Sul muro dirimpetto abbarbicavasi un gran velo d'edera, pittoresca tappezzeria dal fondo oscuro, in mezzo a cui dei tralci nuovi, chiari fino alla sfumatura più tenera del verde, spiccavano come fregi. Dietro quel muro a pena alto due metri, era una fila d'altri piccoli orti, da' quali facevan capolino i mazzetti rosei di qualche oleandro, e la chioma a fini frastagli d'una acacia: breve sfondo circoscritto da un gran casamento, butterato di finestre e di terrazzini, fra' quali eran tése lunghe e multicolori ghirlande di panni lavati. Tale l'interna melanconica visione. La stanza mobiliata a pianterreno, che guardava su questo giardinetto, somigliava a una delle tante che le affittacamere sogliono offrire ai loro inquilini; col letto di ferro a un posto senza baldacchino, un vecchio canapè dalla tinta incerta, l'armadio di noce a specchio eguale al cassettone, un tavolino, delle sedie e un'unica poltrona: tutta roba senza carattere, senza valore, senza ricordi, dove la polvere e l'attrizione non fanno che aggiungere un'ombra alla naturale volgarità de' colori e delle forme. Quest'ambiente non sembrò fare alcuna impressione su suor Istituta, la prima volta ch'ella vi penetrò: forse perchè la suora di San Vincenzo di Paola era avvezza a luoghi ancora più ripugnanti, forse perchè v'era capitata di sera. La sua superiora, come al solito, rapidamente e sotto voce, ma in tono risoluto, le aveva dato l'indirizzo d'una strada e d'una casa, A pena mise piede nell'ingresso della casa mobiliata, una zaffata d'acido fenico le riempì le nari e la gola; ma era un odore che non le faceva nausea: lo respirava quasi sempre. senza nominar nessuno. C'era da far delle nottate a un infermo: ecco tutto quel che sapeva suor Istituta; nè la malattia, nè il sesso di quest'infermo; non toccava a lei l'ingerirsene. A lei doveva bastare il pensiero che una creatura di Dio pativa, bisognosa di cure non venali, come son quelle delle solite infermiere laiche: non pericolosamente zelanti, come son quelle di certe persone di famiglia; ma devote e calme, quali sanno prodigarle l'umili sorelle della carità. E, ascoltata con gravità dolce ogni indicazione della superiora, suor Istituta aveva assentito con un semplice cenno, che fece inchinare l'ali bianche della sua cornetta, ed erasi recata al posto dove la chiamava il dovere. Un soldato di marina, alto e muscoloso, con le spalle quadrate d'un atleta, scalzo come a bordo, per non far rumore, aprì la porta alla monaca e la fece entrare, senza profferir parola. La stanza era immersa in una mezz'ombra fantastica: da che la lampada da notte, posata a terra in un angolo, concentrava tutta la sua luce in quell'unico punto, dove un fascio d'armi selvagge, lance, aste, zagaglie, era appoggiato e proiettava su le pareti i profili della mobilia, neri, bizzarri, enormi. La suora girò intorno lo sguardo esperto, fissandolo un momento su 'l corpo lungo disteso che sollevava ritmicamente le coltri col respiro affannoso: il malato era assopito, col viso rivolto verso il muro. Poi ella si diresse al cassettone, dove stavan aggruppate alla rinfusa bottigliette d'ogni grandezza, con medicine e cordiali, e si sparpagliavano cartine di polveri biancastre mezzo aperte. Osservò tutto attentamente, e più a lungo d'ogni cosa un piccolo termometro clinico, che segnava quaranta gradi e nove. Strinse le labbra ed inarcò le ciglia. Il marinaio le stava rispettosamente accanto con l'espressione della più accorata tristezza nella faccia ossuta, coperta d'uno strato d'abbronzatura; portava alquanto inclinato avanti il collo taurino, che usciva nudo dal risvolto del bavero di tela turchiniccia, e teneva le braccia accosto ai fianchi, come in attesa di qualche comando. Aveva una fisionomia grave ed ingenua. - Da quanti giorni sta così? — chiese piano la monaca. - Sette — rispose laconico l'ordinanza, raffrenando la propria voce, come chi osi toccare a pena uno strumento troppo sonoro. In quel punto l'infermo si mosse con un mugolío doloroso, quasi infantile; tentò invano di rivoltarsi, e con uno scoppio di voce soffocata, gridò: — Pronti a virare! — poi di lì a un poco — Contro braccia a prora! — e ancora: — Ammaina le gabbie! — Delirava sognando certo una burrasca; e cominciò a smaniare. A questo rumore accorse la padrona di casa; una donna tozza, dalle anche e dal petto colossali, dal viso tondo e schiacciato di cui, per allora, mezz'ombra velava la tinta giallastra e i segni del vaiolo. Di bello e di ancor giovanile non aveva altro che gli occhi grandi, lucenti, mobilissimi: due occhi proprio meridionali, che girava, socchiudeva, alzava, abbassava senza tregua, accompagnando, con questo gioco espressivo e con la fitta mimica delle mani, la sua loquacità d'una straordinaria espansione. In pochi minuti la grossa femmina rovesciò a mo' di confidenze, più sottovoce che poteva, un diluvio di notizie confuse e non richieste addosso all'infermiera, che ascoltava, in piedi, contentando l'altra, ogni tanto, d'un cenno o d'un monosillabo. — Io, vede, — dichiarò, — ho preso in casa questo signore perchè me l'ha mandato un signore ch'è stato due anni mio inquilino. Mi disse che si trattava di tenerlo pochi giorni, perchè il tenente doveva tornare ad imbarcarsi per la Spagna, per il Giappone, che so io? insomma per là giù lontano; e io non ebbi difficoltà ad accettarlo. Non l'avessi mai fatto! Non perchè mi rincresca d'usar dei riguardi agl'inquilini; ma perchè le case ristrette non sono adatte a certe malattie. Questo povero figliuolo si capiva subito che covava qualcosa di brutto.... Arrivò bianco come un cencio di bucato, con gli occhi stralunati. Che cosa avesse, Dio lo sa. Basta; la disgrazia è toccata a me, e da una settimana in casa mia non c'è piu pace, nè giorno, nè notte. Io mi sono prestata quanto ho potuto; ma anch'io ho i miei interessi, e il sonno mi preme più del mangiare. — Senza lasciare che suor Istituta mettesse una parola nel discorso, la padrona seguitò a chiacchierar fitto fitto. Disse che lei aveva fatto scrivere alla famiglia del tenente per mezzo del ministero: aveva parlato proprio da sè col segretario, che l'aveva mandata dal ministro, cioè dal capo sezione; e difatti era venuto un fratello del malato, un pezzo d'uomo biondo; ma anche lui pare che avesse molti affari, poveretto, perchè subito era ritornato via, promettendo di venire a pena poteva, e raccomandava che avesse avuto cura del malato lei, la signora Carmela. Ma, intanto, come far così. sola? Come poteva rimediare a ogni cosa? — E concluse: — Non ostante quest'apparenza grassa, in realtà sono assai delicata; guai, se mi strapazzo un po' più del solito! Mi pigliano certi dolori nervosi da non resistere; e nella mattinata, se lo crede, m'è venuto perfino uno svenimento.... Con questo caldo, poi! Ecco perchè d'accordo col medico, un bravo professore se ce n'è — viene due volte al giorno — mi son determinata a far chiamare lei che mi levi da questo gran pensiero; tanto più che questo povero signore mi passa proprio il cuore. Così buono! Ma con certi malacci c'è poco da scherzare!... — E dopo un'infinità d'altre ciarle del genere, la signora Carmela invite la suora a passar di là, se aveva bisogno di cenare, e a non far complimenti, se non voleva proprio che se ne avesse a male, come d'una offesa. Suor Istituta scosse negativamente l'ali della cornetta inamidata. - Grazie, grazie — mormorò. — Noi non accettiamo nè pure un bicchier d'acqua. - O perchè? — mormorò la schiattona. - La regola — disse, con un breve sorriso e senza altra spiegazione, la monaca. Poi con una certa insistenza nella voce umile, soggiunse: - Lei, signora, vada, vada pure a letto, e non abbia alcuna pena: col malato ci sto io, ora. — Pronunziò quest'ultima frase scandendo leggermente ogni sillaba, come per significare: — egli ormai sotto la mia protezione, sotto la mia responsabilità; e fino a tanto che non guarisca... o non muoia, mi appartiene. — Dopo un'ultima scarica di frasi, d'occhiate, di gesti, la padrona di casa si ritirò finalmente. L' infermo, che in quel frattempo erasi assopito, tornò di nuovo a lamentarsi. Allora suor Istituta, guardato un oriolino la cui catena d'oro, larga e corta, serpeggiava su 'l cassettone, s'accostò alla lampada, preparò con la punta delle dita affusolate una presa d'antipirina dentro l'ostia nel cavo del cucchiaio, poi venne verso il capezzale, e passando il braccio sinistro sotto il primo cuscino del sofferente, sollevata che gli ebbe la testa senza scomporlo, gli fece trangugiare la medicina. L'ufficiale, aperte le palpebre, volse la pupilla vaga e dilatata su quella ignota figura di donna, così prona sopra di lui da sfiorargli quasi il viso col petto. Tutti e due si fissarono per un momento: lei vide ch'egli era giovane e bello: lui, forse, non capì nulla, e subito rinserrò gli occhi. Piano piano, suor Istituta aveva ritirato il braccio; acccomodò le coltri, le rincalzò ai lati; quindi parve dileguarsi tra l'ombre alte e nere che il lume proiettava dirimpetto. Cominciava la veglia. Seduta sur una poltroncina bassa, in disparte, d'onde alzavasi a quando a quando per apprestar qualche farmaco o dare un cucchiaio di brodo al paziente, quando ella tornava al suo posto, riprendeva il rosario, facendo scorrere senza rumore su la cima delle sue piccole dita, gli acini della corona di fruttiglia che le pendeva a fianco. Pregava per una pia abitudine, come chi ha sempre le stesse parole in bocca. Anche l'ordinanza, il cui profilo ampio e svelto si disegnava diritto poco discosto dal letticciuolo, se ne stava affatto immobile: tranne con la mano destra che agitava blandemente, in misura, una fogliona ovale di palmizio, a mo' di ventaglio, su 'l viso cocente del malato; e dalla finestra socchiusa s'udiva soltanto venire a tratti un lievissimo fruscío d'aria mossa o d'insetti tra le fronde inselvatichite del piccolo giardino; ma subito tornava a regnare più che mai grave il silenzio. — Il mare è d'argento! — balbettò l'infermo — Incantevole!... Un quarto simpatico. Letterina sua.... Manda.... odor di fiori — e gridò — Mi fa male.... male! Mi si spezza la testa.... Oh, felicità! Mia creatura! Amor mio! Qui, qui — e stendeva le braccia tremanti come a chiamar qualcuno su 'l suo petto. Suor Istituta rimase a mezzo d'un'avemaria, che quasi subito riprese a recitare. — Oh, guarda.... gli albatri.... su l'acqua.... Par che dormano.... E sospirò: — Dormire!... - quasi che l'idea del sonno gli apparisse come un bene supremo, forse l'unico rimedio per non più pensare, per non più patire. La suora seguitava a sgranar lento il rosario; Così per queste tre persone tanto diverse di paese, d'indole e di destino, riunite lì quasi al buio, nella medesima stanzuccia di dolore, passò molta parte della notte. il marinaro seguitava a sventolare: tutti e due dolcemente, tacitamente, errando chi sa dove col pensiero. Il malato a momenti s'assopiva, a momenti vaneggiava, ricordando con frasi incoerenti e tronche qualcuno de' paesi da lui visitati ne' lontani viaggi, e un suo amore, che, forse, più della febbre gli bruciava il cuore e le carni, fatto com'era di delicata tenerezza e di desiderii brutali: un vero amore da uomo di mare, dalla duplice natura piena di sogni fantastici propri del suo pellegrinaggio tra cielo e acqua, e di sensualità selvagge aguzzate dalle astinenze di bordo. A un tratto, l'infermo, allontanando con violenza le coltri di su 'l petto, prese a dire affannosamente: — Orribile!... orribile.... il riverbero su la sabbia!... Scotta gli occhi... il cervello, la gola! Ondeggia tutto.... Oh, un pozzo, Dio mio!... Una goccia sola... Brucio!.. L'acqua limpida... fresca... Oh, Dio!... La monaca introdusse fra le labbra aride del malato l'orlo d'un bicchiere colmo di limonata dove tintinnava un pezzetto di ghiaccio. Egli bevve avidamente, lungamente, tenendo fissa la pupilla sbarrata, piena di meraviglia, su la mano alabastrina e sottile che gli porgeva quel refrigerio; e quando ebbe finito di bere, alzò gli occhi su la donna. Di nuovo i loro sguardi s'incontrarono e rimasero immobili qualche momento. Albeggiava. Una luce d'un chiaro bigiognolo penetrava ormai nella camera, dove le ombre erano scomparse, e la lampada s'affievoliva, gettando a pena a canto a se un riflesso giallastro su le lame delle lance e delle zagaglie aggruppate nell'angolo. Suor Istituta appariva più bianca della sua cornetta; e nel volto emaciato spiccavan vie piu bruni i profondi cerchi delle occhiaie e la frangia delle lunghe ciglia color nocciòla. Un'ondata di sangue arrossò invece leggermente le guance color di cera del malato: il quale tornò anche questa volta a richiuder subito gli occhi, come sotto un'impressione di pena. Forse quella pietosa mano femminile gli aveva procurato un rapidissimo sogno: un sogno seguíto tosto da una disillusione. La febbre non cedeva: centigrado più, centigrado meno, era quasi sempre oltre i quaranta gradi, non ostante i rimedi del medico curante e d'altri dottori chiamati ogni giorno a consulto: così che le forze e la vitalità dell'infermo Contessa Lara. si consumavano, scemavano ogni ora, come divorate da un inesorabile fuoco interno. Durante lunghe prostrazioni, egli restava con mezzo aperte le palpebre violacee, dal cui spiraglio si vedeva l'occhio vitreo e torbo, con dischiuse le labbra gonfie e scure, dentro cui appariva tutta nera la sega dei denti: un sudor gommoso gli attaccava a ciocche compatte i capelli scomposti su la fronte e su le tempie; le braccia ingiallite ed inerti gli pendevan fuori del lenzuolo; e in quelle ore l'ordinanza, dopo averlo inutilmente chiamato pian piano, dopo avergli posata una sua mano callosa su 'l cuore, spinto da un subitaneo terrore, avvicinava la sua larga bocca fresca e rossa a quella povera bocca arsa di moribondo, per assicurarsi ch'ei respirava ancora... Con un muto segno di gioia, subito dopo, volgendosi verso la suora, accennava di sì; ed ella rispondeva a quel cenno con un pallido sorriso, come per dire: — Non morrà, non dubitare; lo salvo io.