Ebbene fa, e te ne troverai contenta. esempio di tabella del bilancio economico mensile Inoltre abbiti un foglietto per le spese giornaliere della cucina, un altro per quello che comperi a credenza o che fai fare. Non ti fidare della propria memoria. - Riscontra volta per volta, centesimo per centesimo, i conti colle persone di servizio. Così facendo, farai due beni : uno a te e alla tua casa, e l'altro a loro, chè non li indurrai in tentazione di abusare della tua fiducia mai. Occhio a tutto, figliuola ; e se oggi le erbucce ti sono fatte pagare un centesimo di più di ieri, richiedine il perchè ; e se, ripesando sulla tua bilancia di cucina la carne, vi mancano alcuni grammi, rimandala dal macellaio. Non sono inezie coteste davvero, sì bene mezzo di risparmiare tanti dispiaceri a te e danno agli altri. Non c'è cosa più cara ai soggetti che la giustizia puntuale dei loro padroni, benchè in principio possa loro dare noia.
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La moglie aveva un bel dirgli: — Abbiti riguardo; pensa che hai tre creature. L'uomo scrollava la testa, muto, sentendo che quell'inutile consiglio era dato senza convinzione; e a punto perchè c' eran di mezzo tre creature, si strapazzava seguitando il doppio mestiere, con maggior cocciutaggine che forza fisica, la quale gli veniva meno ogni giorno, ogni ora. Ma giunse il momento in cui dovette rinunziare al teatro: non aveva più fiato per il clarino; il suo cuore, allora, ebbe uno schianto; e si può dire ch'ei si sentisse più afflitto, più finito di quando gli portarono i sacramenti. Perchè bisogna sapere, che la sera, nel togliersi il camiciotto di tela turchiniccia, per indossare un vestito di panno scuro, liso, è vero, al colletto e a' gomiti, a forza d'aver servito, ma ancora decente, e se non altro da galantuomo libero, diceva il facchino, a lui sembrava di doventare a dirittura un altro. A pena entrato nell'atmosfera tepida del teatro, nella luce viva delle lampade a gaz scintillanti in circolo come globi d'oro, dal suo modesto posto d'orchestra, prima di sedersi, egli volgeva intorno uno sguardo soddisfatto, a osservare i filari della platea, che si popolavano a mano a mano di visi aspettanti, tutti rivolti verso la parte dov'era lui, e i palchi che s'aprivano per lasciar apparire su 'l dinanzi tante figure sorridenti di donne da' cappellini guarniti di fiori e di penne, tutta gente Contessa Lara. 4 venuta lì per assistere a uno spettacolo dove egli avea parte; poi sfogliava, su 'l leggío che gli stava davanti, le pagine manoscritte della musica, in attesa che il maestro concertatore desse il segnale d'attaccare le prime battute, e provava qualche nota, qualche breve volata su 'l clarino, con una sensazione geniale d'intimo benessere. Non esistevan più lo zucchero e il caffè, nè le latte del petrolio, nè i pacchi delle stearine; in quelle ore egli era un artista. La prima sera che rimase a casa, in portineria, passeggiò su e giù, giù e su, un pezzo, dal paravento al camino, dal camino al paravento, seguendo di lontano, col pensiero, tutto quel che avveniva in quell'ora nel suo teatro. Il clarino che lo aveva sostituito era, secondo lui, un buono a nulla, senza sentimento, senza passione... Bella figura ci avrebbe fatta! Maledetta la tosse! E la tosse intanto lo straziava, inacerbita da un nodo alla gola, che il malato manco a sè stesso confessava ch'era di lacrime. Così il disgraziato disse addio all'arte; e trascinò per dell'altro tempo la fatica della drogheria. Ma le gambe gli tremavano sotto; ansimava a far le scale; soffriva dei dolori acuti alla spina dorsale, incurvata sotto gli involti che gli parevan di piombo; un sudor ghiaccio gl'inumidiva la fronte e la nuca, mentre su gli occhi della cornea ingiallita stendevasi un velo che lo faceva traballare. Già più d'una volta il principale glielo avea detto: — Non te lo aver a male, Peppe, ma tu hai bisogno di riguardi, e il servizio del mio negozio non fa piu per te. - Il facchino si levava il berretto e si grattava la testa, non osando rispondere, a fin di trattenere un colpo di tosse che avrebbe annientata ogni sua denegazione: e faceva uno sforzo supremo per sollevare, con simulata sveltezza, qualche sacco o qualche carratello da portar via. Una mattina che, non reggendosi in piedi, s'era buttato a sedere su la bilancia, sfinito, il principale, nel passargli accanto, si fermò a parlar con lui della sua salute. Si vedeva ch'era determinato di non più tenerlo. Quel tisico, oltre a non servirlo ora come prima, gli faceva pena e disgusto insieme; gli metteva il malumore a dosso con quella faccia pallida dal naso affilato, gli orecchi cerei, come allungati, e le occhiaie livide; con quell'avanzo di voce rauca e cavernosa, a scatti. — Mi rincresce, Peppe — disse il droghiere — ma così la non più durare. Più qua, col tempo, non dico di no, se tu starai meglio, ti potrò ripigliare; ma, ora com'ora, tu lo vedi da te, mio caro. O perchè non te ne stai un po' nella tua portineria, tranquillo, a riposarti vicino alla famiglia? Non ti mancheranno certo le cure... — Un sorriso d'indicibile tristezza del povero malato mozzò la frase su le labbra al principale. Il facchino fissava, con occhi spersi, quella figura volgare e bonaria traboccante di salute, piantata lì, con le mani poderose nelle tasche, dinanzi a lui, scheletro affannato; e una semplice domanda d'una logica crudele e stringente fu la risposta: — Bastano, sor Luigi, quindici franchi al mese per campare in cinque? — Chi sa quante mai volte quell'infelice, sicuro da un momento all'altro d'esser licenziato, aveva rivolta l'identica interrogazione a sè medesimo. Il principale si strinse nelle spalle, dondolandosi come uno cui non riesca di tirar fuori una ragione; poi cercò di far coraggio al suo uomo, premendogli assolutamente di levarselo di torno. — Intendo, intendo — riprese — c'è poco da star a tavola; ma con qualche mezzo servizio che faccia tua moglie nel casamento, con qualche commissione fuori che potrai far tu... E poi non ti metto mica in istrada, io, che diamine! T'aiuterò, non dubitare... L'essenziale è che tu non ti strapazzi più come ora. — Peppe capì che l'insistere era inutile. Anche lì era finito; pazienza. Ebbe la visione netta, inesorabile della morte che gli si avvicinava a passi lunghi, sempre più rapidi, e s'alzò di botto dalla bilancia, per seguire il principale, che gli doveva dare la mesata intera, e anche una piccola regalía, tanto per farlo andare a casa contento; questo voleva darsi a credere il droghiere, per isgombrar dalla propria coscienza qualche leggera nuvola di rimorso. Ma quando il facchino, con un foglio rosso da cento lire stretto nella mano madida e tremante, passò oltre la soglia del negozio, dopo essersi ancora voltato a salutare e a guardar tutti e tutto, impiegati, banco e merci accatastate, presago che quelle persone e quelle cose ei non le avrebbe rivedute più, il mercante tirò un fiato lungo, come chi si leva di dosso un gran peso. Peppe, strascicato che si fu in casa, alla moglie paurosamente meravigliata di vederlo tornare a quell'ora insolita, consegnò il biglietto da cento lire. - Che vuol dire? — chiese Lucia, che non capiva perchè tenesse in mano quella somma maggiore della consueta. Ma il sorriso, ch'ella aveva abbozzato, le sfiorì subito nell'udire il suo uomo sentenziar fioco, gravemente: - Son gli ultimi, sai! — Da quel momento, gli stenti della povera famigliuola di portineria, crebbero ogni giorno. Peppe passava ore e ore immobile e muto sur una seggiola, con le spalle avvolte in un vecchio scialle della moglie, col cappello calato su 'l viso esangue, con lo scaldino in mezzo alle gambe; teneva i gomiti puntellati alle ginocchia e i pugni serrati su gli occhi. Che cosa gli frullasse per il capo in quelle giornate eterne, nelle quali soltanto la tosse, a colpi più duri e sconquassanti, gli faceva compagnia, nessuno de' suoi pensava certo a domandarglielo. La Lucia, che non poteva ormai nè pure metter due punti a macchina, perchè quel rumore, come di telegrafo, urtava i nervi all'ammalato, stava fuori quasi tutta la giornata, o a sfaccendare presso gl'inquilini o a comprar loro della roba qua e là nelle botteghe vicine, o anche in cortile a lavar bucati. Non cantava più la Lucia, s'intende. Non si udiva altro che la tosse del tisico, il rumore I dell'acqua cadente rumorosamente dalla cannella aperta e l'urto de' panni fradici, sciacquati e battuti su la pietra del lavatoio; ma i tre bambini, ai quali la madre ordinava di star fuori della portineria per non dar noia al padre, susurravano, ridevano, si bisticciavano fra loro. Alla Marietta, che aveva sei anni, petulante e pronta a piagnucolare, come tutte le femmine, per un nonnulla, bastava che Checco, l'ultimo di que' bambini, il quale contava poco più di quattro anni, s'ostinasse a ottener da lei un sasso, una scatola da cerini vuota o qualcosa di simile, con cui ella faceva i balocchi, per cominciare litigi e querimonie, interrotte soltanto dall'autorità del fratello maggiore, Santino, che con la sua vocina d'angelo serio, faceva intender ragione a tutti e due, e spiegava loro come dovessero star zitti e cheti perchè il babbo stava male, e la mamma aveva da fare, e c'era bisogno di pace in casa: poi avrebbero mangiato tutti, più tardi, un po' più tardi. Fra l'altre disgrazie, Peppe era diventato d'una irascibilità singolare. Una scodella fuori di posto, un bambino che facesse una domanda inutile, come son soliti fare i piccini, la moglie che battesse un po' più forte i panni su 'l lavatoio, bastavano a mettergli un diavolo per capello; e con quel po' di fiato che gli restava ancora, vociava raucamente, strozzato, con gli occhi fuori del capo, maledicendo la vita e la famiglia, bestemmiando Dio e la Madonna, come un dannato. Un sospiro lungo, represso, usciva dal petto affaticato della Lucia, povero petto su 'l quale, non ostante i suoi robusti trentacinque anni, non c'era quasi più avanzo delle solide curve femminili d'un tempo; e la donna, pia, non per pratiche di chiesa — chè non aveva agio di consacrarvisi — ma per quel bisogno innato ne' deboli e negli afflitti, segnatamente fra le donne popolane dabbene, sollevava il pensiero a quell'Addolorata, la cui immagine stava presente nel suo tugurio, e la pregava in cuor suo di farle la grazia. Quale grazia? Nè anche lei avrebbe potuto precisarla. Che il marito, ridotto ormai in quello stato, potesse, per miracolo, guarirle da un giorno all'altro, non c'era da pensarci. Il povero Peppe era nè più nè meno d'una lucerna cui manchi l'olio. E pure, chi sa? Dio può tutto. Soltanto quando uno è proprio morto e seppellito, non c'è più rimedio. Badava, dunque, a chiedere la grazia, una grazia vaga e indefinita come le sue speranze di bene... E il marito la rimbrottava di continuo: la materassa non era stata abbastanza battuta; il brodo era troppo salato, scorticava la bocca; la lucerna non faceva più lume; non si respirava più in quella stanzaccia! La povera donna taceva, inghiottendo lacrime e rimproveri con uno sforzo fisico della gola, violento, penoso, come se trangugiasse una pallottola che la soffocasse; o rispondeva con mitezza, a mezza voce, non già per iscusarsi col malato, ma per dargli ragione, per dirgli che ci voleva pazienza, e altre buone parole consimili, considerando, nel suo strazio, che a lui la materassa pareva più dura di prima, perchè il corpo gli si era scarnito; ch' ei sentiva troppo sale nel brodo, perchè ormai il palato non gli diceva più il vero; e se gli mancava l'aria, voleva dir che i polmoni gli funzionavano male; e se il lume della lucerna non gli bastava più, gli era che i suoi poveri occhi si velavano per l'eternità... Dunque? Dunque l'Addolorata Santissima non gliela voleva fare la grazia! Non che non glie la volesse fare: troppo è misericordiosa la Vergine! Ma lei, si vede, non la meritava! E Lucia concludeva, con un altro sospirone, rassegnata, ma straziata, in fine di ogni soliloquio muto ed ingenuo: — Sia fatta la vostra volontà, Madonna Santa! Il peggio fu quando il tisico, giunto proprio agli estremi, si mise a letto per non più rialzarsi. Essendo insofferente d'ogni fastidio, i bimbi dovettero essere coricati, la notte, chi su la cassapanca, chi sur una sedia, pure di non farli stare vicini a lui. — Lèvameli di lì — diceva egli alla moglie — tanto, devo avvezzarmi a non li veder più! Quanto a denari, il foglio delle cento lire era finito da un pezzo. Allora la Lucia, facendo, come si suol dire, un passo avanti e due a dietro, fu costretta a ricorrere parecchie volte al droghiere, per ottenerne qualche sussidio che le permettesse di spedir le poche ricette rilasciatele dal medico condotto. Ella trovava, per solito, l'antico principale di suo marito insediato dietro il casotto a cristalli spuliti dove teneva la cassa. Il grosso industriale, intento com'era ad allinear cifre sotto cifre, ne' registri che gli stavano aperti dinanzi, poco poteva badarle. Due o tre domande indifferenti su lo stato del facchino morente, a monosillabi più che altro, a grugniti, i quali avrebbero dovuto significare il rincrescimento del padrone, che riconosceva d'aver perduto un subalterno galantuomo: nulla più. Queste erano state, con qualche lira, le manifestazioni di simpatia e di compatimento ottenute dalla sventurata in quelle sue visite; poi dei segni di noia, dei gesti bruschi, quasi nessuna parola, e de' soldi di rame: un'elemosina; tanto che l'ultima volta, dopo aver aspettato un pezzo di parlare al principale, che il ministro del negozio, i commessi e i facchini, con tono fra sguaiato e sprezzante, le dicevano fosse sempre occupato, quando ella vide il sor Luigi passarle innanzi figurando di nè pur guardarla, la poveretta corse via a scoppiare in singhiozzi su la strada; si mise a camminare rasente i muri per non cadere e si coprì il viso con la pezzuola colorata, già fradicia di lacrime ghiacce. In questo tempo Peppe si voltava e rivoltava tra i ruvidi lenzuoli, smaniando. Ogni momento batteva un cucchiaino contro un bicchiere, per chiamar Santino, che si gingillava davanti all'uscio, non andando più a scuola, a fine di assistere il padre quando la mamma era assente. — Che vuoi, babbo? — chiedeva il bimbo accorrendo. Più col girare degli occhi spauriti che con la voce quasi spenta, l'etico domandava ora una cosa, ora un'altra: un cucchiaio di calmante, un sorso di brodo o di limonata, o che gli venissero tirate su le coperte verso la rimboccatura, o messi degli altri stracci su' piedi. E Santino, con buon garbo, giudiziosamente come uno grande, rendeva al povero padre suo que' piccoli, continui servigi, compensati, per la maggior parte, con un brontolío sordo, catarroso, iroso. Una volta accadde una scena inaspettata. L'infermo aveva, secondo il consueto, chiamato il fanciullo presso di sè: - Dammi... Dammi... — E accennava vagamente qualcosa, sollevando a pena una mano. Santino gli porse il bicchiere; il padre voltò il viso dalla parte opposta, dispettosamente. - No.. no.... dammi.... — ripeteva inquietandosi. Santino corse al camino, a prendervi la tazza del brodo, che stava lì in caldo. Chi sa, forse il babbo si sentiva bisogno di sostenersi un po' lo stomaco. Ma quando ei gli portò al letto la chicchera, il malato ebbe uno scoppio di collera, che si tradusse in una specie di rantoloso ruggito, e diede, più forte che potè, un pugno su le coltri. Il ragazzetto guardavasi qua e là da torno incerto, spaventato; non capiva che cosa si volesse da lui. Finalmente il tisico raccolse un po' di fiato e urlò selvaggiamente: — Il clarino!... — guardando fisso la parete dov'era appeso, ben ravvolto nel suo morbido astuccio di panno verde, l'antico strumento. Il figliuolo s'arrampicò sopra una seggiola, e dopo non pochi sforzi, afferrato il clarino, lo portò all'infermo. Questi lo prese fra le mani scarne che gli Contessa Lara. 5 tremavano per la debolezza e per la commozione, lo contemplò un pezzo, rifacendo in cuor suo tutta la storia del suo umile ideale; con grande fatica, piano piano, lo sollevò e, appressandoselo alle labbra, parve tentare di svegliarne qualche flebile nota... Ma la lena gli mancava; lo strumento rimase muto; e l'artista moribondo, raccolta quanta energia gli restava, con uno sforzo supremo diede una spinta al clarino: e mentre quello ruzzolava giù dal letto, fracassandosi in terra, egli nascose il viso spettrale nel cuscino e pianse, l'ultima volta. La sera gli somministrarono l'estrema unzione; e verso l'alba spirò, senza aver pronunciato altre parole. Dopo che Peppe fu andato a riposar sotto terra, nel campo comune, la sua famigliuola ebbe come un inconscio sollievo. Il padrone dello stabile aveva fatto ripulire la portineria, e dare a dirittura tre mani di bianco alla cappa del camino, che non voleva venir netta nè pure quando l'ebbero scrostata: di modo che la stanzetta pareva anche più ariosa e più chiara. La materassa del letto era stata ribattuta; rifoderato il coltrone, ch'era tutto macchiato di unto e di medicinali; e la Lucia aveva ripreso a cucir di bianco. Al mattino, quando ella avea rassettata la sua casetta e fatto anche qualche servizio nel casamento, si sedeva al tavolino, e il tic-tac fitto fitto della macchina risonava per ore, senza interruzione. Alle tre tornavano i bambini dalla scuola; e nel cortile principiava il baccano: massime quando scendevan pure i ragazzi del secondo e del terzo piano, che a tempo del malato avevano avuto la proibizione di metterci piede. Due o tre di loro facevano da cavalli, con una fune passata alla vita; mentre un altro, tenendo nella mano sinistra l'estremità della corda stessa e nella destra una canna a cui era annodato un nastro simulante la frusta, guidava; e lì, trottate, scalmanate a più non posso, fra grida e incitamenti del cocchiere e urlacci de' cavalli scappanti. In tanto un gruppo di maschietti più piccoli giocava a palla, con la smania di raggiungere i vetri del primo piano: per quel desiderio innato nei fanciulli d'esser nocivi a qualcuno, di distruggere qualcosa. In un angolo, quattro o cinque femminucce giravano in torno, tenendosi per mano, e cantando certi ritornelli puerili dalle rime senza significato, che quasi tutti noi ricordiamo con maggior compiacimento via via che gli anni trascorrono. Ci voleva, dopo, del buono e del bello a far rincasare tutti que' diavoletti scatenati; e molte volte non bastavano i berci e le minacce delle serve e delle mamme. L'Adele poi, quella servona tarchiata e bruna dei Lantoni, nativa del circondario di Firenze; la quale (lo diceva anche la sua signora) aveva d'oro il cuore e di bronzo la voce, ci metteva poco a strillar più forte di tutte: - Vienite o non vienite su, figli di cani? — Di dentro casa, i padroni ridevano, senza aversi a male del curioso appellativo che l'ottima ragazza affibbiava a tutti indistintamente. Santino, se bene vispo anche lui a suo tempo, era l'unico che, fra quel branco di ragazzi, non avesse bisogno di sgridate per istar cheto e fare quel tanto di lezioncine richieste dalla scuola. Appoggiato alla tavola dove sua madre cuciva a macchina, egli, con davanti il quaderno a righe azzurrognole, faceva da bravo il suo còmpito, ripetendo sottovoce, prima di vergarle, le cifre delle facili moltiplicazioni e sottrazioni, o la sentenza da copiarsi con la più accurata calligrafia. Sembrava che in quei momenti il fanciullo non udisse lo schiamazzo de' compagni in torno a lui; e quando quella pettegola della Marietta entrava come un fulmine in portineria a cercarvi qualcosa, o pure Checco, andato a gambe all'aria a un urto de' più grandicelli, ricorreva alla mamma con le lagrime che gli lavavano il viso, Santino alzava appena il capo di su lo scritto. — Ha troppo giudizio per la sua età: ho paura che non mi campi! - soleva dir la Lucia se parlava della saviezza del suo bimbo maggiore, seguendo quella curiosa credenza popolare, la quale tenderebbe a persuaderci, che le creature buone e intelligenti non sono destinate al nostro mondo tristo. Oltre a essere ubbidiente, Santino era anche di una certa utilità a sua madre. Parecchie spesucce correva già a farle lui; e bisognava vedere come gli tornavano sempre i conti. Poi sapeva spazzar bene la stanza, cansando pianino il paravento; sapeva accendere il fuoco e mettere a scaldar l'acqua in pentola. Ma quel che più consolava la vedova, quel che faceva, quasi direi, che senza saperlo ella nutrisse un'intima predilezione per il suo figliuolo maggiore, era la tenerezza di lui per lei: una tenerezza dimostrata dal fanciullo più che altro ne' momenti in cui restavano soli, loro due. Quante sere, quando la Marietta e Checco erano profondamente addormentati, una da capo e l'altro da piedi del letto, e nella camera s'udiva soltanto il loro respiro regolare, soffio ritmico e leggero, Santino metteva le braccia al collo della madre, le appoggiava la testolina su la spalla, e zitto, senza darle baci, stava in quella posizione un pezzo. Lucia gli passava lentamente le dita fra i ricci castagni, gli faceva, con un sorriso beato, il solletico su 'l labbruccio inferiore, poi chiedeva sottovoce: — Le vorrai sempre bene a mamma, così?... — Il bimbo non fiatava: una piccola capata in su, verso il viso materno era la tacita risposta. A volte si mettevano a ricordare insieme il povero babbo morto, tanto affezionato, tanto faticatore, mentr'era sano; e Santino, serio, prometteva a sua madre di lavorare anche più del babbo, quando sarebbe stato grande; voleva scegliere un mestiere che gli facesse portare a casa tanti soldi, tanti da comprar sempre il pane, il carbone, l'olio... Dopo ciò, madre e figlio andavano anch'essi a letto: lei dalla parte della Marietta, lui da quella del fratellino, quieti. Un giorno il bimbo tornò a casa sbiancato; intanto che faceva il còmpito, s'interruppe più d'una volta per chinare il capo su la carta, e quando sua madre gli scodellò la minestra di fagioli, non potè inghiottirne che due cucchiaiate, a forza. - Che hai? Che ti senti? — chiese Lucia. - Nulla, non ho fame. — Così dicendo il bimbo s'appoggiava su la spalliera della seggiola e mentre gli altri mangiavano, serrò gli occhi come per dormire. - Va' su' l letto, va'! — gli fece la madre. Ma Santino non mostrò d'udire, e muto, svogliato, stette lì, fin che la famiglia non ebbe terminato il povero pasto. La Marietta e Checco, allora, corsero in cortile a ruzzare, e il fratello maggiore andò a sedersi su le ginocchia della mamma. - Tu ti senti male, bambino! — esclamò la vedova, agitata. - Mi duole il capo — rispose lui, strascicando le parole, come se gli costasse fatica di pronunciarle; e conchiuse: - Mamma, voglio andare a letto. — Quando si fu tutto raggomitolato sotto le coperte, chiese che gli si mettesse a dosso dell'altra roba: lo scialle vecchio della madre — che dopo la morte di Peppe ella aveva lavato nel ranno e tenuto alla guazza notturna — i panni che portava giornalmente, e perfino il tappeto che stava su la tavola da lavoro. Batteva i denti come uno nudo di gennaio, e tremava a vetta. Poi, di lì a un'ora, cominciò a buttar via ogni cosa; sbuffava, ansimava: un febbrone asciutto e smanioso lo bruciava. — Madonna benedetta! eccoci daccapo! — sospirò la povera madre, alzando gli occhi e chiamando in soccorso il Cielo nella sua nuova disgrazia. Quella notte, Lucia non si coricò. Il bambino era rimasto lì immobile, come un masso, senza lamentarsi. Spesso però, chiedeva dell'acqua e, con le pupille chiuse, s'attaccava al bicchiere, avidamente. La madre, a ogni istante, gli posava la palma della mano su la fronte, tirandogli su i ricci, che dovevan dargli troppo caldo; poi stendeva il braccio sotto le coltri e gli tastava il ventre e i piedi: scottavano... — Madonna! Madonna cara, che nottata! - badava a ripetere la vedova. l giorno dipoi, quando fu chiamata da una finestra o dall'altra del cortile, salì ad avvertire che non poteva muoversi dal capezzale del figliuolo, colpito da un malaccio improvviso, violento; e piangeva a cald'occhi, pronta, magari, a sorridere fra le lacrime, se qualcuno, per farle coraggio, le dava di paurosa, perchè s' avviliva così subito per una febbre di crescenza; i ragazzi, si sa, ci vanno soggetti. - Che vuole? - diceva la poveretta, scusandosi - lo so da me; ma bisogna considerare che io a' figliuoli darei l'anima; Santino poi, da che è morto suo padre, è stato tutta la mia consolazione... - e si rasciugava gli occhi, singhiozzando convulsamente. — Se vo' fate a cotesto mo', ve lo dico io, vo' campate poco o vo' morite presto — sentenziava con uno scoppio di voce l'Adele, scrollando il capo; e seguitava, sempre brusca, ma in fondo piena di bontà: — Cose che passano. Domani 'un sarà artro, ve lo dico io, vedrete! — Ma la febbre del ragazzo, anzichè cessargli, come si voleva fare sperare alla Lucia, aumentò ancora. Il poverino era giunto a non pronunziar più parola; inconscio, mandava dei lievi gemiti inarticolati, quando la madre, per levarlo dal sudore che gl'inzuppava la camicia e i lenzuoli, lo sollevava a pena a pena, con ogni precauzione, passandogli sotto il corpo qualche telo asciutto; e non c'era stato verso di fargli inghiottire nè anche una goccia dell'olio di ricino, che la signora Lantoni gli aveva mandato, perfin preparato con lo sciroppo di menta, perchè, secondo lei, l'olio di ricino è il rimedio che guarisce tutti i mali dei bimbi. Quanto alla Lucia, ella non sapeva più che si fare. Ora girava per la stanza, toccando senza ragione un oggetto o un altro, come inebetita; ora sedeva al tavolino, dove la sua macchina da cucire posava silenziosa, e incrociatevi sopra le braccia, si nascondeva il viso: quasi che, non vedendo più nulla, avesse potuto anche non più pensare. — Per quanto vo' vi stilliate i 'ccervello, e' vi ci vor pazienza — le tornava a dir l'Adele cercando di persuaderla. — Cor i' ddestino glien' è un cattio combattere! — E anche le altre donne del vicinato badavano a ripeterglielo: ci voleva pazienza, non c'era che fare. Pazienza! Bastasse almeno, Signore, la pazienza! Chi n'aveva avuta quanto lei da un pezzo in qua, messa in croce dalle disgrazie più tremende? Se le fosse mancato anche l'ultimo boccon di pane, non le sarebbe importato: si va a parar mano per la strada; ma lottare un'altra volta con la morte, no, no, no, Madonna santa, non poteva più! E si torceva le mani; se le passava su la fronte per cacciarne il pensiero tormentoso, insistente, che la perseguitava come una fissazione; poi scoppiava in pianti dirotti, spasmodici, che, dicevan le vicine, le facevano bene; ma che invece la sconquassavano tutta. Il terzo giorno, il medico condotto, ch'era stato chiamato con premura dall'Adele, dopo aver lungamente osservato con un cerino acceso l'epidermide del fanciullo, lo dichiarò attaccato dal vaiuolo, e consigliò di trasportarlo, senza perder tempo allo spedale di San Francesco de' Poverelli: lo spedale de' vaiolosi. — Mai, mai, allo spedale! - dichiarò Lucia, co' denti stretti; e riprese subito: — Si figuri! non ho voluto che ci andasse suo padre, morto consunto, lei lo sa, dottore; si figuri, dico, se ci porto il ragazzo! Dovessi vendermi le panchette del letto, dovessi far... che ho da dire? Santino non lo levo di casa. — II medico, con gli occhi bassi, dondolò un po' la persona elegante dinanzi a quella disperata; poi rispose in tono cortese: — Fate come vi pare; per me, però, avete torto: specialmente trattandosi d'una malattia contagiosa. — In tanto, promise di tornare il domani, al più presto possibile. Ma su la sua esattezza non c'era da far troppo conto. Era un giovanotto laureato da poco, e più invaghito delle sue fortunate avventure nel mondo della galanteria, che della sua professione, piena di sacrifici d'ogni genere. Codesta professione egli l'aveva scelta senza entusiasmo e senza ragione di preferenza, come ne avrebbe abbracciata qualunque altra, soltanto per non darla vinta al proprio padre, un rigido colonnello de' granatieri, il quale avrebbe voluto a ogni costo veder il figliuolo consacrarsi alla carriera militare; unica, gridava il vecchio caparbio, fatta per l'uomo che si sente uomo. E il dottorino, non tanto nauseato da quel contatto obbligatorio con ogni sorta di male, quanto seccato dal far visite giù in pianterreni bui come sotterranei o su in vetta a squallide soffitte riarse dal sole, anzi che trattenersi in salotti fioriti, pieni di signore ridenti, evitava quanto più poteva il suo malinconico dovere. Ciò non ostante, nella condotta affidata a lui, pochi ammalati se ne lagnavano. Era buono con tutti; educato a segno di levarsi il cappello su la soglia di qualunque tugurio, e dimostrava una certa simpatia per i ragazzi e per i vecchi. Un giorno, si raccontava, prima d'avvicinarsi al letto d'una moribonda, aveva gettato fuor dell' uscio la gardenia che portava all'occhiello: a' suoi occhi i clienti non potevano esiger di più da lui. Lucia passò la notte più angosciata che mai; le pareva d'aver conficcate nel cuore le sette spade della Madonna che stava a capo al suo letto. Cominciata a pena un'avemaria, la lasciava a mezzo, per tornar a piegare il viso su 'l suo bambino e sentirne l'alito cocente, o per mettergli fra l'aride labbra un pezzettino di ghiaccio; quindi ripigliava l'avemaria; ma un lamento del malato la faceva di nuovo correre a lui, pur troppo, a non far nulla per sollevarlo; e l'avemaria, sempre ricominciata, non aveva mai fine. Così i minuti passavano lunghi come ore, e le ore come giornate; tanto che a' rintocchi Contessa Lara. 6 dell'orologio di Santa Caterina, che sonava i quarti, ella quasi non voleva credere. Madonna cara! com'era possibile che in tutto quel tempo, in quel tempo eterno, non fosse passato che un quarto d'ora? Quando vide il primo biancheggiar dell'alba, le parve di riaversi, come se anche nell'intimo suo si diradassero un po' le tenebre. Dopo le otto, principiò ad affacciarsi qualcuno a chieder notizie di Santino. Le notizie erano le solite: un febbrone da cavalli, e tutto il corpo punteggiato di pustole rosse. — L' è una zizzola! — masticava l'Adele, scrollando il capo, impensierita su 'l serio. Tornò verso sera il medico, e s'accigliò nel vedere il malatino. La madre lo guardava fisso, spiando su 'l viso di lui che cosa ella dovesse sperare o temere; ma l'altro rimase alquanto muto; fece poi tre o quattro domande laconiche, necessarie, e volle carta e calamaio per iscrivere una ricetta. Scritta che l'ebbe, si voltò alla donna: — Mi rincresce d'avvertirvi — diss'egli — che per comprare questa roba vi ci abbisogneranno quasi tre lire; oltre di ciò per tenere il bambino coperto di ghiaccio da capo a' piedi, affinchè l'eruzione sfoghi ben tutta, quando anche avrete comprato la borsa di gomma elastica, che ci vuole, non vi basteranno sette o otto lire al giorno. Rifletteteci, mia cara. Qui, il malato, per quanti sacrifici facciate, mancherà, per forza, di molte cose; mentre all'ospedale, dov'hanno tutto il necessario, lo curerebbero ammodo. Io, per conto mio, col daffare che ho, non posso venir che una sola volta al giorno, se pure... All'ospedale, in vece, si fanno due visite quotidiane, e magari più, se c'è il bisogno; poi ci sono gl'infermieri, che han pratica delle malattie quasi quanto noi dottori. Rifletteteci, mia cara. — Lucia, gli occhi sbarrati nel vuoto, accennava lentamente di no, di no, col capo; poi rispose con un fil di voce: - Si vedrà — e accompagnò, fino in mezzo al cortile, il dottore che usciva. Subito dopo chiamò forte: - Adele ! Adele! — Aveva in testa un progetto. Dal giorno che l'antico padrone di suo marito, fingendo di non ravvisarla, le aveva mostrato chiaramente di non gradirla intorno a sè, Lucia non gli s'era più rivolta. Meglio patir la fame, pensava, che andare a umiliarsi a certa gente; e giurava che sarebbe morta anzi che rimetter piede nella drogheria. Codesto giuramento, ella lo aveva mantenuto per tutto quel tempo che ancora visse Peppe, e anche dopo, da ch'era vedova. Si era rifinito tutto, è vero; di biancheria le restavano appena due paia di lenzuoli per cambiare il letto: un paio a dosso, uno al fosso, come si suol dire; l'anello matrimoniale impegnato ad un montino, Dio sa dov'era ito; ma almeno non aveva fatto delle faccette con nessuno. Quando, però, udì il dottore parlar di tutte quelle lire che ci volevano ogni giorno per i medicamenti di Santino, il pensiero le ricorse tosto al sor Luigi. Chi avrebbe potuto soccorrerla in quei frangenti? Gl'inquilini facevano troppo a mandarle mattina e sera del brodo, carichi di figliuoli e non ricchi, com'erano. E rifletteva, per iscusar con sè medesima l'idea di tornare sopra l'antico proposito: — Quella volta, si sa, la colpa è stata di tutti e due; lui avrà avuto i nervi, e io me la presi troppo calda. Da chi è da più di noi bisogna patirne. Del resto, prima qualcosuccia me l'ha data; non posso dirne male... E ora gli è certo che m'aiuterà; bisognerebbe avere un cuor di macigno per abbandonare una creaturina malata come questa... — Pensava anche che, alla peggio, avrebbe proposto al sor Luigi di farle un prestito, un semplice prestito di cui lo avrebbe rimborsato un poco per volta: così, lui, del suo, non ci rimetteva niente, e tutti eran contenti. Su lo spedale la madre non fermava affatto il pensiero; le sarebbe parso un cattivo augurio. - Adele! — chiamò ancora più forte. — Uh! Che c'egli? — gridò la serva, accorrendo alla finestra. - Nulla, nulla. Mi fate il piacere di starmi un momento dal bambino? Vado e torno. - Accidèmpoli! Vo' m'avete messa in corpo una paura birbona! Tremo tutta! — fece l'Adele, che aveva temuto qualcosa di peggio. E scese. Allora Lucia, buttandosi a dosso lo scialle nero, prese la strada quasi di corsa, senza nè anche veder la gente alla quale passava in mezzo. Quando fu a pochi passi dalla drogheria, le entrò la tremarella nelle gambe. Era più d' un anno, ormai, ch'ella evitava anche di traversar quella via: e la grande insegna color di rame, a lettere cubitali gialle su l'alto della vetrina, e le lunghe targhe ai due lati con la specifica dei generi allineata, quell'insieme di cose materiali non cambiato, mentre per lei e per i suoi era mutato tutto, parve mozzarle un istante il respiro. Ma Santino aspettava: ella si face coraggio: entrò. Il principale scriveva al suo solito posto. Al veder Lucia fermarsi, ritta, dinanzi al suo casotto, alzò il capo e la guardò; poi chiese: — Che cosa volete da me? — Ella cominciò timidamente: - Non sono più venuta, sor Luigi, se lo ricorda? per non incomodarla... Peppe mi morì... già lo saprà... e oggi ho il bimbo maggiore, Santino, col vaiolo. Sta male... creda, male!...- - Mi dispiace — brontolò il droghiere, rimettendosi a vergar numeri. - Scusi; se la disturbo, ma il dottore mi ha detto... che per le medicine e il ghiaccio... ci vorranno... anzi non basteranno... sette o otto lire... al giorno. — L'uomo parve ancora più attento a' suoi registri; Lucia riprese: - Allora sono scappata da lei a pregarla per amor di Dio... — - A pregarmi di che? — domandò con freddezza il grosso negoziante, come se non gli passasse per la mente ch'ella fosse lì aspettando un soccorso, una carità, da lui. - Di darmi qualcosa per... — Il droghiere posò la penna, e fissò in viso la vedova. - Ma voi — disse — credete, me ne avvedo da un pezzo, che il denaro io lo zappi. Venite sempre con queste storie di disgrazie, di malattie, di morti, che so io, come s'io fossi il Padre Eterno...- - Nossignore.... mi perdoni... creda.... ho creduto... — Lucia si sentiva smarrire il cervello. Ma dunque, se quell'uomo non l'aiutava?... In quel punto le si ripresentò alla mente l'idea del prestito, ch'ella afferrò come una tavola di salvezza. - Non intendo già — disse — che lei si sacrifichi, sor Luigi, glie l'assicuro... Ma se mi facesse la carità di prestarmi qualcosa... glie la renderei...- - Già, a porta Inferi! — interruppe, incredulo e brusco, costui. - Non tutt'insieme... non lo prometto, perchè so di non poter mantenere... ma quanto prima... - - Non presto nulla — dichiarò uomo; e, dopo un istante, poi che Lucia s'era coperto il viso col fazzoletto, per nasconder le lacrime e la vergogna, soggiunse: - Eccovi due lire. Questo è quanto vi posso dare; ma ricordatevi di non venir più da me, perchè non intendo mantenere le famiglie degli altri. Ho le mie faccende, io, e a quelle devo pensare. — Così dicendo, fece con la destra un gesto risoluto di congedo; e tornò a piegar la fronte rannuvolata su' suoi libri. La vedova lo guardava trasognata: un torpore del sangue, come un formicolío, le invase il corpo; pure volle tentare uno sforzo terribile, ultimo, e pronunziò: - Ma si tratta di vita o di morte, sa! Ah, glie lo giuro, glie lo giuro proprio che se non fosse stato per questo, non sarei venuta più, no, no, non sarei venuta più!.. - - Basta, ho altro da fare! — vociò il principale, stizzito da quella noiosa insistenza; e soggiunse, come parlando tra sè: — Maledetto il buon cuore! Se a questa gentaglia si fa tanto di dare un dito, vi piglia il braccio, vi piglia! — Lucia uscì. Come le gambe la ressero, camminò fino a casa, e si buttò su la sedia accosto al capezzale del figliuolo, più bianca di un panno lavato, senza dir parola. - Icchè v'avete fatto? — cominciò l'Adele piantandosele davanti con le mani sui fianchi. — E' v'hanno dato poche consolazioni addò vo' siete stata, eh? — Lucia crollò la testa bassa. - Tirate via — rispose filosoficamente la serva — tanto, la morte la ci ha a trovar vivi! — Ma la vedova aveva un'espressione così angosciata e stralunata, che alla buona fiorentina venne meno il coraggio di farle altre chiacchiere, fossero pure a fin di bene e per distrarla. L'aiutò, invece, a ripulire qualcosa — dove c'è un malato, c'è sempre da fare — quindi salì dai propri padroni, e ridiscese quasi subito, seria, composta. Non pareva più lei, tanto la gravità della situazione le pesava su 'l cuore. Più presto di quel che credevano si fece rivedere il giovane medico condotto. - Brutto segno! — pensò l'Adele. Allora Lucia con una voce che non aveva più suono umano, ma risoluta, disse: - Signor dottore, prima di notte porto il bambino all'ospedale. - - Brava, brava, mia cara; fate un'ottima cosa — rispose quello — Vedrete, vedrete. — E visitato l'infermo, che presentava dei sintomi ancora più minacciosi, scrisse la domanda d'ammissione a San Francesco de' Poverelli. - Debbo avvisarvi — fece egli alla donna la quale seguiva, cadaverica, il rapido moto della sua penna — debbo avvisarvi che il regolamento proibisce ai parenti di visitare i malati. Gli è per evitare i contatti con gli esterni, capite, che potrebbero propagare il vaiolo. Una volta entrati lì, si rivedono soltanto guariti, o... - - Nè meno io che sono sua madre, posso andare a trovarlo?... - - Nessuno: è la regola. — Ella piegò più giù la testa su 'l petto, ammutolita, vinta. Più tardi, raccolta ch'ebbe la sua creatura entro il lenzuolo e le coperte, fra le quali giaceva, Lucia sollevò di peso quel corpicino quasi inerte, e se lo portò in braccio nella carrozzella che l'Adele era corsa a prendere. Giunta alla porta dello spedale, mise in mano al vetturino le due lire ricevute dal droghiere. Al portinaio del triste luogo, un pancione in livrea, dal naso violaceo, ella domandò, tenendo sempre Santino in collo: - C'è quello che comanda? - - Il direttore? — rispose l'interpellato con tono di superiorità — Il direttore adesso non si può vedere. — - Ma ho qui la domanda... Il bambino mi sta male... - - Si chiama il medico di guardia, in questo caso. - - Chiamate chi volete, ma chiamatelo presto — supplicò la donna. — Io non mi reggo più. — Il pancione in livrea le indicò una panca di legno, dicendo con lo stesso tono di voce: - Sedete lì. — Lucia sedette. Il fanciullo, che pareva un fagotto di panni, restava immobile, pesante, tutto abbandonato. Ella non osava tirargli su neanche un lembo dello scialle per vederlo in faccia, temendo di fargli pigliar fresco; e ogni momento avvicinava la bocca verso il capo di lui, e susurrava: - Santino! Cuore di mamma! — Ma la creatura non le rispondeva. Scese, dopo un po' di tempo il medico di guardia, e constatato lo stato del vaioloso, ordinò che lo si mettesse per quella notte nella stanza d' osservazione. Mentre il bimbo stava per essere trasportato via da un infermiere, sua madre gli scoccò due, tre, dieci baci su 'l viso rosso, tumefatto, su gli occhi chiusi, vischiosi. - Madonna santa, beneditelo! — pregò, tendendo in alto le braccia, mezzo strozzata dalla violenza dell'emozione; poi raccomandò all'infermiere, che già saliva la scala: - Abbiate compassione! Guardatemelo voi, per l'anima dei vostri morti! — e fuggì barcollando, senza voltarsi. Lo spedale di San Francesco de' Poverelli sorgeva in un punto lontanissimo da quel palazzo de' quartieri nuovi, dove Lucia era portinaia. Ci volevan tre buoni quarti d'ora per farsi trascinare fin là in carrozza, e poco men che due ore per andarci a piedi, anche camminando di buon passo. Ora, il maggior dolore che lacerava il cuore di Lucia, da che non aveva più davanti a sè lo spettacolo del suo fanciullo in lotta con la morte, era di non potersi recar tutti i giorni, a tutte l'ore, là dove egli stava rinserrato fra gente estranea, alla quale il poverino doveva pur essere indifferente come chi sa quante altre creature che soffrivano al par di lui, intorno a lui. — Come starà, in questo momento, Santino mio? — era la domanda unica, insistente, fissa simile a un chiodo piantatosegli nel cervello, che la madre si rivolgeva, certe volte persino a voce alta, mentre, pallida come un cadavere, con un tremor nello stomaco, invecchiata, consumata, tornava a lavorar come prima per gl'inquilini del casamento, correva a comprar loro della roba, faceva de' bucati, in fine disbrigava tutte le solite faccende, tranne quella di cucire a macchina, che avrebbe tenuta ferma, mettendole nei nervi un convulso insoffribile. E, con la visione netta delle corsie dai muri bianchi d'intonaco, lungo i quali si schieran le file dei letti uniformi: le corsie di quello spedale ch'ella non avea mai veduto, la desolata si figurava tutti i pensieri che dovevano Contessa Lara. 7 affollarsi nel cervellino febbrile del suo bimbo, quando, se schiudeva gli occhi, non trovava più lei al capezzale. — Chi sa se gli fanno male, quando gli mutan la camicia! Chi sa se badano che il lenzuolo non gli s'aggrinzi sotto ! Ci vuol così poco a impiagarsi ! Brodo, ghiaccio, ne avrà quanto n' ha di bisogno ? Oh, Dio! oh, Dio mio ! — Ma l' idea più orrenda di tutte, una vera follìa che s' impossessava di lei a poco a poco a crisi acute, era quella che al fanciullo non si desse abbastanza spesso da bere. E le sembrava vederlo smaniare in quel letto non suo, senza potersi esprimere, stordito dall' intensità della febbre, e allungare il labbruccio inferiore nel desiderio d'un sorso fresco; ella sentiva come scottar su la propria bocca quel labbruccio arido, enfiato ; un suono indefinito le portava un lamento ch' ella avea sempre nell' orecchio... — Soffre la sete quella creatural — E Lucia allora, presa da una disperazione tanto crudele quanto impotente, si morsicchiava le mani, si stringeva la testa, torcendosi, come si torcono i tronchi delle serpi mutilate. Quanto più spesso le riusciva di scappare, si recava all'ospedale: due e anche tre volte alla settimana; ma quel giorno poteva contar di perdere quattro o cinque ore di lavoro: di più, la portineria restava abbandonata. Veniva il portalettere, veniva gente a chieder di questo o di quell'altro inquilino, e non c'era alcuno per rispondere. Lei si figurava il brontolío dei casigliani, il malumore del padrone, se fosse giunto a saper la faccenda, e correva verso San Francesco de' Poverelli, correva col viso in fiamma, con le gambe che tanto più le pesavano, come fatte di piombo, quanto più le premeva di far presto. E quando, trafelata, trovavasi finalmente allo spedale, davanti al pancione in livrea, che, non avendo nulla da fare, non aveva premura nè per sè, nè per gli altri, ella si struggeva lì una mezz'ora, avvolgendosi e svolgendosi macchinalmente una punta del fazzoletto intorno a due o tre dita della mano. Il tempo non le passava mai; scendevano e salivano inservienti, medici, impiegati, su e giù per l'ampia scala che mena alle corsíe; la donna sospirava, si raccomandava a Gesù, alla Vergine, a tutti i santi e martini benedetti... Stava su' carboni ardenti... Finalmente, qualcuno le si avvicinava a farle l'elemosina delle desiderate notizie; ed ella riprendeva la sua corsa verso casa, con le gambe che pareva non si volessero staccare dal suolo, col capo che le andava per aria, ma più serena d' animo, un po' rassicurata. Di fatti, le notizie di Santino eran sempre migliori. Una volta, dissero a sua madre che il medico lo aveva messo a un quarto di vitto, poi a metà. Un'altra volta seppe che gli era stato permesso d'alzarsi, e allora ebbe due terzi di vitto, non ostante che, a dar retta a lui, avrebbe mangiato anche il desinare del personale di servizio; tanto era l'appetito che gli tornava con le forze. Lucia sorrideva, con gli occhi inondati di lagrime, a sentir tante cose consolanti, e se le sarebbe fatte ripetere sa Dio quante volte. — Madonna cara! Che grazia mi avete fatta! — esclamava col cuore traboccante di gratitudine verso la Provvidenza. Un giorno, la superiora delle monache addette all'ospedale, le disse che il bambino, ormai perfettamente ristabilito, non avrebbe certo tardato a uscire. Quel giorno, prima di tornare a casa, la Lucia non seppe resistere al desiderio di fermarsi da un merciaio che conosceva, a pigliarsi quattro metri di frustagno marrone, per farne un vestitino nuovo a Santino. Fissò di pagarlo un tanto il mese. Ora che non aveva più da perder tempo in queste gite, poteva guadagnare qualche altra cosa; poi le si presentava un nuovo provento: era venuta ad abitare un quartierino del palazzo una giovane sposa incinta, moglie d'un tenente, la quale voleva la Lucia a mezzo servizio, non facendo ella quasi niente da sè in casa, un po' perchè non c'era avvezza, e un po' perchè soffriva di quella prima gravidanza. In questo modo le cose sarebbero andate meglio, si capisce: una spinta di qua, una di là, e la barca va avanti. Tutto questo, la Lucia ripeteva nell'intimo suo, mentre, con un sorriso felice, si stringeva al petto l'involto del frustagno. E come unse e riordinò con compiacimento la sua macchina per cucire il vestitino, non appena l'ebbe tagliato! Lavorava di sera: mentre quel tic-tac fitto fitto ch'ora le faceva l'effetto d'una musica allegra, s'accompagnava al ritmo eguale del respiro dei due bimbi dormenti uno da capo, l'altro da piedi del letto, certe lagrime grosse e calde rigavan la faccia della madre, perchè andava ripensando che in quei giorni di strazio, quando Santino era lontano, tanto malato, ella se la pigliava persino con la Marietta e con Checco, poverini! vedendoli così allegri, sani, chiassoni... Il vestitino era già pronto; la Lucia se l'era già rigirato fra le mani chi sa quante volte, immaginandosi la figura che avrebbe fatto indossato, quando finalmente giunse la famosa lettera diretta ai genitori o parenti di Santino Naldi, invitandoli a ritirare il fanciullo dallo spedale di San Francesco de' Poverelli. Era guarito. La vigilia del ritorno di lui, la madre non trovava il verso d'andare a letto: un'altra ferrata alla camicina con l'amido dal goletto lustro e interito; un'altra stiratina alle calze a costole d'un color marrone scuro, compagne al vestito. A un tratto, fu bussato all'uscio: potevano esser le dodici. — Chi è? — fece la Lucia, che non aspettava gente a quell'ora. - Son io, Trevisani: apri. — Era il tenente: l'inquilino nuovo. La portinaia gli aperse. Un bel giovane, alto e bruno, co' pantaloni alla militare e una giacchetta da borghese, si presentò su la soglia, occupando l'intero vano con la sua poderosa corporatura. Aveva il viso sconvolto, gli occhi cerchiati di rosso. - Mia moglie sta poco bene — disse - ha abortito. - - Oh Dio, come mai? — chiese la Lucia, incrociando le braccia in atto di rincrescimento. — Non so... proprio non so... senza motivo. Son solo... vieni su, fammi il favore... Tu, di queste faccende non te ne devi intendere... — Ella assentiva col capo. Pur troppo, pur troppo! Così non avesse mai saputo quel che costano i figliuoli! E, spenta la sua candela di sego, chiuse la portineria per seguir l'ufficiale. Se la brutta faccenda de' Trevisani fosse accaduta qualche giorno avanti, Lucia non avrebbe saputo come fare a aiutarli, a incoraggiarli, perchè aveva ella medesima troppe pene sue. Ma adesso, era tutt'altra cosa. L'idea d'abbracciare fra poche ore il suo Santino, il suo tesoro, le metteva a dosso un'energia singolare: vedeva ogni cosa sotto un aspetto di pace. — Coraggio, signora, coraggio! — ripetè più volte alla moglie del tenente, un'esile donnina di circa vent'anni, meravigliata e sfinita di quel che aveva patito, con la testa d'un biondo cenere affondata fra' guanciali. La sofferente non rispondeva; ma dalla mezz'ombra in cui trovavasi l'ampio letto matrimoniale, e che pareva dare a quel viso pallido qualcosa di fantastico, sbarrava, spauriti, gli occhi turchini, sforzandosi a sorridere, forse inconsciamente. — Ora rivedo Santino mio! Fra poco Santino mio è qui! — pensava la Lucia, affaccendata in torno a quella povera giovane; e mentre le porgeva una tazza di brodo, fatto lì per lì con dell'estratto di came d'un vasetto dal coperchio polveroso, trovato per caso in una credenza fra altra roba alimentare che il tenente avea riportata dal campo, la madre già vedeva il suo bimbo col vestitino nuovo. Che cosa le avrebbe detto, lui, per solito tanto amoroso? Che faccia avrebbe fatta? Povera, povera faccina, tutta rovinata dal vaiolo! Che importa? Per la mamma era sempre bello, bello come un sole! E mentre andava qua e là, dalla cucina alla camera, bisognava che la Lucia ripensasse al dispiacere di que' poveri signori Trevisani, perchè lei, la madre felice, non si mettesse a canterellare come a' suoi bei tempi, quando ancora non conosceva tribolazioni. Se Santino fosse rimasto in portineria, certo sarebbe morto come il padre. Povero, povero Peppe! Poveri tutti, i morti, anime sante del Purgatorio! E la Lucia si commoveva d'una commozione indefinita, piena di dolcezza. A giorno, appena vide aperta la finestra di cucina dei Lantoni, corse dall'Adele. — Abbiate pazienza — le disse: — il tenente m'è stato a tormentar tutta la notte, perchè non gli abbandoni la moglie, ora che sta meglio. È matto: dice che gliel'ho salvata io. Io non ho fatto nulla, figuratevi! ma, poveretta, è novellina, e sa ch'io me ne intendo. M'avreste dunque a fare un piacere, Adele. Andatemi a San Francesco de' Poverelli a riprender Santino. Tanto, lui sta bene, grazie a Dio, e non ha bisogno di me. Anzi, me lo rivedo a casa tutt'a un tratto...- - Volentieri — fece semplicemente l'Adele: — basta che loro sien contenti. — Loro — erano i suoi padroni; e gente di cuore, non soltanto permisero alla serva d'assentarsi, ma aggiunsero al vestiario di frustagno, che l'Adele portava allo spedale in una pezzuola, un berretto alla marinara, nuovo fiammante, con l'àncora d' oro sui nastri che pendevano dietro. Svelta, la fiorentina camminò fino a piazza San Carlo, dove prese l' omnibus per via dell'Archibugio; e di lì si recò allo spedale. Quella mezz'ora, o poco meno, ch'ella dovette far d'anticamera, le parve assai lunga; e alla madre quel tempo parve infinito. Sempre più nervosamente ella girava per casa Trevisani. Che ora poteva essere? O perchè non tornava l'Adele? Che cosa ci voleva a pigliarsi quella creatura e a portarsela via? Se avevano scritto che Santino era ormai in piena salute, che allo spedale non poteva rimanerci più... O dunque? Ma quando, dopo parecchie ore, che le parvero un secolo, ella vide tornare l'Adele sola, sottosopra, tutta scombussolata e con gli occhi pieni di bile, Lucia non capì più nulla. - O che c' è? Che vuol dire?.. — interrogò interdetta. - Non me l'hanno dato — rispose l'altra lasciandosi cader le braccia, come dopo aver fatta una grande fatica. Lucia non capiva; chiese: - Perchè? - - Non era lui! - - Come? - - Non era lui, no, no, non era lui - asserì l'Adele entrando e buttandosi sur una sedia. Poi raccontò per filo e per segno il fatto. Aveva dovuto pazientare un secolo: non fa niente; il portiere, un buzzone schifoso che si dava Dio sa che importanza, le aveva significato che lì era inutile aver fretta, angustiarsi, spazientirsi; facevano come gli pareva; ci voleva pazienza: c'era un buscherio di gente; chi andava, chi veniva... non si capiva un' acca... Lucia accennava di sì, di sì, sempre più frequentemente, per mostrare che capiva, capiva... Ma poi, poi che cosa era accaduto? Questo le stava a cuore. Poi, poi era accaduto che all'Adele avevan presentato un bambino di circa cinque anni, che lei non aveva riconosciuto. Quello lì, Santino? Ma nè pure per sogno! Era venuto un inserviente, e dopo, una monaca, e dopo anche la superiora, poi il medico di guardia: tutta una processione. Avevan detto: - Che mai dite che non è lui? — E l'Adele: - Nossignori che 'unn' è lui! - - Il vaiolo, lo sapete, muta la fisonomia. - - E' muterà quanto gli pare, ma questo 'unn'è Santino! Già Santino, gli ha sett'anni: e questo? - - La malattia l'avrà fatto dimagrare. - In vece, questo bimbo qui gli è grasso e robusto, e il nostro gli era mingherlino, piuttosto civile. - - È stato ben nutrito — osservò il dottore. - Poi, Santino gli aveva gli occhi celesti, e questo qui gli ha neri! — - Ve lo volete portar via, sì o no? — chiese il direttore, ch'era sopraggiunto in mezzo a questa discussione. - Io no, ecco! — dichiarò l'Adele o come ho a fare a portar via uno che 'unn' è Santino? - - Fate venir la madre, in questo caso — finirono col dire tutti. Di modo che l'Adele se n'era tornata sola, senza sapere che cosa la si facesse, accorata, con un diavolo per pelo. La madre ascoltò tutto il racconto per filo e per segno, senza batter palpebra; un ghiaccio, come di svenimento, le era corso per le vene. Madonna santa! Che voleva dire ciò?.. E due sole parole le uscirono di bocca: - Vado io. — Ma la mattina di poi, a punto mentre ella si preparava a recarsi allo spedale, s'affacciò alla portineria una femmina che teneva per mano un ragazzino; e chiese di Lucia Naldi, quella che aveva un malato a San Francesco de' Poverelli. Il bimbo indossava il vestito color marrone cucito a macchina, di sera, quando le fatiche diurne erano finite; portava le calzette a costola, il berretto con l'àncora. Ma il vestitino gli era largo e lungo: ci stava come in un sacco, goffo, impacciato, malinconico. - Vi riporto il vostro figliuolo, per ordine del direttore — disse la femmina. — Ormai sta benone e allo spedale non possiamo più tenerlo. — Lucia s'era fermata di botto, come se in un attimo le avessero inchiodato le piante al suolo. Fissò il ragazzo con le pupille dilatate, con le labbra strette, con tutta la faccia che si protendeva in atto di eccezionale stupore. Contessa Lara. 8 - Ma non è il mio, questo! — gridò ella. - Chi, questo? — chiese l'infermiera con tono d'incredulità. - Questo, questo qui! - - Eh diamine! Siete matta! Nome, cognome, età, sta scritto tutto su la tabella. Come volete che non sia il vostro? Guardatelo bene. - - Non è il mio, vi dico! — badava ad affermare la portinaia — Santo Dio, volete che una madre non riconosca il suo figliuolo? - - Si sa, ha avuta una malattia che cambia tutti. Gli è come se uno si mettesse una maschera, credete a me. - - Non può cambiare il sangue, la malattia! Questo bambino nè anche mi conosce. Vieni qua, dimmi come ti chiami — fece la Lucia, attirando verso di sè il fanciullo, intento a fissar la stanza dove si trovava con occhi attoniti, lustri fra la came lustra, tuttora chiazzati di rosso, e occupato, quando non fissava la stanza, a osservare l'abito marrone da lui indossato, del quale particolarmente sembravano interessarlo i bottoni e le tasche. - Come ti chiami? — ripetè la Lucia. Il bambino alzò lo sguardo un po' selvaggio; poi lo tornò subito a chinare, e rimase muto. Allora la Lucia lo respinse dolcemente: - Non è il mio!- Non è il mio! — esclamò sicura — Riportatevelo pur via, chè oggi stesso vengo a pigliar Santino. - E siccome, a punto la Marietta e Checco entravano in casa di corsa, come una folata di vento, la madre li interrogò, spingendoli davanti al piccolo sconosciuto: - È Santino nostro, questo? Ditelo voi! — I ragazzi smisero di ridere; squadrarono il nuovo arrivato con atto di diffidenza, poi se ne allontanarono un po' ammusoniti, facendo segno di no, col capo. - Vedete? Vedete bene che non è il mio! tornò a protestare la Lucia. L'infermiera insistè un altro poco, tanto per fare: raccontò qualche aneddoto straordinario su 'l vaiolo, che rende irriconoscibili anche alle persone di famiglia; ma, vedendo che la portinaia, anzi che persuadersi, sempre più si irritava, si strinse nelle spalle, come chi, in fin de' conti, si sente affatto estraneo ad una faccenda nella quale è immischiato senza sua volontà; e, ripreso per mano il fanciullo da lei condotto, se ne andò con un indifferente: — Arrivederci. — Lucia aveva la febbre a dosso. Saper guarito il suo Santino, saper di poterlo riabbracciare, e in tanto non averlo in casa! Lasciò andar tutto, servizio, bucato: salì soltanto a scusarsi con la Trevisani: e partì. All'ospedale, le dissero che il direttore non c'era. Bisognava aspettarlo. Aspettò. Quanto le parve lungo e angoscioso quel tempo, Dio solo lo sa: Lui che tien conto degl'istanti dei nostri dolori. Era sola, in una vasta camera dalle pareti nude, dipinte a stampino e scolorate. Di mobili, non altro che una vecchia scrivania di noce, ormai senza lustro, con sopra mucchi d'incartamenti giallognoli e un calamaio di porcellana bianca dal piattello attaccato, tutto sbocconcellature e macchie d'inchiostro. Davanti alla scrivania, dalla parte del muro, una poltrona, egualmente di noce, a guanciale di cuoio nero, fiancheggiata d'una fila di sedie impagliate. A sinistra, uno scaffale ingombro di registri luridi, per gli anni e per la polvere. Non osando passeggiare, per il timore di fare strepito e parer troppo ardita, la Lucia stava lì immobile. Non si metteva neanche a sedere per l'agitazione, per l'impazienza che aveva a dosso; quasi che lo star lì in piedi avesse sollecitato l'arrivo del direttore. Ogni rumore più lieve, venuto di fuori, la faceva riscuotere, le rimescolava il sangue, le dava come un colpo nel petto e una stretta alla gola. Teneva fissi gli occhi su la porta: una porta mezzo sgretolata, da cui sperava, a ogni istante, di veder comparire il suo bambino. Ma il tempo passava: nulla, nulla! Dopo un gran pezzo, che a lei parve incalcolabile, l'uscio s'aperse a un signore di una cinquantina d'anni, alto, con in testa un cappello a cilindro, e tutt'insieme un aspetto burbero e confuso. Lucia lo guardava tra ossequiosa e incerta. Egli sedette nella poltrona di cuoio nero, davanti alla scrivania, e rimescolò un gran numero degli scartafacci accatastati iì sopra. Un plico, un incartamento, chi sa che cosa fosse? lo tenne particolarmente attento; sfogliava avanti e indietro le pagine, come se non trovasse quel che cercava. Finalmente alzò la faccia, ombreggiata dal cappello, e, piantando i gomiti su la tavola, mentre badava a stropicciarsi le mani all' altezza del viso, cominciò: - Mi rincresce di dovervi dare una cattiva notizia. — - Lucia lo fissava. D'un tratto, ebbe l'impressione d'una corrente fredda che avvolgesse tutta, e inghiottì a forza la saliva, che non le voleva passar dalla gola. - Proprio mi rincresce — continuò l'uomo — ma che volete? c'è stato un errore... Si son messe le corsíe sossopra, per ripulirle, e questo ha cagionato l'equivoco. Han posta la tabella d'un ammalato a capo al letto d'un altro... e... — Ella lo fissava sempre, smarrita, senza comprendere ancora, ma col presentimento di qualcosa d'orribile, di nuovo, d'ignoto, d'inaspettato. Battendo le palpebre, faceva con le labbra il movimento di chi parla, quasi avesse ripetuto a sè, in silenzio, ogni parola di lui, per meglio intenderla, per crederla. Egli riprese ancora: - E, dunque... in questa confusione, è capitata al bambino che vi avevo rimandato la tabella del bambino vostro, morto il sei di marzo, cioè pochi giorni dopo che ce lo avete portato. - Morto? — chiese lei, calma, con lo stordimento incosciente d'un bue che riceve il primo colpo mortale. - Eh sì, cara mia! Ci vuol pazienza; è stato uno sbaglio, che m'ha proprio fatto dispiacere. Adesso ci vorranno almeno quarantott'ore per rimetter le cose a posto, e farvi avere un certificato di morte in regola. — La donna pareva fulminata. Rimasta ritta davanti alla scrivania, abbandonava le braccia, che le pendevano sotto lo scialle di lana nera, e sporgeva innanzi la testa bassa, con l'occhio vitreo, con la bocca mezzo aperta, cadente. — Del resto, — soggiunse il direttore — le cose sono state fatte ammodo; i genitori di quell'altro ragazzo hanno ordinato un mortorio decente al bambino vostro, credendolo il loro; questo deve consolarvi. E in ultima analisi, — concluse — con la morte c'è poco da fare: pur troppo, lo sapete come me. Quanto ai panni, ve li restituiranno, non c'è dubbio: m' impegno io. — Lucia udiva un rumore di parole vaghe, assordante come uno scrosciar d'acque invisibili. Non rispose mai. Soltanto, quando il direttore s'alzò, ella capì che doveva andarsene. Che cosa ci stava ormai a fare? Chi aspettava? E s'avviò verso l'uscio, col desiderio intenso di ritrovarsi in casa sua, nel suo covo, che le pareva lontano, lontano, come se, per arrivarci, avesse dovuto far un viaggio interminabile, eterno.