Intanto la sarta le prepara un bell'abito nuovo, da signorina, ma più elegante di quelli che ha portati fin allora; e la sposa, tutta ornata di quella nuova abbigliatura e della nuova gioia, va colla mamma a presentare lo sposo ai parenti ed agli amici più intimi. E si fanno gli itinerari pel viaggio; si può parlarne liberamente. - Andremo qua, e là, e poi là. Staremo fuori tanto tempo; vedremo questo e quell'altro. Ed il corredo? La sposa ne ha stesa la lista, ha assistito colla mamma a tutte le compere. Ha scelti lei tutti i modelli, le tele, le guarnizioni. E, man mano che ne giunge una parte, è lei che la riceve dalle mani delle operaie, ed esamina accuratamente oggetto per oggetto, prima di accettarli. Sarebbe trascurata una sposa che non facesse tutto questo. È una dolce occupazione, continuamente interrotta da dolci improvvisate. Tutti i parenti le mandano, o le portano un dono. Lei non ha che da accettare, ringraziare, esser contenta, e, ad ogni visita dello sposo, rendergli conto di tutte quelle novità, ed esser contenti in due. Ma la gioia delle gioie aspetta la mattina del giorno fissato pel contratto. Lo sposo le manda una scatola, un cofanetto, un tavolino da lavoro, un oggetto a sua scelta, che, qualunque ne sia la forma, è sempre una cornucopia della fortuna dal quale escono ogni sorta di meraviglie. Sono i doni nuziali, - quello che i Francesi ed i Piemontesi chiamano il Panier galant, e che, per regola generale, deve rappresentare un valore tra il cinque ed il dieci per cento della dote della sposa. Ma una sposa per bene non fa questi calcoli: o se ha il cattivo pensiero di farli, deve avere il buon gusto di non esprimerli, neppure colla propria famiglia. In quel cofanetto trova l'abito bianco sacramentale pel giorno delle nozze, alcuni altri abiti; uno o più scialli turchi, e di Casimira. Se lo sposo possiede trine di famiglia, la loro tinta giallognola apparirà tra i freschi colori delle stoffe moderne. Altrimenti saranno due guarnizioni di trine moderne e di valore che faranno le veci; per lo più una di Bruxelles ed una di Chantilly. E finalmente una schiera di buste di velluto, colle iniziali del nuovo nome che la sposa sta per assumere, cioè del suo nome e del cognome dello sposo. Sono: i brillanti, ereditari o nuovi, che lo sposo può offrirle; un finimento cormpleto d'oro e pietre; parecchi anelli; insomma i gioielli più o meno sfarzosi, a seconda della ricchezza e generosità dello sposo, fra i quail primeggerà la famosa catena coll'orologio, che la sposa porterà quella sera stessa al contratto. Qualche volta lo sposo presenta in persona i doni, ma è sconveniente. Obbliga la sposa e la sua famiglia a fare meraviglie e ringraziamenti ripetuti, per ogni oggetto, a misura che li osservano; e mette sè stesso nella situazione imbarazzante di stare ad aspettare, ad una ad una, quelle esplosioni di riconoscenza, e di rispondere a ciascuna con un complimento, che, per l'identica uniformità del caso, può avere ben poche varianti. Uno sposo ammodo manda i doni il mattino, e ne riceve i ringraziamenti, tutti in una volta, più tardi, quando va a fare la solita visita. I doni vengono esposti col corredo nella camera della sposa, dopo la lettura del contratto, tutti gli invitati sono condotti ad ammirarli. E un'usanza brutale, perchè, sebbene in molti casi lusinghi l'amor proprio del donatore, stabilisce sempre dei confronti indelicati. Infatti, dopo quelle esposizioni, è raro che non si sentano dei commenti di questo genere: - Che spilorceria il dono della tale signora! - E quello della tal'altra, che cattivo gusto! Ed in causa dell'esposizione i doni nuziali si fanno, più che per islancio di cuore, per quello che dirà la gente; le famiglie poco agiate s'impongono dei sacrifici per far buona figura all'esposizione dei doni, e difficilmente combattono un vago risentimento contro la sposa, che fu la causa involontaria di uno squilibrio nel loro bilancio. Ed il corredo poi.... via, proprio non so approvare che venga messo in mostra a quel modo. È un fatto indiscutibile che si usa. La signorina Rotschild, che maritandosi ebbe un corredo di dugento cinquantamila lire in biancheria, aveva consacrate parecchie camere all' esposizione delle camicie, delle gonnelle, dei calzoni. I giornali ne fecero minute descrizioni. Ma, dopo aver adempito al mio debito accennando quest'uso, sento il bisogno di aggiungere, a titolo di consiglio, che sarebbe meglio non seguirlo. Mi sembra che quelle biancherie, tanto intimamente personali, debbono avere il loro pudore, o piuttosto, che facciano parte del nostro. Una giovinetta non può fare a meno di arrossire, mostrando ad un uomo le sue camicie. lo conosco una bella sposina, maritata da parecchi anni; la vigilia delle sue nozze, un giovinotto, che frequentava la casa, mi descrisse il corredo, poi soggiunse: - Mi ha fatto veder tutto. Fino le calze che metterà domani. Non ho mai potuto dimenticare quella circostanza. La confidenza, fatta ad un giovine, delle proprie calze, mi ha spoetizzata. Ancora adesso, quando incontro per via quella bella donnina, comunque sia vestita, traverso il velluto, il raso, la seta, un'illusione ottica mi fa vedere le sue calze. E sarei pronta a scommettere che, quel giovinotto prova la stessa illusione. Cosa ne penserebbe la bella signora se lo sapesse? E, sopratutto, cosa ne penserebbe suo marito? Lo sposo dovrà mandare un dono anche alle sorelle ed ai fratelli nubili della sposa; e la famiglia di lui ne offrirà alla futura parente. Quella sera la sposa distribuirà i suoi gioielli da signorina alle sue amiche piu intime. Ne la sposa, nè la sua famiglia, debbono far doni allo sposo. Pero' vi sono paesi in cui la futura moglie deve offrire al futuro marito uno spillo di brillanti, in segno di unione. Pare che là non conoscano il proverbio "Dono che punge, l'amor disgiunge." Ad ogni modo, in questa, come in tutte le circostanze in cui vi sono formalità convenzionali da compiere, la perfetta convenienza sta nell'uniformarsi agli usi del paese dove si vive, e non a quelli del paese proprio, quando se ne vive lontano; poichè nulla è più indelicato ed egoistico, che il respingere i costumi della città dove siamo ospitati. Il contratto nuziale viene letto dal notaio, ad alta voce e per intero, alle persone invitate, e, dopo la lettura, lo sposo deve essere il primo a sottoscriverlo. Porge poi la penna alla sposa; in seguito firmano i parenti, ed ultimi gl'invitati, cominciando dalle persone più ragguardevoli per età e grado sociale. Tutte le persone che firmano il contratto, se non lo hanno fatto prima, sono in dovere di mandare un ricordo alla sposa. Debbo aggiungere, e confesso che lo aggiungo con piacere, che, da qualche tempo, le persone d'animo raffinato vanno smettendo quest'usanza indiscreta di leggere i fatti loro dinanzi ad una numerosa società. Può darsi che la sposa abbia una dote modestissima, che il babbo, un avaro, le abbia ristretta oltremodo la somma destinata al corredo. Quegli indifferenti invitati, che sono là per divertirsi, si divertiranno facendo commenti: «Per quella dote avrebbe l'obbligo d'essere un po' più bella.... la Legge di compensazione.» « Duemila lire di corredo! Ma se farà una malattia le verranno meno le lenzuola. » Oppure è lo sposo che non ha un patrimonio corrispondente alla dote, e patisce un'umiliazione, che la delicatezza della sposa deve sapergli risparmiare, sopprimendo la formalità della lettura del contratto. Anche quando tutto è perfettamente equilibrato, c'è sempre, se non altro, il gergo notarile che fa ridere. Ultimamente ho assistito ad un contratto; lo sposo aveva varcato il mezzo secolo, e la sposa gli stava indietro di poco. E quel buon uomo di notaio non la finiva di ripetere che erano maggiorenni. Oh mio Dio! Chi ne dubitava? Udii un cugino della sposa che diceva ad un altro cuginetto di diciott'anni : «Come! Rita è già maggiorenne? Ed io che ti avevo preso pel suo tutore!» In quello stesso contratto, descrivendo le proprietà dello sposo, il notaio leggeva d'una casa « ed annesso giardino con cinta di muro, chiuso da doppio cancello.» «Sfido! dicevano gl'invitati, con una sposina appena maggiorenne le precauzioni non sono mai troppe. Ai due cancelli bisogna mettere due catenacci.»
Pagina 106
Regolerà Ia sua abbigliatura da pranzo sulla forma dell'invito. Se è stampato, si metterà in abito di gala. Se è manoscrito, un po' meno. Giungerà all'ora indicata, nè prima nè dopo: e piuttosto prima che dopo. Il quarto legale è una concessione di chi invita, ma l'invitato non deve farsene un diritto. Gli antichi Romani non pagavano i servitori. E quando davano un pranzo li facevano schierare ai due lati della porta, affinchè i commensali, uscendo, porgessero man mano a ciascuno una mancia. Era un onore non indifferente. È vero però che ne era compensato da un uso strambo, il quale dava diritto a ciascun invitato di togliere tre pietanze dalla mensa e mandarle in dono ai propri amici. Supposto che s'avessero dieci commensali, si dovevano preparare trenta pietanze di troppo affinchè si potessero togliere, senza che il pranzo ne patisse. Noi non usiamo portar via nulla dalla casa che ci ospita. Ma non affettiamo neppure, con una mancia ai servitori, di volerci sdebitare del pranzo ricevuto. Sarebbe un'impertinenza. Per dare la mancia alla servitù d' una casa che non è la nostra, bisogna averci passato almeno una notte. Tuttavia, se in una casa si va a pranzo sovente, o a passar la sera con assiduità, il giorno di capo d'anno si darà una mancia alle persone di servizio che si trovano all'entrata, senza mai cercare di quelle che sono assenti, il che parrebbe un mezzo di far conoscere ai padroni che si vuol fare una generosità. Per quanto meschino, strano, assurdo possa essere il servizio d'un pranzo, una signora ammodo si guarderà bene dal censurarlo, o dal metterlo in caricatura. Gli anfitrioni soltanto debbono avere in mente i due versi che ho messi per epigrafe a questo capitolo; gli invitati invece debbono ricordarsi che l'ospitalità non consiste nell'offrir molto, ma nell'offrire quello che si ha.
Pagina 148
È parimenti superfluo il mostrarsi impensierita della propria abbigliatura, rialzare lo strascico, assicurarsi tratto tratto se i gioielli sono al loro posto. Ogni signora procuri di esser vestita bene e solidamente, ed alla guardia di Dio! E se l'abito si lacera, passi a farlo accomodare, senza fermarsi a gemere doglianze ed a verificare i danni. E se un vezzo di brillanti si spezza lo lasci spezzare, e riponga la parte staccata senza altri discorsi. Nulla è piu plateale di quella continua cura dei propri averi. Una vera signora deve saperli portare con nobile indifferenza. Sarebbe un malcreato chiunque pregasse una signora di accordargli un ballo, senza esserle stato presentato, ma se il malcreato ci fosse, la signora dovrebbe rifiutargli il favore. Volendo passare dalla sala da ballo al buffet bisogna farsi accompagnare dal proprio marito, e le signore vedove e nubili ci andranno col babbo, lo zio, o il marito della signora colla quale si sono accompagnate. Le dimenticanze, i doppi impegni di balli, i rifiuti non giustificati, le preferenze evidenti, tutto quanto può far nascere quistioni, dissapori o commenti, è sconvenientissimo da parte d'una signora, e dà una idea meschina della sua educazione. Se una signora che non ama il ballo, è afflitta dalla disgrazia suprema d'un marito maniaco per la danza, si sacrifichi a Tersicore, e balli anche lei ad ogni costo. Il più grottesco di tutti i ridicoli che brulicano sotto il sole, è il marito danzante d'una signora che non balla. In Francia nella casa in cui si dà un ballo si usa fermare tutti gli orologi. Non si contano le ore alla gioia. Si è là per passare il tempo allegramente, non per misurarlo. Questa precauzione non serve a nulla, perchè ogni ballerino ha un orologio in tasca. (Ai tempi della marchesa Colombi ne avevano due). Ma è un pensiero grazioso.
Pagina 160
Nella sua abbigliatura deve dominare l'azzurro se il piccolo angelo che dorme accanto a lei è un bambino; il roseo, se è una bambina. Il personaggio minuscolo dovrà essere in ordine per venir presentato alle visitatrici. Lui però non dovrà darsene pensiero, nè prendersi disturbo di sorta. Basta che, steso tra i merletti della sua culla, si degni di lasciarsi ammirare; del resto può gridare, dormire, e fare il suo comodo in tutta l'estensione del termine. La prima visita della mamma, dopo essere stata in chiesa a rientrare in santo, dev'essere per la comare. In seguito andrà da tutte le persone che sono state a vederla. E, più tardi, quando il bambino comincerà ad uscire, dovrà andare con lui portato dalla nutrice o dalla bambinaia, da tutte le persone che hanno salutato con una visita la sua venuta nel mondo. Per riguardo al bambino, a cui si debbono evitare gli urti dei passeggieri affrettati, la signora, andando a piedi in istrada, cederà sempre la destra alla persona che porta il suo tesoro.
Pagina 181
Pagina 114
Quando si doveva uscir di casa sia per compere, sia per prender un po' d' aria libera, allora Marina si metteva in abbigliatura per fuori. Suo pensiero era che le vesti fossero ben nette e dicevoli; non poteva soffrire quelle ragazze, che senza cura del mondo escono con tanto di panzana in fondo dalla veste, con pillacchere o frittelle qua e là per le gonne, con untumi sugli orli, agli occhielli, coi golini e manichini fracidi di sudore! Essa aveva piuttosto buon gusto nello scegliere stoffe di colori convenienti alla sua persona, né troppo vistose, né troppo smorte. Di fattura badava che fossero ben attillate alla vita, né troppo grandi a far sacco, né troppo tirate a far dolere il corpo; senza tener dietro a tutti i capricci della moda, la seguiva in quello che non fosse esagerazione e dèsse buon garbo. La signora Bianca aveva l’occhio a che fossero tagliate alla decenza, e che non impedissero lo sviluppo del corpo e i liberi movimenti delle membra: perché la floridezza della salute le garbava meglio che tutte le grazie affettate della moda. Così non voleva che il busto fosse un cerchio di ferro intorno al petto; che la veste non le strizzasse la taglia come un morso; che gli stivaletti calzassero bene il piede sì, ma senza costringerlo in uno strettoio da far vedere le stelle di mezzogiorno ad ogni ciottolo in che s’inciampa. V’ha di signore che cangiano abbigliamento tre, quattro volte per dì, in guisa che si può dire che passan la maggior parte della giornata nell’abbigliatoio! il più buffo poi è di quelle che ciò fanno senza punto uscir di casa. Marina vedeva praticarsi questo in casa d’una sua zia in una piccola cittaduzza del Monferrato, dove andava a passar qualche settimana. Quattro abbiglia ture erano d’obbligo tutti i giorni, ed era raro che si mettesse il piede fuori della porta; rarissimo che si ricevessero visite. Onde Marina, che era nemica de’lavori vani e inutili, non sapeva che dirsi; ma quando intese che questo era uso de’signori e che fare il contrario sarebbe un mostrarsi poverette senza abiti da cambiarsi, non rifiatò più; però rise sempre d'una moda vana, senza scopo. Che in casa si tengano abiti di poco costo e che si cangino all'uscire, o per ricevere qualche visita, è fatto di chi ama la nettezza e il decoro; perchè in casa dovendosi dar mano a checchessia, ora in cucina, ora a spolverare, le vesti si strusciano e s'intridono; e quindi mostrerebbe poco sussiego quella ragazza che osasse mostrarsi in pubblico con abiti sgualciti e inzaccherati come che sia. A volte veniva a stare delle settimana con Marina una sua parente di fuori per nome. Eugenia. Che fanciulla malavvezza! Niente le andava a' versi, metteva in moto mezzo mondo per farsi servire. Bisognava perdervi dietro tutta la mattinata e ammannirle acqua tiepida per lavarsi, se di verno, e confondersi delle ore nel pettinarla, e aiutarla a provar questo, a torsi quello. Di abbigliarsi per 1' uscita non rifiniva mai; de' begli inchini ne faceva innanzi allo specchio prima di partire! Marina non poteva comprendere come potesse star in piedi alla passeggiata. Aveva vesti così serrate all'imbustito che penava a tirar il fiato, stecche di qua, lamine d'acciaio di 1à, tutta la vita era chiusa come in uno steccato: stivaletti poi che le ammaccavano i piedi, stretti e corti, con tacchi a pera altissimi, onde tutto il peso del corpo andava a cadere sul collo del piede e sulla punta, con che dolori Dio lo sa! Era certo un martirio per quella ragazza, andava tutta a saltetti, a balzi, incomposta e contorta. Ma essa credeva che questo fosse buona grazia; compariva di persona più alta, con un bel vitino, è il suo amor proprio era soddisfatto. Intanto, poveretta! aveva sempre dolori all’imboccatura dello stomaco, nausee, svenimenti per le cattive digestioni; il colore del volto era come di gesso, gli occhi lividi; ma se ne compiaceva; perché ciò le conferiva, diceva essa, un’aria sentimentale! Non mancava di sgridarnela la signora Bianca, ma tanto era come predicar al vento. Eugenia più dell’essere amava il parere.
Pagina 16
Pagina 24
Pagina 93