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Andava per le case a dar lezioni di musica, ed era un vero vanèsio; e con altre taccherelle che qui si tacciono, aveva il vizio di mangiare e mettersi in tasca le paste o i biscotti che gli capitassero sotto mano nelle case de' suoi scolari; ed alle volte, se si abbatteva a vedere in qualche credenza de' ghiottumi, l'apriva e faceva repulisti. Questa cosa era cominciata a sapersi; ed una signora si mise in capo di guarirlo da tal brutto vizio. Andava egli a dar lezione di musica ad un suo figliuolo: una mattina, arrivato all'ora solita al palazzo, fu pregato di aspettare un momento che il signorino fosse sbrigato di non so che faccenda, ed intanto fu fatto passare in un salottino, dove su una tavola era un bel piatto di biscotti, con altre paste. Come prima vide tanta grazia di Dio, la divorava con gli occhi: lasciato Poi solo, cominciò a dir davvero e tirato dalla gola, mandò il piatto quasi a mezzo senza pensare alla vistositàdi tanto consumo. Ma ecco gente... ingolla affogatamente l'ultimo boccone, ed entra in sala la signora tutta manierosa: Scusi sa, professore, Carlino era impiccialo... Dio mio! esclamò ad un tratto guardando il piatto de' biscotti, Dio misericordia! C'è stata forse la mia bambina? - Ora no, rispose il maestro, facendo il viso rosso. - Per l'amor di Dio mi chiami qualcheduno, disse la signora gettandosi tutta sgomenta su una poltrona, aveva fatto far que' biscotti con l'arsenico per avvelenare i topi che sono entrati in dispensa, e non vorrei che ne avesse mangiati la mia Sandrina... a queste parole il sor professore divent� bianco come un panno lavato; e potendo più la paura che la vergogna, confessò d'averli mangiati lui, raccomandandosi come un' anima persa che lo salvassero dalla morte. Venne gente: gli si cacciò nello stomaco mille intrugli uno più stomacoso dell'altro; nondimeno diceva di sentirsi morire, che voleva morire da cristiano... chiamassero un prete. All'ultimo tutti diedero in un grande scroscio di risa, palesando la burla: ma nondimeno stentava a crederlo, nè se ne persuase, se non quando vide mangiare agli altri il rimanente de' biscotti. Tanta paura per altro; e la vergogna del vedere questo suo vizio noto a tutti, fu una medicina santa, e mai più non assaggiò paste o biscotti per tutta, la vita." Fu riso di cuore al brioso racconto della vispa Nina; e prolungatisi i giuochi per un altro poco di tempo, già si avvicinava la sera, quando si vide arrivare un legno da campagna, dove erano due sonatori ed il cuoco di casa Rossi con due gran sorbettiere nel loro bigonciuolo armato Armato dicono i nostri caffettieri il bigonciuolo da sorbettiere quando è pieno del ghiaccio o neve col sale per mantener gelato il sorbetto.; e di lì a poco fu dato a tutte uno squisito sorbetto; e domandato alla direttrice per parte del cavaliere, se le piaceva che le signorine facessero un ballòzolo. La direttrice acconsenti che fino alle ventiquattro si ballasse; e tutte quelle ragazze ci dieder dentro allegrissimamente, finchè vennero i legni a riprenderle. Allora essa, convocatele tutte, ricordò loro che questa ricreazione doveva dar loro lena maggiore allo studio; che si sarebbe la domenica ventura ricominciato l'esercizio solito del leggere le Vite con l'ordine medesimo: e rimontate in carrozza, tornarono a Pistoja, dove erano aspettate da' loro genitori per ricondurle a casa, e ciascuna non cessò mai tutta la sera di parlare della bella giornata che avevano passato.
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E la morte veniva; ma invece di colpir me, si abbatteva intorno a me, mi isolava in un cimitero sempre più vasto. Vecchi, giovani e piccoli, tutti se ne andavano: io solo persistevo, che avrei dovuto pagare pel primo; persistevo a misurare l'orrore dell'inutile colpa, la malvagità della speme bugiarda, il precipizio della nostra miseria; persistevo a misurare la terribilità del gastigo e la giustizia sovrana che l'infliggeva; invocando come una liberazione la morte temuta, ansioso di entrare finalmente nel Vero.... "Come me, voi tutti siete colpevoli; il giusto pecca sette volte il giorno; nessuno di voi è senza peccato! Nel profondo della vostra coscienza, inconfessata a voi stessi, è la storia delle vostre colpe; e che importa che esse non sieno state materialmente compiute, se esse sono state pensate? Il pensiero è infame.... Come me, voi tutti avete bisogno di redenzione!... "Io so la vostra risposta, io so la derisione di cui mi fate oggetto, per lo smarrimento in cui credete che il rimorso e l'età abbiano gettato la mia mente.... Siete voi, ciechi, stolti, miserabili, che mi fate pietà; è per voi, per riscattarvi, che io vorrei dare il poco sangue che ancora mi resta, che io vorrei salire un calvario e spirar sulla croce, se dall'alto d'una croce la mia parola fosse ascoltata. "Nessuno mi ascolta. La solitudine ed il silenzio mi circondano, il vento dell'oblìo disperde le mie parole, come il turbine del tempo disperde via l'un dopo l'altro i giorni irrevocabili...."
In capo a un quarto d'ora la principessa perdeva la testa, non distingueva più le carte, vedeva partire l'uno dopo l'altro i biglietti che teneva davanti; padre Agatino diventava livido, convulso; il marchese si abbatteva, accusava un forte dolor di capo, tentava di spegnere a furia di grandi bicchieri d'acqua con anice l'arsura che lo consumava. Poi cominciavano a lamentarsi, tutti allo stesso modo, di perdere, di perder sempre. - Questo si chiama spogliar la gente! - esclamava padre Agatino, esasperato. - Dite a me? Non vi basta di portarmi via ogni cosa? Ancora un poco, e dichiaro fallimento. - Se fallirete, è colpa della vostra testa bislacca! - E la vostra farina il diavolo la fa andare in crusca! Gli animi si esasperavano; il marchese accusava padre Agatino di rovinarsi con donna Rosalia, la sua ganza; questi metteva in ridicolo la smania delle speculazioni con le quali il marchese minava la sua fortuna. - Quanto avete guadagnato coi famosi agrumi? - Gli agrumi sono per terra; ora ho aperta una fabbrica d'agro cotto. - E domandate dove sono le vostre vincite? La fabbrica se le mangia, col resto. - E donna Rosalia vi ridurrà in camicia!.. - Ma dunque, son'io che vinco? - chiedeva malinconicamente la principessa. - Da un mese non vedo una carta! Nondimeno continuavano, fino a sera, al lume delle candele, senza decidersi a smettere. - Gli ultimi tre giri? - proponeva di tanto in tanto la principessa. - Gli ultimi. Finiti i giri, si guardavano in faccia. - Un altro? - Un altro. Così ogni giorno la principessa andava a desinare un poco più tardi. La sua tavola era sempre apparecchiata con molti posti; ella aveva spesso dei commensali: ora il cavaliere Fornari, ora il marchese, ora qualche altro. - E una cosa disperante, non ho più appetito! E si rimpinzava di droghe, di digestivi, mangiava per forza, si levava di tavola più disgustata di prima. Il duca di Santa Cita sparecchiava la propria e la porzione di lei, con un appetito insaziabile; restava a tavola a fare il chilo, allentando le cinghie, pel troppo cibo. La principessa andava a buttarsi un istante sul letto, ma non le davano il tempo di pigliar riposo. Appena notte, cominciava a venir gente: una processione continua di persone di ogni genere; vecchi abituati a prendere il caffè da lei e a sonnacchiare sui divani, lunghi sdraiati, con un sigaro spento fra le labbra; intere famiglie che prendevano posto intorno al tavolo del sette e mezzo, o della tombola, o della bassetta, secondo la stagione, o si sparpagliavano per le vaste sale dell'antico palazzo, come in casa propria, disponendo il modo di passar la serata; intanto che la principessa stava sulle spine, annoiandosi al giuoco piccolo, andando di tanto in tanto a dare una capatina nella stanza appartata dove il marchese, padre Agatino, il dottore Felicetta e qualche altro facevano la forte partita a primiera. - Principessa, non giuocate? - Come fare, con tutta questa gente... - Un giro soltanto! Lei non sapeva resistere alla seduzione, perdeva, tornava in salotto tutta alterata, restava un istante per scomparire nuovamente e ritornar a pigliar posto al tavolo comune, contrariata. - Non capisco come possiate divertirvi a questo giuoco! - diceva a donna Cecilia Morlieri, mettendosele a fianco. - ll più bel giuoco è quello a cui si vince! Come donna Cecilia era in istrettezze, da tanto che s'era divisa dal marito, comperava una sola cartella per volta, non arrischiava mai più di due soldi e lasciava il suo posto appena aveva una vincita, anche minima. - Il bel giuoco dura poco! Dall'altro lato del tavolo Giorgio Furleo e la signorina Marco giuocavano in società, ogni sera, da parecchi anni. - Come sono seccanti! - diceva la baronessa de Fiorio alla vicina, in modo che tutti la sentivano. - È una cosa che sta malissimo, e se mia figlia si permettesse altrettanto, io la piglierei a scapaccioni, dinanzi a chiunque! - rispondeva la Giordano, per fare intendere che la figliuola, ogni giorno più gialla e più magra, aveva tutt'altra educazione. E di lì a poco riattaccava con la de Fiorio, in un orecchio: - Già la colpa è tutta della padrona di casa. Che rispetto volete che s'abbia quando si dànno certi esempi!... La principessa non vive che per il giuoco, il cugino mangia alle sue spalle; chi va e chi viene!.. - Grazie! - diceva il cavaliere Fornari al cameriere, allontanando il vassoio col gesto. - In fatto di liquori, non mi contento che della mia sciartrosa. Oggi, sotto un cartellino fiammante, vi dànno un po' d'acqua inzuccherata... - Non pensa che a mangiare e a bere! - faceva osservare il professor Quartini al cancelliere Restivi. - Ma il cancelliere Restivi, rincantucciato nell'angolo del divano, con la testa reclinata sulla spalliera, dava al suo interlocutore uno sguardo spento, fra le palpebre socchiuse, poi le richiudeva nuovamente e ripigliava il sonno interrotto. A poco a poco la gente se ne andava e le sale restavano vuote, illuminate a giorno, nella notte alta. Nella stanza dei giuocatori le candele finivano di consumarsi, con una fiamma lunga, rossastra, illuminante le faccie gialle o infuocate. La principessa trangugiava la terza o la quarta tazza di caffè. Al profondo russare del Restivi rispondeva in cadenza, come un'eco, il ronfo leggiero, inquieto, del cameriere nell'anticamera.
Si abbatteva ancora di più, ricascava sfinita sugli origlieri roventi, rifiutava le medicine per grandi bicchieri d'acqua che non riuscivano a spegnere la sua sete ardente. Nessuno fra quelli che si erano divertiti per tanto tempo a sue spese veniva ora a trovarla; suo nipote Fornari non poteva più salir le scale e solo la Giordano continuava a trascinarsi dietro la figliuola, ridotta un manico di granata, narrando la sua disgrazia. - Enrichetta s'era fatta promessa, col professore Quartini, un bel partito, la principessa lo conosceva; quando repentinamente... - Che successe? - È stato traslocato in Sardegna!.. Una disdetta! Oggi i matrimoni sono rari come le mosche bianche!.. Il Ferlandi s'è presa quella vecchia della Morlieri, per i denari, e glie ne fa vedere di tutti i colori, e la picchia perchè vuol far lui da padrone. Bene le sta! Bisognava sentirla sentenziare: «La sorte è di chi se la fa!» La sua se l'è fatta lei, non c'è che dire!.. La principessa non ascoltava più quel cicalìo e si lagnava, sordamente. Il medico, qualche giorno dopo, disse al duca che non c'era più niente da fare, altro che pensare all'anima. - Sia fatta la volontà di Dio! - rispose la principessa quando l'avvertirono; ma lei si sentiva un po' meglio. Mentre padre Agatino e il marchese facevano la partita, nell'altra stanza, e il cancelliere Restivi russava sulla poltrona, la principessa chiamò la cameriera, si fece sollevare sopra un monte di cuscini e chiese un mazzo di carte. - Vostra Eccellenza che cosa fa mai!.. - Mi sento meglio, Lucia... voglio svagarmi... A che giuoco sai giuocare? - Eccellenza... - Alla scopa? - Un poco, eccellenza.... E incominciarono la partita. A un tratto i brevi rintocchi di una campanella risuonavano nella lontananza, si avvicinavano, sembravano estinguersi sotto il portone, ripigliavano più squillanti per le scale insieme con uno scalpiccio di passi, togliendo i giuocatori dal loro tavolino, facendo accorrere i servi e rabbrividire la principessa in fondo al suo letto, su cui il mazzo delle carte si sparpagliava, riversandosi da tutte le parti..... Per qualche giorno ancora l'ammalata subiva alternative di migliorie e di peggioramenti. Ora non parlava quasi più e restava a lungo assopita in profondi letarghi. La cameriera che la vegliava ne profittava per andare a riposare; padre Agatino e il marchese, nella stanza accanto, per fare una partita. Giusto padre Agatino perdeva, da più giorni, costantemente, e doveva già qualche migliaio di lire al suo compagno. Mutava di posto, faceva le corna al mazzo di carte, per rompere la disdetta, ma inutilmente. - Io non giuocherò più con voi! - gridava, esasperato. - Ma chi vince? - disse il marchese - Io non rientro ancora nel mio! - E andò via perchè aveva un convegno con l'ingegnere per la condotta in città dell'acqua delle Settefonti. Padre Agatino passò dalla principessa. Dal fondo del suo letto, lei volgeva lunghi sguardi nella solitudine dello stanzone, e appena vide il monaco si agitò, come volendo dire qualche cosa. - Come vi sentite? - Meglio... meglio... - rispose con un filo di voce. - Siete svegliata da un pezzo?... Perchè non avete chiamato?.. Volete nulla?.. Gli sguardi della principessa si rivolsero verso il comodino. Padre Agatino ne aprì la cassetta e ne cavò un mazzo di carte. - Questo?.. Giuochiamo?.. - Sì, un poco... aiutatemi a sollevarmi. - E i gettoni? - Lì, pigliate quelle pasticche... - Quanto valgono? - ...Cinque lire... E cominciarono a giuocare. La principessa perdeva, perdeva, perdeva; tutte le sue pasticche passavano al suo compagno, una dopo l'altra, con brevissime soste. Gli occhi di lei luccicavano, le guancie si accendevano di riflessi di fuoco, i polsi e le tempie battevano violentemente, tutta la persona tremava. Padre Agatino fece nuovamente carte. La principessa, che ebbe un quattro, interrogò il compagno, collo sguardo, esitante. - Dò carte - disse quello. - Carte... La principessa coprì la nuova carta con l'altra, che ritirò lentissimamente. - Nove! - disse scoprendo il suo giuoco. - Nove! - rispose padre Agatino, mostrando il suo. - Che... disdetta!..- E la principessa ricadde pesantemente, cogli occhi sbarrati. Padre Agatino chiamò gente, irritatissimo. Avrebbe dovuto vincere qualche centinaio di lire e gli restava soltanto un po' di zucchero in mano.
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