Sofia civettò un poco con lui abbandonandogli il braccio, invitandolo a sentire le pulsazioni del cuore attraverso la sottile batista del corpetto. Di nuovo Maria voleva allontanarsi; di nuova Sofia la trattenne. Intanto la cameriera che aveva introdotto il dottore, era andata ad avvertire Emanuele. Egli venne, così pallido, che Maria ne restò alquanto impressionata. - Badiamo, professore - disse il medico sorridendo - che nel guarire la signora non abbia da ammalarsi lei. E accompagnò la frase con una strizzatine d'occhi. Sofia ebbe un risolino furbo abbandonandosi sui guanciali, in una posa provocatrice: Maria si rifece, di ghiaccio, dura, immobile presso alla finestra, torcendo gli occhi dal letto. Sentiva come un ronzio, le tre voci; quella fioca di Emanuele che domandava i ragguagli della malattia, quella del dottore compassata, quella di Sofia squillante in note argentine; ma non seguiva il filo del discorso. Nel suo cervello indolorito le sensazioni si confondevano. Vedeva la pelle d'orso nero foderata di velluto rosa, lì, in quella camera; e sovr'essa Emanuele e Sofia abbracciati. - Un po' di distrazione le farà bene - prescriveva il dottore - nei mali delle donne i nervi formano la prima metà e l'immaginazione la seconda. - Aix... San Maurizio... L'odore della verbena, nell'atmosfera umida e rinchiusa, dava il capogiro a Maria; essa ora vedeva Emanuele cogli occhi sbarrati che diceva a Taziana: «Ti amo!» - Taziana rideva. Chi rideva erano Sofia e il dottore, accomiatandosi. Gli occhi di Emanuele però stavano veramente davanti a lei, sbarrati, pieni di amore. E Maria rise, rise forte, sonoramente, con una scossa convulsa in tutte le membra. Era finita; si sentiva scettica.
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