Chi non vuol chiedere all'altro che cosa desidera ricevere, impari a prestare orecchio alle sue parole quando, in momenti «non sospetti», dice: «Ho sempre sognato di vedere Londra d'inverno» o «Voglio comprarmi un paio di scarpe da ginnastica verdi», o «Mi piacerebbe rivedere tutto il ciclo di Downton Abbey». E poi se ne ricordi. Basterebbe fare un appunto sull'agenda ogni volta che sentiamo esprimere un parere, un desiderio, un commento, e non saremmo mai a corto di idee al momento di fare regali! Anche perché potremmo addentrarci in campi che non ci sarebbero mai venuti in mente. II galateo dice di non fare regali utili, a meno di non esserne stati espressamente richiesti; ma una lavastoviglie sarà un'eccezione alla regola senz'altro gradita da una moglie senza aiuti domestici, che si lamenta spesso della corvé dei piatti. Un capo d'abbigliamento va scelto non come imposizione di look, ma a livello di dettaglio trendy: la sottoveste di seta e il reggicalze, la canottiera stile «fronte del porto» o il boxer superfirmato rispecchiano le fantasie del donatore e non corrispondono quasi mai ai gusti di chi li dovrebbe indossare.
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Passati i tempi di Downton Abbey, la «servitù» oggi si chiama (ed è) più propriamente un «aiuto domestico», offerto da persone spesso provenienti da paesi di diversa tradizione e cultura. Evitiamo quindi di far loro rispondere al telefono, se non parlano un italiano perfetto, di far indossare uniformi pretenziose, senza aver insegnato loro a sfoggiarle con orgoglio e naturalezza, o di pretendere che ci servano in tavola se fino a ieri nel loro paese non usavano le posate. Facciamoci dare del «lei» facendolo noi per primi, con cortesia e senza arroganza. Diamo ordini e indicazioni precise, con parole chiare che lascino poco spazio agli equivoci. Rispettiamo le loro abitudini religiose col massimo rigore, ma senza per questo abdicare alla nostra libertà e alle nostre tradizioni. Non rimproveriamoli mai in presenza di ospiti, e misuriamo le parole, specialmente con uomini la cui cultura considera una vergogna prendere ordini da una donna. Per lo stesso motivo, siamo molto attenti a non mostrarci in abbigliamento che ai loro occhi potrebbe essere considerato «sconveniente». Se ci incuriosiscono certe abitudini tipiche del loro paese, chiediamo spiegazioni con semplicità, senza criticare né fare confronti per ribadire una (vera o supposta) superiorità: «Da noi, invece...»; tanto non serve. Per mantenere il più serena possibile I'atmosfera di questa convivenza senza vera intimità, non alterniamo confidenza e sussiego, momenti di familiarità e di distacco: se si è deciso che i pasti vanno consumati separatamente, sarà sempre così (ma il menu sarà rigorosamente uguale, e ugualmente abbondante); non facciamo (e tantomeno sollecitiamo) c onfidenze e pettegolezzi su conoscenze comuni o precedenti datori di lavoro. Paghiamo sempre puntualmente quanto loro dovuto per legge, evitando commenti velenosi. In compenso, se non vogliamo accondiscendere a richieste di aumento di stipendio o di riduzione d'orario, non abbiamo timidezze: è un nostro diritto dire di no, ma è un dovere farlo senza arroganza né rabbia, motivandolo con frasi pacate: «In questo momento proprio non posso, perché....» (ma attenzione: non pretendiamo di essere creduti se ci concediamo a ogni piè sospinto acquisti folli e week-end dispendiosi: chi lavora in casa nostra conosce benissimo le nostre abitudini e il nostro guardaroba). E soprattutto, se vogliamo che l'altro accetti le nostre esigenze, mostriamo di capire il suo punto di vista: a chi non farebbe comodo più denaro, o più tempo libero? Quindi evitiamo di sminuire il suo lavoro con frasi del tipo: «In fondo non ha poi quel gran da fare» o di fare leva sull'affettività («Allora non vuole bene ai bambini»); eventualmente, per addolcire il rifiuto, si può lasciare aperta una possibilità: «Riparliamone fra qualche mese, quando spero migliorerà la mia situazione di lavoro».
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