella cara serenità che ora allieta il vergine tuo cuore. Anche la mia cara inferma è vergine ancora, e pura è stata tutta la sua lunga vita: basta solo vederla per leggerglielo in fronte, in quegli occhi limpidi, in tutta la sua persona. Tempera adesso, mia cara, la foga della tua gioja, e non abusare di quel tanto di libertà che il tuo ritorno alla casa ti ha accordato, per non dover poi pentirtene più tardi. No, no, non abbandonarti soverchiamente alla gioja, se vuoi stare sollevata anche nei giorni tristi, se vuoi tenere un po' d'equilibrio. Sta tanto bene l'uguaglianza di umore, di carattere, che per acquistarla o mantenerla non è soverchio, nè ti deve parer grave alcun sagrificio. Tante e tante sono le cose che vorrei dirti e che mi fanno ressa alla mente, che non so veramente per ora a quale appigliarmi. Temo tu mi sfugga, temo di pesarti troppo addosso, ed io vorrei che la parola mia ti suonasse cara come quella di tua madre, dolce come quella della più cara amica della tua infanzia. Ebbene, non voglio affollarti la testa con troppe considerazioni serie; mi basta per oggi ripeterti di stare in guardia con te stessa, cogli altri, con tutto e con tutti, se non vuoi essere presa incautamente a qualche laccio. Ogni giorno io tornerò probabilmente su questo soggetto, e tu mi ascolterai sempre, n'è vero? Oh! quanto desidero che tu sii felice! ma per essere felice bisogna essere buona, dolce, pia, caritatevole, tollerante, anzi più, indulgente; bisogna insomma che tu sii veramente virtuosa e santa. Io pregherò sempre con gran cuore il buon Dio di renderti tale, e forse in fondo in fondo ci ho anche un po' d'egoismo; mi lusingo che quando la mia parola ajutata, anzi inspirata da Dio stesso, avrà cooperato a renderti virtuosa, allora tu pure pregherai per me, affinchè io divenga un po' buona; e mi dimentichi una volta di me medesima, per non ricordarmi che degli altri.
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Questo fior di sentenza, o guarire o morire, riduce il pover uomo, che si dice libero pensatore, alla più abbominevole schiavitù delle proprie passioni, della propria immaginazione esaltata, fino spesse volte a trascinarlo a violare i più sacri diritti di natura, a troncare una vita datagli per servir Dio, per procurargli una vita eternamente beata, a slanciarsi di propria deliberate volontà in quel baratro da dove non c'è più sortita, nè speranza alcuna... Il cristiano crede fermamente la salute del corpo infinitamente inferiore d'importanza a quella dell'anima, e sa che la prima gli è tolta spesse volte per dargli od accrescergli la seconda; quindi si rassegna volentieri alle sofferenze, avendo dinanzi a sè come in un quadro le promesse fatte da Cristo a coloro i quali sopportano in pace le sventure ed i dolori della vita, come triste retaggio del peccato primo, ed espiazione dovuta alle proprie colpe. Entra, mia cara, entra meco nella camera di un povero incredulo travagliato da una malattia forse poco grave e poco dolorosa; s'egli non è indebolito dalla febbre e gli resta ancora forza a parlare, dalla sua bocca non udirai che lamenti, atroci bestemmie contro un Ente supremo ch'egli pur negando sospetta, contro gli uomini, contro sè stesso, contro tutto e contro tutti. Io stessa ho inteso una morente dire le ultime parole per mormorare e lagnarsi delle persone che l'assistevano con tutta la premura... Buon Dio! abbiate pietà di lei!... È brutto, sì è brutto e straziante quello spettacolo, ed io voglio condurti per la seconda volta presso il letto della vecchia mia inferma, per mostrarti la serenità del suo volto, del suo cuore, in mezzo ai dolori, agli acciacchi della malattia e della vecchiaja, ed alle privazioni della miseria sotto una vernice di proprietà, avanzo unico degli agi d'altra volta. Ma questo non basta: la vecchia zitella desidera bene a tutti, parla bene d'ognuno, e ti racconta con voce intenerita come un ex Garibaldino che abita sotto di lei l'ha protetta e difesa contro gl'insulti di alcuni infelici i quali cercavano di proibirle perfino di recitare ad alta voce il suo Rosario, e la vessavano in ogni maniera. Essa ama con ardente carità cristiana il Maggiore che non conosce, e prega e fa pregare per lui. Egli ammala, e la povera inferma con santa industria invia al suo letto un Sacerdote, il quale non è respinto, ma però tenuto a certa distanza. La malattia aggrava, e la vecchia prega sempre con maggior ardore per lui il buon Dio; i Framassoni circondano il letto dell'infermo cercando di estorcergli un ultimo testamento in cui dichiari di non essere altrimenti cattolico, e di non voler essere avvicinato dal Prete; ma nella camera sovrapposta una donna vecchissima, appoggiata a due grucce dimentica i proprj dolori, i proprj bisogni per non pregare se non per lui. Oh! la grazia non può tardare, verrà!... La grazia è venuta. È il 12 marzo del 1880: l'infermo si solleva sull'origliere, chiede di essere lasciato solo dai compagni, ed all'unico rimasto rivolge la preghiera di correre pel medico, mentre sottovoce supplica con istanza la moglie di mandare pel Sacerdote, il quale viene, lo confessa, riceve l'abjura dei suoi errori, lo assolve, lo benedice, gli amministra l'Estrema unzione e si allontana per indi dalla chiesa recargli il Pane di vita. Arrestati, o Sacerdote! Il pietoso Iddio ti ha prevenuto: già lo sai, l'antico framassone era sparito; su quel letto giace adesso il fervoroso credente, il quale benedice i proprj dolori, le proprie pene; eccolo assorto in Dio rivolgersi a Lui con caldo sospiro; ecco sciogliersi l'anima sua dal corpo di morte, riconciliata col suo Creatore, eccola volare in Cielo a ricevervi una Comunione santa che non avrà fine giammai... I settarj sbuffano, scalpitano alla porta dell' antico loro commilitone; finalmente la porta si apre, ma del povero Chiesa non trovano più che un cadavere!... E chi può misurare la misericordia di Dio? E chi può comprendere gl'imperscrutabili suoi disegni? Un sentimento di umanità piamente secondato dal valoroso Maggiore che aveva perduto una gamba in battaglia, attirò le benedizioni di Dio, e questi volle addolcire le sue agonie con una ferma speranza, con una forte promessa, accordando a lui quello che fu negato a Voltaire, quando al letto di morte richiesto con forza un Sacerdote, negatogli dagli Enciclopedisti che lo circondavano, moriva disperato divorando le proprie lordure! Mia buona figliuola, e dove t'ho condotta io mai? E perchè ti ho contristata con scene di tanto dolore? Ma se tu pensi alla vecchia quasi nonagenaria, al cinquantenne Garibaldino, il cui passaggio è allietato dal sorriso della fede, la calma ti tornerà al cuore e ti nascerà vivo il bisogno di pregare per i miscredenti più induriti, per tutti quanti gli uomini. Sì, prega, preghiamo per tutti; la preghiera affratella gli animi, li riunisce, li riconcilia con Dio, bene sommo, anzi unico cui può aspirare ed arrivare la creatura più perfetta dell'universo. Preghiamo anche per la salute del corpo, che pure è un gran dono del Signore; ma guardiamoci dal considerarla come bene sommo, poichè essa è un bene fugace e vale solo come mezzo conducente alla salute eterna: guardiamoci dal confondere il mezzo col fine, la via colla meta! Il buon Dio ad avvertirci di ciò, a ricordarcelo, permette che la malattia ci venga 49 a toccare, e forse tu pure, giovane diletta, sarai travagliata da qualche infermità; ma sia lode al Signore! tu sei credente, non basta; tu sei pia, tu sei fervorosa cattolica, tu sei figlia di una Madre addolorata, e le lacrime che ti sgorgheranno dagli occhi, strappate a viva forza dalle sofferenze corporali, rinchiuderanno la dolcezza che viene dalla fede, dalla pietà, dall'amor santo; e a somiglianza della verga colla quale Mosè percosse il monte, i tuoi dolori faranno scaturire un'onda purissima di sante virtù, di elette benedizioni, atte a spargere su tutta la tua vita una tinta benefica e meritoria. Proverai, lo so bone, grandi difficoltà nell' esercizio di una sì santa rassegnazione, poichè la carne si ribella, vuol prendere il sopravvento sullo spirito, e se il domarla ti costerà fatica, sarà altresì sorgente di gaudio e di benedizione non per te soltanto e per coloro che ti circondano, ma per tutti quelli cui sarà rivolta la tua caritatevole preghiera. Una falsa compassione od una fallace speranza potrebbe tener lontano dal mio e dal tuo letto i conforti cristiani nell'ultima nostra ora, ed allora, ahimè! ci saranno tolti gl'ineffabili conforti, le ineffabili consolazioni che speravamo compagni dell'ultimo nostro sospiro! Ma, io e tu, non potremmo fare fin d'ora un patto a noi medesime? Non potremmo fare un patto colla nostra volontà di far chiamare noi stesse il Ministro di Dio non appena ci minacci grave malattia, o ci tormenti una febbre cocente? Oh! sì, facciamolo assieme questo patto, questo fermo proposito, e Dio ce ne terrà conto, io spero, e nell'ultima nostra ora saremo allietate dalla riconciliazione con Lui, che ci verrà a visitare per farsi nostro alimento nel Sacramento dell'amor suo. Oh! Gesù, Ostia purissima di pace e di perdono, siate frequentemente il mio cibo corroborante nella mia mortale carriera; siate il mio conforto, il mio sostegno nei dolori dell'estrema malattia, siate il mio Viatico al grande passaggio! Gesù buono, accordatemi Voi una santa pazienza, cementatela coll'amor vostro purissimo, ed io dimentica di questo corpo di peccato sopporterò coraggiosamente i dolori, le pene, pensando al premio eterno, ineffabile che Voi stesso ci apprestate in Paradiso. Madre mia, Maria Santissima, conducete Voi al mio letto il vostro divin Figliuolo, e, come con esso chiudeste gli occhi al purissimo vostro sposo, chiudete pure gli occhi miei, quando l'anima mia si scioglierà dai lacci corporei. Oh mio caro S. Giuseppe, protettore dei moribondi, io V'invoco adesso che sono nella piena vigoria delle mie facoltà per quegli estremi momenti, e fidente nella promessa che verrà aperto a colui che picchia, e sarà dato a chi chiede, imploro con tutto l'ardore di cui sono capace l'ajuto vostro, ed esclamo dal più profondo del cuore: Gesù mio, misericordia! Madonna, ajutatemi! S. Giuseppe, protettore degli agonizzanti, pensateci Voi, sì, sì, pensateci Voi!
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Basti questo ad infonderci un salutare orrore contro l'ipocrisia, la quale ha pure in sè stessa un marchio di viltà, fino d'infamia, poichè niente è più abbominevole che di volersi far credere migliori di quello che si è infatti. Oh! la bella sincerità quanto è preziosa e cara! No, sotto verun pretesto, non t'indurre mai a fare un solo segno di croce senza accompagnarlo col cuore, altrimenti quello che dovrebb'essere profumo dolcissimo, diventerà fetore venefico che non piega a nostro vantaggio, ma irrita il nostro Creatore e Padrone. Amiamo Iddio nostro nella verità del nostro cuore; serviamolo fedelmente, e provvedendo ad edificare il nostro prossimo, guardiamoci di essere di dentro differenti da quello che appariamo al di fuori.
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I Gentili erano logici trattando brutalmente gli schiavi, poichè li credevano di una natura diversa, d'una razza abbominevole su cui era piombata l'ira degli Dei. Ma noi, Cristiani, sappiamo e crediamo fermamente che tutti gli uomini hanno la loro origine da un solo uomo, plasmato con poca creta dalla mano stessa di Dio; che su tutti cade ugualmente come il raggio del sole, così la grazia celeste; che il sovrano Creatore ha permesso e voluto la differenza delle classi per creare fra di esse i diversi rapporti di re e di suddito, di benefattore e di beneficato, di chi comanda e di chi obbidisce, e via dicendo di tutte le condizioni sociali. Ecco il ricco vivere del frutto del lavoro del povero, ed il povero del guiderdone del ricco; ecco l'agricoltore, l'operajo, fino l'artista, piegarsi alle necessità del facoltoso per averne di che campare la vita a sè ed alla famigliuola. Oh! non vogliamo essere ciechi! entriamo per poco nell'economia della Provvidenza, e ci accorgeremo di leggieri essere l'orgoglio l'unico dilapidatore o dispregiatore dei rapporti che legano gli uomini alto locati a quelli appartenenti all'infima classe. Ma oltre ai rapporti di necessità materiali, vi hanno rapporti di necessità morali che altamente reclamano i loro diritti, e guai a chi li viola! L'uomo è sì deviato dalla semplicità natia che crede perdere qualche cosa della propria dignità, confessandosi legato in parentela con persone di basso stato, ed havvi chi perfino arriva a disconoscerle ed a rifiutar loro il proprio ajuto. Conosco pur troppo una signora favorita di largo censo, senza verun impegno di famiglia, la quale negava essere sua zia la poveretta che veniva a bussare alla sua porta, e che pure era l'unica sorella della morta sua madre; essa le ha rifiutato un soccorso, fino un tozzo di pane!... e so altresì che pochi mesi or sono la povera donna, prima di giungere alla vecchiaja, sfinita dagli stenti, nella più estrema miseria, fu trovata un mattino morta nel povero suo abbaino dai vicini, i quali non vedendola comparire andarono in cerca di lei. La signora fornita di largo censo ha appena saputo il duro caso; ma, a somiglianza della dama del Parini, non volle contristarsi per le altrui miserie, ed ha continuato e continua nella sua egoistica esistenza, senza pensare che essa, senza il benchè minimo sacrificio, avrebbe potuto prolungare quella vita, o rendere meno penosa quella morte. Mia cara damigella, se ora, o quando sarai più inoltrata negli anni, avrai parenti o nati o caduti in povertà, ricorda l'obbligo tuo di sollevarli, e vedrai che la beneficenza produce lacrime consolanti, immensamente consolanti. Se tu mi dici di non aver parenti poveri, guarda che non ti credo, poichè tutti gli uomini ci son fratelli; quindi tuoi e miei fratelli sono i poveri che lavorano alla campagna, negli opifizj, nei fondaci, nelle miniere, in ogni mestiere più faticoso: tuoi e miei fratelli sono i poveri buoni ed i tristi, quelli ricoverati in povere capanne o nelle soffitte delle grandi città, in quelle soffitte in cui si gela l'inverno, si cuoce la state: tuoi e miei fratelli sono i poveri che giaciono negli spedali e quelli che campano la vita accattando. Oggidì si agita una grande questione, quella del pauperismo, e vi ha chi pretende trovar modo di eliminarlo dalla società, togliendo quelle barriere che Iddio vi ha posto per separarne le classi e produrre l'umiltà e la generosità, la povertà e la beneficenza. Alcuni mesi or sono a riparare la miseria dei poverelli nella eccezionalmente rigida stagione, si apriva al nostro teatro della Scala una veglia così detta di beneficenza, e vi si vendeva al prezzo di una lira, al medesimo scopo filantropico, un giornale intitolato Milan Milan, dov'erano state raccolte le firme dei principali uomini i quali avevan creduto prestarle ad esso, come poco tempo prima avevano fatto col Paris Murcie. Le firme erano sottoposte ad un detto, ad una sentenza, ad una freddura, e in mezzo a quella roba mi parve quasi giojello un motto di un uomo non certamente sospetto di bacchettoneria, Paolo Ferrari, il quale scriveva di proprio pugno: La più completa soluzione del pauperismo è:Quod superest vobis date pauperibus. Ecco gli uomini grandi attingere al Vangelo, inspirarsi al Vangelo, additarci il Vangelo: e i Cristiani cattolici rifiuteranno di assoggettarsi a lui, di agire secondo esso consiglia e comanda? Vedi tu, mia cara donzella, quella dama vestita modestamente, accelerare il suo passo e dirigersi verso una casa di bell'apparenza? Seguiamola; forse essa si recherà a qualche visita di confidenza, forse a qualche visita in cui campeggerà la mormorazione, la civetteria, o peggio... No? E perchè arricci il naso e corrughi la fronte? Hai ragione, t'intendo. Quella dama ha un'apparenza troppo buona e semplice, e le sue visite non ponno avere uno scopo che non sia buono, santo e benefico. Essa mette in pratica quanto l'abate Mullois insegna nel suo Manuale di caritá; essa sale fino al quinto ed al sesto piano per una scala angusta, bussa ad una porta che tosto si apre, ed una scena di pietà si presenta al suo sguardo. È un camerone ampio, ma il di cui soffitto va abbassandosi tanto da toccar quasi il pavimento, dalla parte in cui alcune sottili feritoje apron l'unico passaggio alla luce ed all'aria pregna delle miasmatiche esalazioni delle stalle che vanno a sfogare in un angusto cortile. Alcuni pagliericci sono distesi là in terra, ed un branco di figliuoli sta avidamente attendendo che la madre versi sul tagliere la scarsa polenta che sta rimestando; mentre il padre, seduto, o piuttosto accovacciato su di uno sgabello, si copre il viso colle mani per nascondere la pena straziante che in esso traspare. Allorchè la porta si è aperta e sulla soglia è apparsa, quasi visione consolatrice, una gentile figura di donna sconosciuta, tutti si sono levati in piedi, per un movimento simultaneo, imbarazzati e confusi, e solo la maggiore figliuola si fa animo, presenta alla dama una rotta seggiola e la invita a sedere. La dama saluta con garbo, e dopo d'averle stretto la mano, interroga la povera donna della salute sua, del marito e dei figli, ed a menomare la meraviglia e lo smarrimento della famigliuola, si dice inviata dal Parroco o dalla società di S. Vincenzo de' Paoli, o di qualche anima benefattrice, per portarle il soccorso della sua amicizia e del suo appoggio. Mentre essa parla, i figliuoli le si vanno accostando, finchè le son vicini vicini, la guardano ammirati, pendono dalle sue labbra, la toccano e si consolano di venire da lei carezzati, mentre la mamma affettando severità cerca di allontanarli. La dama cava dalla piccola borsa sospesa al suo braccio alcuni biglietti o boni di pane e di minestra che i giovani della Gioventù Cattolica distribuiscono pubblicamente; poscia prende nota del numero e dell'età dei figliuoli per trovare agli uni un posto presso qualche onesto bottegajo o lavorante, e collocare i piccini agli asili di carità, dove avranno un po' di cibo all'anima, alla mente ed al corpo. Ma il padre di famiglia conserva un profondo silenzio e sembra annichilito sotto il peso della riconoscenza; ecco la dama rivolgersi a lui, chiederlo del suo mestiere, e sentito che il suo faticoso e lungo lavoro è insufficiente a procurare il vitto alla famiglia, s'intrattiene con lui amorevolmente, ne provoca e riceve le confidenze, si offre ad interessare il suo padrone a voler migliorare la condizione sua, e... volere o non volere essa è l'angelo della consolazione inviato dal Signore in quella povera casa. Il pover uomo è intenerito, e con voce rozza ma commossa, alieno com'è dalle usanze sociali, stringe nelle sue mani callose le mani della dama, la quale ha pur essa rigato il volto di caldissime lacrime, ma non lacrime di dolore, sibbene di lacrime consolanti! Tu, mia cara e tenera amica, che mi sei stata compagna fin qui nella lunga lettura, non respingere la mia preghiera, te ne supplico pel tuo bene: procurati tu pure molte lacrime consolanti colle visite ai poveri, agl'infermi, nelle case o negli spedali, e se i tuoi mezzi non ti permettono d'offrire un soccorso materiale ai tuoi fratelli indigenti, offri loro almeno il soccorso morale della tua persona, del tuo cuore, della tua volontà. Oltre alle lacrime consolanti, indivisibili dalla cristiana beneficenza, ne avrai mille altri grandissimi vantaggi, e non ultimo quello d'imparar a sopportare con rassegnazione le proprie miserie toccando le altrui. All'aspetto del dolore si migliora e perfeziona l'uomo non interamente guasto di mente o di cuore, e se tu non vuoi che il dolore venga lui a trovarti, vagli tu stessa incontro; va tu a guardarlo in faccia nelle case in cui regna, sovrano, portavi il balsamo della pietà, della religione; parlavi di affetto, di Dio, e le lacrime tue e dei tuoi beneficati, sarei tentata di ripetertelo all'infinito, saranno sempre lacrime consolanti. 54
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Il giuoco, nelle comitive onorate, dovrebbe essere una semplice ricreazione dello spirito, una tregua al conversare, una distrazione breve e innocente; ma, per grande sventura, spesso addiviene passione vergognosa, abbominevole, funestissima. Ad una donna bene educata, di sentimenti puri, di costumi illibati non può mai cadere nell'animo di far del giuoco una scuola d'immoralità; eppure, se per poco ella si lasci sedurre, giuocando, dalla speranza di vincere, sarà lo stesso che muovere i primi passi nella via della perdizione. Per fuggire i pericolosi eccessi a cui la passione del giuoco potrebbe trascinare, bisogna: Astenersi da qualunque giuoco in cui si azzardino somme rilevanti, ed allora è facile mantenerci indifferenti sì alla perdita che alla vincita; la compiacenza della vittoria deve bastare quando giochiamo per semplice distrazione. Sarebbe poi grando scortesia l'abbandonarsi a smoderato giubbilo in faccia ad un avversario sfortunato, e daremmo luogo a giudicare sinistramente di noi se ci abbandonassimo a trasporti di malumore quando la sorte persiste ad esserci contraria; chè in tal caso dobbiamo invece sapere scherzare piacevolmente sulla nostra stessa disdetta. Qualsivoglia astuzia o soverchieria nel giuoco, allorchè abbia il fine di procurare la vincita, è un furto manifesto. Nel giuoco, del pari che in ogni altra faccenda grave o leggera, è necessaria la più specchiata probità; e sarebbe offesa all'onestà, alla delicatezza, il procurar di conoscere con modi illeciti il giuoco dell'avversario, per cavarne profitto. Se nascesse qualche disparere, non vi ostinate a sostenere la vostra opinione contro il giudizio degli spettatori imparziali ed esperti; e sottomettetevi di buon grado alla loro decisione dopo avere spiegato garbatamente le ragioni della vostra pretesa. Se un vostro compagno di giuoco avesse fatto qualche sbaglio, vi sarà lecito farnelo accorto a suo tempo, senza peraltro darvi aria di volerlo rimproverare od ammaestrare, che sarebbe azione affatto sconveniente per chi vuol mostrarsi bene educato. Quando la sorte vi fosse stata contraria, voi manchereste, non occorre dirlo, alla buona creanza, se vi mostraste invidiosa della fortuna dell'avversario. Parlando della vostra perdita, essendochè non potrà mai essere considerevole, fatelo sempre in modo da non lasciar trapelare nemmeno l'ombra del rammarico o del dispetto. Ove poi vi accorgiate di non potervi mantenere impassibili ad una perdita comunque lieve, astenetevi dal giocare, se non volete correre il rischio di assomigliarvi a coloro che pensano un quarto d'ora, che parlano fra' denti, che smuovono la sedia, che si mordono le labbra, che si arricciano i capelli, che battono il tempo col piede, che suonano il tamburo sul tavolino, prima di risolversi a un colpo un po' dubbio; od anche a coloro che imputano la disgrazia al posto che hanno scelto, alla persona che hanno vicina o a qualsivoglia altra fantasticaggine. La giocondità insomma e l'indifferenza sì per la perdita che per la vincita, rendono dilettevoli le oneste ricreazioni di questo genere. Queste avvertenze possono parere superflue per le fanciulle che mai o di rado si troveranno nel caso di cedere alla funesta passione del giuoco; ma siccome ad alcune pur potrebbe avvenire di correre un tempo questo rischio, così abbiamo voluto premunirle; tanto più che anche dai giuochi puerili e leciti alle fanciulle, e nei quali conviene usare proporzionatamente parlando le stesse cautele, nascer potrebbe una passione pericolosa e capace di guastare il miglior carattere. Il giuoco in conclusione, o è da proscrivere addirittura, o è da considerare qual semplice passatempo ricreativo; e perciò non bisogna mai farne una grave occupazione. Dobbiamo: Astenerci dal giuoco di somma rilevante, e quindi essere indifferenti sì alla perdita che alla vincita; accogliere la decisione delle persone disinteressate in caso di disparere; astenerci da qualunque giuoco ove non ci riesca di sopportare impassibilmente la perdita; far sì che il giuoco sia una ricreazione, non un'occupazione. Non dobbiamo: Ridurre il giuoco a speculazione; giubbilare per la vincita o rattristarci per la perdita; farci lecita la benchè minima soverchieria nel giuoco; notare con tono di rimprovero gli sbagli del compagno; lasciare il giuoco innanzi il tempo quando siamo in vincita; mostrarci astiose della buona ventura dell'avversario.
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Devi la mancia a chi ti rifà il letto, ti lucida le scarpe, ti porta un telegramma, perchè questo personale d'albergo è il testimone muto e discreto di tutto ciò che di abbominevole avviene negli alberghi; affari equivoci, contrabbando, ricatto, spionaggio, traffico di armi, di alcoloidi, di donne, di coscienze; e il groom, il portiere, la cameriera, il valet, tutti dànno la loro collaborazione indiretta senza partecipare agli utili. Ti consiglio anzi di darla subito. E' una coraggiosa affermazione di principio contro il «divieto» delle mance e assicura un servizio più premuroso e migliore. Il sistema non l'ho inventato io, ma lo scrittore milanese Rovani, del secolo scorso, che un giorno invitò a pranzo un amico, e per prima cosa diede la mancia al cameriere (operazione che allora si riservava per ultima): e ordinò in quest'ordine il caffé, la frutta, il formaggio, la carne, la minestra e gli antipasti. Il cameriere non rise, non fece obiezioni, trovò tutto naturalissimo, grazie alla mancia preliminare. Di cattivissimo gusto è discutere col cameriere sulla composizione dei cibi, sulla loro cottura e sul loro valore. Il cameriere è un intermediario fra il padrone della trattoria e gli avventori. Barbey d'Aurevilly invitò un altro letterato parigino a pranzo in un locale di lusso, ed essendo splendidamente generoso, pur essendo a corto di denaro, ordinò in pieno inverno un piatto di fragole. Mentre le stava mangiando diede un'occhiata alla lista: tre franchi ogni fragola (franchi-oro). Quando gli presentarono il conto raccapricciante, D'Aurevilly constatò che aveva abbastanza per pagare il padrone, ma non gli rimaneva per dare la mancia. - Cameriere, ho lasciato tre fragole. A tre franchi l'una, sono nove franchi. Mangiátele, sono per voi. Agì molto male quello scrittore. L'albergatore e il cameriere vendono due merci differenti: primo vende vino, carne, vegetali e dolci; il secondo vende dell'imponderabile, dell'inafferrabile e del relativo, ed è per questo che la mancia non dovrà essere soppressa nemmeno il giorno in cui invece del 22 per cento il cameriere percepirà il 100 per 100 sull'importo. Chi non vuole andare al restaurant si comperi pane, formaggio e un fiasco di vino, e si consumi il suo pasto in casa, o a cavalcioni sul parapetto di un fiume o nella sala d'aspetto della ferrovia.
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I tempi (dal 1096 al 1291) ne' quali tante armate accese di zelo aula andavano a combattere per ricuperare e conservare il santo sepolcro, presentarono lo spettacolo della depravazione più abbominevole, e più universale. I pellegrini e i crociati portarono in Asia i vizi d'Europa, e in Europa quelli dell'Asia. San Luigi, durante la sua pia e memorabile spedizione, non poté colle sue virtù, col sue esempio, colle sue precauzioni impedire la dissolutezza e i disordini che lo circondavano. Egli ebbe il rammarico di vedere i bordelli stabiliti dinanzi alla sua stessa tenda. Joinville, Historie de S. Louis, pag. 32. Più scrittori fanno fede dell'uso tirannico e infame che dava ai feudatari il diritto di dormire la prima notte colle novelle spose vassalle di essi. Questo costume si mantenne in Europa sino al XVII secolo. (XIV secolo). Sotto Carlo il Bello la storia della Guascogna cita l'insurrezione de' bastardi, figli naturali della nobiltà. Il saccheggio e le rapine, lo stupro e il ratto, le frodi ed un coraggio disperato furono le armi con cui que' bastardi tentarono di togliere ai loro fratelli legittimi i castelli paterni. Questa guerra sanguinosa fu si viva ed ostinata, che consumò la prima armata speditavi dal re Carlo. Ne' racconti scherzevoli e ne' romanzi, che sembrano essere stati la principal lettura di chi sapeva leggere nelle età di mezzo, e di chi aveva tempo GIOJA. Galateo. Tom. II. 14 d'ascoltarla, regna uno spirito licenzioso che dimostra una dissolutezza generale nel commercio de' sessi. Questa osservazione, che è stata sovente volte fatta a proposito del Boccaccio e degli altri antichi romanzieri italiani, s'applica ugualmente ai racconti ed ai romanzi francesi si in prosa che in versi, ed a tutte le poesie de' Trovatori. La violazione delle promesse e dei diritti maritali vi è trattata come un privilegio del valore e della bellezza: ed un cavaliere perfetto sembra avere goduto senza ostacoli, ed in virtù d'un consenso generale, degli stessi privilegi a' quali nell'epoca della massima corruzione francese pretendevano i cortigiani di Luigi XV. (XV secolo). Filippo il Buono duca de' Paesi Bassi, il quale nel 1438 institui l'ordine del Toson d'oro ed assunse per patroni la B. Vergine e S. Andrea, volle che ventiquattro fossero i membri o cavalieri del suo ordine, in onore delle sue ventiquattro amanti. Annales des voyages, t. IX, pag. 182 (XV e XVI secolo). Era si estesa la corruzione in questi tempi, che fu proposto da Enrico VIII re d'Inghilterra la pena di morte qual unico freno contro l'adulterio. Allorché nel clero, il quale serve ad altri di scorta e d'esempio, si veggono segni di corruzione, si può a buon dritto conchiudere che maggior corruzione è diffusa nella massa popolare. Ora se prestiamo fede agli storici ecclesiastici, che, avendo a cuore l'onor del clero, avrebbero desiderato di scioglierlo da que' vizi che atteso l'infelicità de' tempi lo screditavano, dobbiamo dire che ne' secoli XV e XVI « il clero, si secolare che regolare, era composto d'individui ignoranti e corrotti, i quali, » trascurando i doveri del loro stato, andavano in » giro con meretrici, e dissipavano le rendite dei » loro beneficai in banchetti ove pubblicamente alla » fornicazione abbandonavansi e all'adulterio» Wilkin, Concil., pag, 573. Sulla porta d'un palazzo appartenente al Cardinale di Wolsey si leggeva: Domus meretricurn domi curdinalis.(Stuart, Tableau des progrès de la sociètè en Europe, t. II, pag. 192-193). Gli storici accertano che il concubinato e la simonia erano delitti comuni, e perciò risonarono sì forte i gridi di riforma negli stessi concili di Costanza e di Basilea. Se crediamo a Clemangis, la corruzione in quegli sgraziati secoli continuava ancora ne' chiostri femminili, giacchè egli accerta che al suo tempo dare il velo ad una giovine era lo stesso che abbandonarla alla prostituzione. - Nissuno ardirebbe fare questo lamento a' tempi nostri. (XVII secolo). Nella vita di S. Carlo Borromeo si scorge a quale depravazione di costumi era giunto il clero secolare e regolare in Lombardia: basterà dire che il santo arcivescovo fu costretto a sopprimere più monasteri di monache, atteso la loro sfrenata scostumatezza. L'ordine religioso degli Umiliati, che si era renduto celebre per la sua condotta scandalosa, mal soffrendo le riforme che andava facendo S. Carlo, suscitò il fratello Farina, acciò con un colpo di fucile, che fortunatamente andò fallito, lo ammazzasse nella cappella arcivescovile. E' noto che l'autore di questo attentato e tre religiosi furono puniti di morte. L'anno 1659 sotto il pontificato d'Alessandro VII fu osservato a Roma che molte giovani spose erano rimaste in breve tempo vedove, e che molti mariti morivano dacchè non piacevano più alle loro donne. Nacquero da ciò più sospetti sopra una società di donne giovani. Garelli, medico di Carlo VI re delle due Sicilie, scrisse verso quel tempo al celebre Hoffmann ciò che segue: » La vostra elegante dissertazione sugli errori » relativi ai veleni ha richiamato alla mia memoria » un certo veleno lento che un infame avvelenatore, » tuttora esistente nelle prigioni di Napoli, » ha adoperato per la distruzione di più di 600 » persone.» Non si può dubitare che l'arte infame di preparare ed amministrare segretamente differenti specie di veleni non sia stata estremamente diffusa verso la metà del XVII secolo a Roma e a Napoli. In Francia, e principalmente a Parigi, ella giunse al più alto grado verso il 1670. Nel 1679 per punire questa specie di delitti fu eretta una corte di giustizia speciale detta chambre de poison, o chambre ardente (camera del veleno o camera ardente). Un certo Exili, italiano, compositore e venditore di veleni, è accusato d'avere fatto perire a Roma più di 150 persone sotto il pontificato d'Innocenzo X (XVII secolo). In Francia, dove diviene oggetto di ridicolo anche ciò che ne è meno suscettibile, il veleno fu chiamato, al tempo d'Exili, poudre de succession. In quel secolo perirono sul rogo due avvelenatrici, la Toffana in Italia, la marchesa di Brinvilliers in Francia. Giusta la testimonianza del celebre Flechier, vescovo di Nimes « ne' bei tempi di Luigi XIV (nel » 1665) furono portate 12,000 accuse per delitti » d'ogni specie davanti ai commissari reali nelle » sessioni chiamate le grands jours d'Auvergne. » Riferendo questo fatto, l'autore osserva che l'accusatore e i testimoni erano talvolta più rei che l'accusato. -» Un de ces terribles chatelains (dic'egli) » entretenait dans des tours, à Pont-du-Chàteau), » douze scélérats dévoués à toutes sortes de crimes, » qu'il appeloit ses douze apoires.» L' abate Ducreux, editore delle opere di Flechier, riporta in quella occasione « l'exécution d' un curé condamné » pour des crimes affreux, et il déplora l'état où » l'ignorance et la corruption des moeurs avoient » fait tomber la societé à cette époque: il y eut » dans un seul jour plus de trente exècutions en » effigie». « Uno di cotesti terribili castellani manteneva » nelle torri a Ponte di Castello dodici scellerati » devoti a ogni specie di delitti, cui chiamava » i suoi dodici apostoli.» -« Il supplizio di un curato condannato per delitti » orribili, e rimpiange lo stato in cui l'ignoranza » e i corrotti costumi avevano degradata la » società a quel tempo. In un solo giorno vi furono » più di trenta esecuzioni in effigie. » * Se fosse vero il principio che la mancanza di felicità conduce alla corruzione, converrebbe dire che i secoli scorsi furono mille volte più corrotti del nostro, giacchè la somma de' mali cui quei secoli soggiacquero, fu infinitamente maggiore dell'attuale, del che parlerò nel capo VIII. *
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Essa continuava a guardarlo senza dir parola: quell'aspetto laido, abbominevole, le suscitò tal fremito nell'anima, ch'ella, per salvarsi dall'orrore che sentiva, come dall' apparizione d' un demone, strinse fra le mani la sacra medaglietta del rosario che le pendeva sul seno, e la baciò. Quel bacio fu una preghiera, un voto. Il vecchiardo, il quale, non aspettando quel contrasto, temeva vedersi fuggire di mano la preda, fece i due passi che lo dividevano da lei, e chiamandola a nome, e ringhiando, allungò di nuovo le braccia per afferrarla; ma la fanciulla con un rapido balzo distaccossi da lui, e corse verso l'uscio. Allora, fatto più audace dall'impensata resistenza, il vecchio le attraversò la via, brancicando qua e là, e dando pugni all' aria per trattenerla nella sua fuga: sentendo la poveretta invocar misericordia e soccorso, ruppe in maledizioni, e nell' inseguirla giunse un momento ad afferrarla per le mani; ma, all'impuro tocco, poco mancò che Maria non cadesse svenuta. Egli mischiava intanto preghiere e bestemmie con rauca voce, ripeteva parole insensate, atroci; e co' denti serrati per l' ira, quasi schizzando fuoco dagli occhi grifagni, minacciava, minacciava d'ammazzarla se non tacesse. In quel punto terribile, la fanciulla, raccolta la poca lena che le rimaneva, e sostenuta da virtù sovrumana, superando l'orrore, fece sembiante di cedere alla brutale forza che la trascinava.... Poi, con un' improvvisa stratta, si sciolse dal feroce abbracciamento del vecchio, e sorta di lancio, con impeto, dallo spavento fatto più grande, lo respinse lontano, gridando: - « Lasciatemi, infame! il Signore vi punisca!... lasciatemi! » Il vecchio demente, mezzo ebbro e arrancato com' era, rinculò barcollando, vacillò, e cadde rovescioni sur una tavola; e traendo seco a ridosso la tavola, il lume e ogni altra cosa, stramazzò con un tonfo sul terreno, nè potè rialzarsi: ammaccato e malconcio, andava lamentandosi con un rantolo affogato, interrotto; finchè giacque immobile, riverso nel lurido sfinimento dell' ebbrezza. Maria era fuggita.
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Da modo. non bello, brutta voce, vociaccia, robaccia, veniva su su a mostriciattolo, mostruoso vocabolo, voce appestata, abbominevole voce, parola infame. Così d' un francesismo tollerabile si contentava di dire: sente di francese, e via via: e' pute di francioso (il francioso aggravava) o di gallico (che era più grave di francioso), francesismo vile, fetentissimo, sgangherata voce gallica, scempiata metafora transalpina. E in diversi modi egualmente fieri e lepidi ammoniva i giovani a rifuggire da quei delitti: - Al fuoco questa parolaccia! - Al gasse! - Alla cassetta della spazzatura! - Deh, non lo dire! - Via quest'orrore! - La lasci agli acciabattoni! - E lascio altre sue maniere usuali: - Goffe eleganze romanzieresche, sconce sgrammaticature segretariesche, stomachevoli parole muschiate, sguaiate leziosaggini, turpi granciporri: n'aveva una collezione infinita. Ma non era mai così bello a vedere e a sentire come quando scorreva un libro nuovo e sospetto, con quel viso sanguigno e minaccioso, con quei baffi irti, che s'appuntavano contro lo pagina come penne d' istrice, con quelle unghie adunche, piantate sui margini, come pronte a graffiare. Egli segnalava il francesismo con una contrazione del viso come se vedesse correre fra le righe un insetto schifoso. La manifestazione più tenue del suo sdegno era un pugno sul tavolino. Quando una parola o una frase lo urtava più forte, prorompeva in invettive contro il fantasma dell'autore: - Ah, italiano rinnegato! - Camerlingo degli spropositi! - Sgrammaticato malfattore codardo! - E l'ultima espressione della sua collera era un riso ironico forzato, che gli scopriva i denti canini, accompagnato da uno scotimento di spalle, con cui fingeva un' ilarità smodata. Ma dopo questo sforzo, sbatteva il libro nel muro e andava fuor della grazia di Dio, - A questo punto siamo arrivati! Ma è un'aberrazione, una demenza universale. L'Italia va in isfacelo. Quando non c'è più lingua non c'è più nulla. È finita. Oh bastarda razza di traditori! Povero professor Pataracchi! Conservarmi la sua benevolenza costò a me qualche fatica; ma deve aver faticato più lui a non levarmela. Chi sa quante volte fu in procinto di dirmi come Virgilio all'Argenti: - Via costà con gli altri cani! - Poichè, in somma, gli dovevo parere un ipocrita, io che per tenermi nelle sue buone grazie gli davo ragione a parole, ma seguitavo a scrivere come un Ostrogoto, non potendomi ribellare alla terminologia dei regolamenti, poichè scrivevo di cose militari. - Ma è proprio proprio costretto - mi domandava qualche volta - a servirsi di codesto orribile gergo caporalesco? - Io rispondevo di si, e mi giustificavo umilmente. Ed egli mi diceva: - La compiango! - E forse fu la compassione che mi mantenne la sua amicizia. Il giorno prima di lasciar Firenze per sempre, m'andai ad accomiatare da lui. Fu più affettuoso che non m' aspettassi. Forse lo impietosiva i pensiero ch'io m'andavo a stabilire a Torino, poichè a lui, per rispetto alla lingua, Torino doveva parere un covo brigantesco, dove io non potessi far altro che una miseranda fine. M'accompagnò per un tratto di via del Cocomero. All'angolo di via degli Alfani, prima di lasciarmi, mi disse qualche parola benevola, raccomandandomi la lingua. Forse gli avrei lasciato un buon ricordo di me, se non avessi più aperto bocca; ma all'ultimo momento guastai la frittata. - Se per combinazione - gli dissi - venisse una volta a Torino, abbia la bontà d' avvertirmene. Mi metterò ai suoi ordini. Sarò felice di rivederla e di servirla. - Grazie, - rispose stringendomi la mano. - Buon viaggio, e a rivederla. E mi lasciò. Ma fatti pochi passi, mi richiamò con un cenno, e mi disse: - Senta. Combinazione, per caso o casualità, mi perdoni, è orribile. E se n'andò senza dir altro. Furon 'quelle le ultime, parole ch' io intesi dalla sua bocca purissima. Fulminò ancora i barbari per sette anni, e poi morì sulla breccia, ravvolto; negli avanzi della sua bandiera.
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Vi assicuro che il nonno Merriwether, da quando è stato in casa di quella Watling, si comporta in modo abbominevole. Visita, proprio! Io non ci vado davvero. Rossella si è messa fuori legge sposando quell'uomo. Un individuo che era già abbastanza abietto quando speculava durante la guerra, arricchendosi con la nostra fame; ora poi che è in grande relazione con i «Carpetbaggers» e inoltre è amico intimo di quell'odioso individuo, il governatore Bullock... Sí, proprio una visita! La signora Bonnell sospirò. - Si tratta solo di una visita di dovere, Dolly. Ho saputo che tutti gli uomini che erano fuori quella notte hanno l'intenzione di questa visita, e credo che abbiano ragione. Ma certamente, stento a credere che Rossella sia figlia di sua madre. Sono stata compagna di scuola di Elena Robillard a Savannah, e non ho mai conosciuto una creatura piú simpatica; le volevo molto bene. Ah, se suo padre non si fosse opposto al matrimonio con suo cugino, Filippo Robillard! Un ragazzo che era soltanto un po' vivace... Intanto questo fu causa che Elena sposò il vecchio O'Hara, ed ebbe una figlia come Rossella. Ma in verità, mi pare che sia mio dovere andare almeno una volta, in memoria di Elena. - Sciocchezze sentimentali! - scherní vigorosamente la signora Merriwether. - Andare a trovare una donna che si è rimaritata dopo appena un anno dalla morte del marito? Una donna... - Aggiungete che fu lei ad uccidere il signor Kennedy - interruppe Lydia. La sua voce era fredda ma velenosa. Il solo pensiero di Rossella le impediva di esser gentile, ricordando Stuard Tarleton. - E ho sempre ritenuto che fra lei e quel Butler vi fosse qualche cosa di piú di quanto si è mai pensato, anche prima della morte del signor Kennedy. Prima che le signore si fossero rimesse dallo stupore scandalizzato provato nell'udire una ragazza parlare in quel modo, Melania era sulla soglia. La compagnia era cosí immersa nei suoi discorsi che nessuna aveva udito il suo passo leggero; ed ora avevano tutte l'aspetto di scolarette sorprese dalla maestra. Alla costernazione si aggiunse lo sgomento, vedendo il mutamento del volto di Melania, rossa di collera, con gli occhi fiammeggianti, le narici frementi. Nessuno aveva mai visto Melania adirata; e nessuna fra le signore presenti la credeva capace di uno scoppio d'ira. - Come ardisci, Lydia...? - interrogò con voce sommessa e tremante. - Dove ti conduce la gelosia? Vergògnati! Lydia impallidí ma rimase a fronte alta. - Non ritiro nulla - disse brevemente. Ma dentro di sé si sentiva ribollire. «Gelosa?» pensò. Il ricordo di Stuart Tarleton, e di Gioia e Carlo, non gliene dava forse il diritto? Non aveva ragione di detestare Rossella, specialmente ora che sospettava che avesse attirato anche Ashley nelle sue reti? E pensò ancora: «Potrei dirti molte cose sul conto di Ashley e della tua cara Rossella.» Lydia si sentiva combattuta fra il desiderio di proteggere Ashley col suo silenzio e il pensiero che se avesse svelato i suoi sospetti a Melania e a tutto il mondo, lo avrebbe liberato dalle mene di Rossella. Ma non era questo il momento. Non poteva dir nulla di sicuro: aveva solo dei sospetti. - Non ritiro nulla - ripeté con accento di sfida. - Allora sono ben lieta che tu non debba piú vivere a lungo sotto il mio tetto - rispose Melania; e la sua voce era freddissima. Lydia balzò in piedi; un fiotto di sangue salí al suo viso gialliccio. - Tu, Melania... mia cognata... non vorrai leticare con me a causa di quella sfacciata... - Anche Rossella è mio cognata - ribatté Melania fissando Lydia come avrebbe fissato un'estranea. - E mi è piú cara di quanto potrebbe essere una sorella germana. Se tu dimentichi ciò che ella ha fatto per me, io non lo dimentico. Rimase con me durante l'assedio mentre avrebbe potuto andare a casa sua, quando zia Pitty riparò a Macon. Quando gli yankees invasero Atlanta, Rossella fece il tremendo viaggio da qui a Tara portando seco me e Beau, quando le sarebbe stato facile lasciarmi in un ospedale. E mi ha curata e nutrita, anche, quando era stanca e affamata. Siccome ero debole e ammalata, ebbi il miglior materasso di Tara. E quando fui in grado di camminare, ebbi le sole scarpe intere che fossero in casa. Ashley giunse stanco e scoraggiato, senza casa e senza un centesimo, ed ella lo accolse come una sorella. E nel momento in cui volevamo partire per il Nord col cuore spezzato dall'idea di lasciare la nostra diletta Georgia, Rossella intervenne e gli diede la gestione dello stabilimento. E il capitano Butler ha salvato Ashley per bontà di cuore. Ed io sono piena di riconoscenza per entrambi! Ma tu, Lydia! Come puoi dimenticare ciò che Rossella ha fatto per tuo fratello e per me? Calcoli cosí poco la vita di tuo fratello che non hai considerazione per chi l'ha salvato? Ah, se tu ti inginocchiassi dinanzi a Rossella e a Butler, non sarebbe ancora abbastanza! - Andiamo, Melly - intervenne la signora Merriwether che si era ricomposta - non è questo il modo di parlare con Lydia. - Ho udito ciò che avete detto anche voi contro Rossella! - E Melania si volse verso la vecchia signora come un combattente che dopo aver messo fuori combattimento un avversario, si volge al successivo. - E anche voi, signora Elsing. Non m'importa quello che avete nei vostri cervelli meschini; è affar vostro. Ma ciò che dite di lei in casa mia, mi riguarda. Come potete, non dico pensare, ma profferire simili infamie? Cosí poco valore hanno per voi i vostri uomini che non avete riconoscenza per chi li ha salvati arrischiando la propria vita? Se si fosse venuta a sapere la verità, gli yankees avrebbero creduto che anche lui, Butler, era un membro del Klan! Lo avrebbero impiccato. Ma egli corse il rischio per i vostri uomini. Per vostro suocero, per vostro genero, per i vostri nipoti. E per vostro fratello, signora Bonnell, e per vostro figlio e vostro genero, signora Elsing. Siete ingrate, ecco che cosa siete! Ed esigo delle scuse da tutte voi. La signora Elsing era già in piedi, e stava raccogliendo la sua roba nel cestino, con la bocca torta. - Se mi avessero detto che avresti potuto essere cosí scortese, Melly... No, non chiederò scusa. Lydia ha ragione. Rossella è una sfacciata e un cervello balzano. Non posso dimenticare il suo contegno durante la guerra. E non posso dimenticare che da quando ha un po' di soldi si è comportata come una «stracciona proletaria»... - Quello che non potete dimenticare - interruppe Melania mettendosi i piccoli pugni sui fianchi - è che è stata costretta a licenziare Ugo perché era incapace di gestire il suo stabilimento. - Melly! - Fu un gemito in coro. La signora Elsing rizzò il capo e mosse verso la porta. Posò la mano sulla gruccia ma si fermò e si volse. - Melly - e la sua voce si era addolcita - figliuola cara, è una cosa che mi spezza il cuore. Sono stata la migliore amica di tua madre e ho aiutato il dottor Meade a metterti al mondo; ti ho voluto bene come a una figlia. E non mi addolorerei tanto di sentirti parlare cosí se fosse per qualche cosa che valesse la pena. Ma per un essere come Rossella O'Hara, che sarebbe disposta a giocare un brutto tiro a te come a chiunque di noi... Le prime parole della signora Elsing avevano fatto riempire di lagrime gli occhi di Melania; ma, dopo, il suo visetto si era indurito. - Desidero spiegare ben chiaramente - disse allora - che chiunque non va a far visita a Rossella può risparmiarsi per l'avvenire di venir qui da me. Vi fu un mormorio di voci confuse mentre le signore si levavano in piedi. La signora Elsing, lasciando cadere la sua scatola da lavoro, tornò verso il centro della stanza, con la sua frangia di riccioli finti tutta di traverso. - Non sai quello che dici, Melania! Sei fuori di te! E non ti ritengo responsabile di queste parole! Rimarrai mia amica, come io rimarrò un'amica per te. Rifiuto di ammettere che fra noi possa prodursi uno screzio simile! Era scoppiata in lagrime e, senza neanche saper come, Melania si trovò fra le sue braccia, piangendo anche lei ma dichiarando fra i singhiozzi che riaffermava ciò che aveva detto. Parecchie altre signore ruppero in pianto, e la signora Merriwether, soffiandosi il naso fragorosamente, abbracciò Melania e la signora Elsing. Zia Pitty, che era rimasta testimone pietrificata di tutta la scena, scivolò improvvisamente sul pavimento; e fu uno dei pochi svenimenti della sua vita. Fra lagrime, baci, confusione e corse per andare a cercare i sali, una sola persona conservò il viso calmo e gli occhi asciutti. Lydia Wilkes se ne andò senza che alcuno vi badasse. Parecchie ore dopo, il nonno Merriwether, incontrando Enrico Hamilton al Bar della «Ragazza moderna», gli narrò gli avvenimenti come li aveva appresi da sua nuora. Era in fondo soddisfatto che qualcuno avesse avuto il coraggio di affrontare la temibile signora Merriwether: cosa che egli non aveva mai osato. - E finalmente, che cos'hanno deciso quelle stupide pazze? - chiese zio Enrico irritato. - Non lo so con certezza - rispose il nonno; - ma ho l'impressione che Melly abbia avuto la meglio. Certo andranno a far visita, almeno una volta. Però fanno molte chiacchiere, per quella vostra nipote. - Melly è una sciocca e le signore hanno ragione: Rossella è una creatura astuta e non so perché mio nipote Carlo, allora, se ne infatuò e la sposò - fece zio Enrico cupo. - Ma anche Melly ha ragione, da un certo punto di vista. È un dovere di convenienza, per le famiglie di cui il capitano Butler ha salvato marito o padre, andare a far quella visita. Per conto mio, io non ho nulla da ridire contro di lui. Si comportò molto bene quella notte in cui ci salvò la pelle. È Rossella che mi piace poco. È troppo abile e scaltra. Ma io ci andrò. Rinnegata o no, Rossella è mia nipote d'acquisto, dopo tutto. Avevo appunto l'intenzione di andarvi oggi. - Vengo con voi, Enrico. Dolly sarà furibonda quando lo saprà. Aspettate: lasciatemi bere un altro bicchierino. - No; berremo dal capitano Butler. Bisogna convenire che ha sempre degli ottimi liquori.
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