Non se ne poteva staccare lo sguardo: abbagliava, attirava come se portasse a galla tutte le ricchezze dell'universo, metteva voglia di tuffarvi Ia mano per pigliare una pugnata di gemme, di cacciarvisi dentro per uscirne sfolgoranti come monarchi orientali. Provavamo tutti il bisogno di trovare paragoni fantastici e di dire bizzarrie, sguazzando con l'immaginazione in quell'immensità di tesori ondeggianti, che ci scintillavano intorno come una tentazione e uno scherno. E l'ammirazione crebbe ancora quando, dopo un'ora di quella vista, comparve un branco di delfini, che si misero a guizzare e a saltare in quel fuoco, accompagnando il piroscafo, come per unire la propria alla nostra allegrezza. Allora fu un turbinìo di faville, una festa di spume e di spruzzi infiammati, una danza di costellazioni, una follia di splendori che fece prorompere i passeggieri di terza classe in grida acute, in strilli di gioia come una folla di ragazzi.
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Ora Gentile non guardava piú il sole: ancora basso sull'orizzonte, abbagliava tuttavia, e feriva gli occhi. Vagava il pittore con lo sguardo fra le progressive fasce di splendore che, sopra e sotto, allargavano la doppia immensità del mare e del cielo. Chissà da dove e quando spuntati, quattro gabbiani facevano strilli attorno al bordo alto della vela, pronti a tuffarsi sugli scarti di pesce che i marinai lanciavano in acqua: erano troppo rumorosi e vistosi per non distrarre Gentile dalla sua lontana contemplazione. Il suo sguardo passò dallo spazio a loro, e da loro al ponte della nave, adattandosi alla prossimità delle cose. Incontrò cosí lo sguardo di Marco, il mozzo della Santo Paolo, meno svelto degli altri a fingere di guardare altrove. Il pittore sorrise, e il ragazzo, incerto, con un sorriso gli rispose. — Che pesci sono? — disse Gentile a voce alta, scendendo il basso scalino da prua al centro del ponte, e avvicinandosi ai tre marinai, seduti al parapetto sinistro. — Lampughe, padron Bellini! — disse il piú vecchio, che si chiamava Volpe da Torcello. — E sono buoni? — Buoni per un marinaio, discreti per un capitano: ma il Doge li sputa! — disse Jacopo, cui toccava, nella gerarchia di bordo, di parlare per secondo: il burlone della barca. Tutti risero, anche il timoniere, lontano quattro passi dal gruppetto. Gentile, come spesso faceva, si fregò la corta barba appena ingrigita. — Per i gabbiani, sono buonissimi! — disse il mozzo, indicando il cielo con una smorfia, con voce strozzata. — Ma non sai che non sentono i sapori? — lo canzonò Volpe, che come marinaio anziano aveva il compito ufficioso di mortificare il ragazzo. Marco non rispose, e abbassò la faccia sul ventre biancastro e sfilacciato della sua Lampuga. — Questa non la so, Volpe! — disse Gentile, sedendo vicino al vecchio. — Come puoi dirlo? — Padron Bellini, è cosa che si dice, anche se non è scritta sui Vangeli, — disse Volpe da Torcello, voltando a metà la testa verso il pittore. — Il fatto è che i gabbiani hanno il becco duro, e la lingua troppo piccola per sentire i sapori, che sono tanti... — Forse è cosí, — disse Gentile. — Però, la pupilla di un occhio è anche più piccola di una lingua di gabbiano: e guarda quanti colori possiamo vedere! Spalancando la bocca, i tre sospesero la pulizia del pesce. Poi, a partire da Volpe, scoppiò una risata: e quella di Marco fu la piú sonora. — Vedi, sputacchio, quante cose si sanno a leggere i libri? — sbraitò sul mozzo Volpe, riprendendo il gioco crudele della persecuzione.
Era così bella, che abbagliava. La Regina, come intese che Serpentina stava per tornare, montò sulle furie: — Se vien lei, partirò io! È la nostra. cattiva sorte! — Ma, saputo che quella recava l'unguento da far sparire le gobbe, le andò incontro col Re e con tutta la corte. Fecero grandi feste, e vissero tutti felici e contenti. E noi citrulli ci nettiamo i denti.
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Dalle fessure si vedeva uno splendore che abbagliava, e di tanto in tanto si sentiva la mamma: — Spera di sole, spera di sole, sarai regina se Dio vuole! — E Tizzoncino che faceva l' uovo: — Se lo dicevano che erano ammattite! - Ogni notte così, fino alla mezzanotte: — Spera di sole, spera di sole, sarai regina se Dio vuole! - La cosa giunse anche ali' orecchio del Re. Il Re montò sulle furie e mandò a chiamare le fornaie. — Vecchia strega, se séguiti, ti faccio buttare in fondo a un carcere, te e il tuo Tizzoncino! — Maestà, non è vero nulla. Le vicine sono bugiarde. - Tizzoncino rideva anche al cospetto del Re. — Ah!... Tu ridi? — E le fece mettere in prigione tutte e due, mamma e figliuola. Ma la notte, dalle fessure dell' uscio il custode vedeva in quella stanzaccia un grande splendore, uno splendore che abbagliava, e, di tanto in tanto, sentiva la vecchia: — Spera di sole, spera di sole, sarai regina se Dio vuole! — E Tizzoncino faceva l' uovo. Le sue risate risonavano per tutta la prigione. Il custode andò dal Re e gli riferì ogni cosa. Il Re montò sulle furie peggio di prima: — La intendono in tal modo? Sian messe nel, carcere criminale, quello sottoterra. - Era una stanzuccia senz' aria, senza luce, coll' umido che si aggrumava in ogni parte; non ci si viveva. Ma la notte, anche nel carcere criminale, ecco uno splendore che abbagliava, e la vecchia: — Spera di sole, spera di sole, sarai regina se Dio vuole! — Il custode tornò dal Re, e gli riferì la cosa. Il Re, questa volta, rimase stupìto. Radunò il Consiglio della Corona; e i consiglieri chi voleva che alle fornaie si tagliasse la testa, chi pensava che fosser matte e bisognasse metterle in libertà. — Infine, che cosa diceva quella donna? Se Dio vuole. O che male e' era? Se Dio avesse voluto, neppure Sua Maestà sarebbe stato buono d' impedirlo. — Gua'! Era proprio così. — Il Re ordinò di scarcerarle. Le fornaie ripresero il loro mestiere. Non avean le pari nel cuocere il pane appuntino, e le vecchie avventore tornarono subito. Perfin la Regina così saliva spesso le scale del palazzo reale, coi piedi scalzi e intrisi di mota. La Regina le domandava: volle infornare il pane da loro; il Tizzoncino Tizzoncino, perchè non ti lavi la faccia? — Maestà, ho la pelle fina e l'acqua me la sciuperebbe. — Tizzoncino, perchè non ti pettini? — Maestà, ho i capelli sottili, e il pettine me li strapperebbe. — Tizzoncino, perchè non ti compri un paio di scarpe? — Maestà, ho i piedini delicati; mi farebbero i calli. — Tizzoncino, perchè la tua mamma ti chiama Spera di Sole? — Sarò regina, se Dio vuole! - La Regina ci si divertiva; e Tizzoncino, andando via colla sua asse sulla testa e le pagnotte e le stiacciate di casa reale, rideva, rideva. Le vicine che la sentivan passare: — Tizzoncino fa l'uovo! - Intanto ogni notte quella storia. Le vicine, dalla curiosità, si rodevano il fegato. E appena vedevano quello splendore che abbagliava e sentivano il ritornello della vecchia, via, tutte dietro l'uscio: non sapevano che inventare. C'era una volta.... 2 — Fornaie, fatemi la gentilezza di prestarmi lo staccio; nel mio c' è uno strappo. — — Tizzoncino apriva l' uscio e porgeva lo staccio. — Come! Siete allo scuro l Mentre picchiavo e' era lume. — Uh! vi sarà parso. - — Fornaie, per cortesia, prestatemi un ago. Mi si son rotti tutti, e debbo finire un lavoro. - Tizzoncino apriva l' uscio e porgeva l' ago. — Come! Siete allo scuro? Mentre picchiavo, c' era lume. — Uh! vi sarà parso. — La cosa era arrivata anche all' orecchio del Reuccio che aveva già sedici anni. Il Reuccio era un gran superbo. Quando incontrava per le scale Tizzoncino, coll' asse sulla testa o colla cesta sulle spalle, si voltava in là per non vederla. Gli facea schifo. E una volta le sputò addosso. Tizzoncino quel giorno tornò a casa piangendo. — Che cosa è stato, figliuola mia? — Il Reuccio mi ha sputato addosso. — Sia fatta la volontà di Dio! Il Reuccio è padrone. — Le vicine gongolavano: — Il Reuccio gli avea sputato addosso; le stava bene a Spera di sole! — Un altro giorno il Reuccio la incontrò sul pianerottolo. Gli parve che Tizzoncino lo avesse un
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Dinanzi a loro, ai due lati della strada corta e stretta, era una doppia cortina di fuoco; una luce accecante li abbagliava, un calore intenso ardeva la loro pelle e un muggito continuo percuoteva le loro orecchie, accompagnato da crolli e scricchiolii. Attraversarono quell'inferno in un minuto che sembrò loro un secolo; e quindi, improvvisamente, si ritrovarono nella semioscurità. Mentre percorreva la strada e poi traballando sulle rotaie della ferrovia, Rhett adoperava la frusta automaticamente. Il suo volto era irrigidito e sembrava assente, quasi egli avesse dimenticato dove si trovava. Aveva le braccia strette al corpo e il mento proteso in avanti, come se fosse immerso in pensieri spiacevoli. Il calore gli faceva gocciolare la fronte e le guance, ma egli non si asciugava. Voltarono in una strada stretta, quindi in un'altra, e poi in altre ancora, finché Rossella perse completamente l'orientamento, mentre sentiva diminuire il ruggito delle fiamme. Rhett continuava a tacere. Soltanto frustava il cavallo con regolarità. Il riflesso sanguigno nel cielo andava sfumando, e la strada si faceva cosí spaventosamente buia, che Rossella avrebbe voluto udire una parola, magari un insulto, un'ingiuria, purché fosse una parola. Ma egli taceva. - Rhett - mormorò a un certo momento afferrandogli il braccio. - Che cosa avremmo fatto senza di voi? Come sono contenta che non siate nell'esercito! Egli volse il capo e le diede un'occhiata che la fece indietreggiare abbandonando il suo braccio. Non vi era sarcasmo, ora, nei suoi occhi; ma piuttosto un'espressione di collera e anche di stupore. Torse le labbra volgendo nuovamente il capo. Per un pezzo proseguirono in un silenzio interrotto soltanto dai lievi vagiti del bimbo e da qualche gemito di Prissy. Finalmente Rhett voltò il cavallo ad angolo retto e dopo un poco si trovarono su una strada larga e soffice. Le forme incerte delle case diventavano sempre piú rare e ai due lati si stendevano folte boscaglie. - Siamo fuori città, adesso - disse Rhett brevemente tirando le redini; - e sulla strada principale per McDonough. - Presto. Non vi fermate! - Lasciate respirare un momento questa bestia. - Poi volgendosi a lei, le chiese lentamente: - Siete ancora decisa, Rossella, a commettere questa follia? - Quale? - Volete ancora tentare di arrivare a Tara? È un suicidio. Fra voi e Tara vi è la cavalleria di Lee e l'esercito yankee. Dio mio! Avrebbe ora rifiutato di condurla a casa, dopo ciò che ella aveva sopportato in quella tremenda giornata? - Oh, sí, sí! Vi prego, Rhett, sbrighiamoci. Il cavallo non è stanco. - Un momento. Non potete andare a Jonesboro seguendo la linea ferroviaria. Si è combattuto qui tutto il giorno. Conoscete altre strade, carrozzabili o sentieri, che non attraversino Jonesboro? - Oh, sí! - esclamò Rossella sollevata. - Conosco una strada carrozzabile che lascia Jonesboro di fianco e fa il giro di diverse miglia. Papà ed io la percorrevamo a cavallo. Sbuca vicino alla proprietà di Maclntosh ed è soltanto a un miglio da Tara. - Bene! Allora può darsi che riusciate. Il generale Steve Lee è stato da quella parte durante il pomeriggio di oggi per coprire la ritirata. Forse gli yankees non vi sono ancora. Quindi potete arrivate se gli uomini di Lee non vi prendono il cavallo. - lo... posso arrivare? - Sí, voi. - La sua voce era aspra. - Ma Rhett... voi... non ci accompagnate? - No. Vi lascio qui. Ella si guardò attorno con uno sguardo folle; guardò il cielo livido, gli alberi neri che sembravano le pareti di una prigione, le figure spaventate nel carro, e finalmente lui. Era impazzita? O non aveva udito bene? - Ci lasciate? E dove... dove andate? - Cara figliola, vado con l'esercito. Ella sospirò, sollevata e irritata. Perché scherzava in questo momento? Rhett nell'esercito! Dopo tutto quello che aveva sempre detto... - Che gusto spaventarmi cosí! Andiamo! - Non sto scherzando, mia cara. E sono dolente che voi non accettiate con spirito migliore il mio sacrificio. Dov'è il vostro patriottismo, il vostro amore per la Nostra Causa Gloriosa? Ora sarebbe il momento di dirmi che debbo tornare vittorioso o morto. Ma fate presto, perché a me occorre un po' di tempo per farvi un bel discorsetto prima di partire per la guerra. Era la solita voce beffarda. Egli la scherniva e in certo modo, scherniva anche se stesso. Non era possibile che parlasse sul serio. E non era credibile che pensasse di lasciarla su quella strada buia con una donna che poteva essere moribonda, un neonato, una piccola imbecille negra e un bimbo atterrito; non poteva lasciarle il compito di portarli attraverso miglia e miglia di campi di battaglia, in preda a mille pericoli. - Scherzate, Rhett! Gli afferrò il braccio e lagrime di terrore le sgorgarono dagli occhi. Egli sollevò la sua mano e glie la baciò leggermente. - Egoista sino alla fine, non è vero, mia cara? Pensate soltanto alla vostra preziosa salvezza e non alla valorosa Confederazione. Immaginate invece, come saranno rincorate le nostre truppe da questa mia comparsa all' ultima ora! - Nella sua voce era una maliziosa tenerezza. - Oh, Rhett, come potete farmi questo? Perché mi volete abbandonare? - Perché? - egli rise gaiamente. - Forse a causa di quella stupida sentimentalità che è appiattata in fondo a tutti noi meridionali. Forse... Forse perché mi vergogno. Chi Io sa? - Vergognarvi? Dovreste morire di vergogna a lasciarci qui, sole, senza aiuto... - Cara Rossella! Voi non siete senza aiuto. Quando si è egoisti e risoluti come voi, non si è mai abbandonati. Dio deve aiutare piuttosto gli yankees, se per caso capitate fra loro! - Scese bruscamente dal carro, e poiché ella lo guardava sbalordita, girò dalla sua parte e le ordinò: - Scendete. Ella lo fissò. Rhett la prese alla vita senza complimenti e la depose a terra accanto a lui. Tenendola leggermente alla cintura, la trasse a parecchi passi di distanza. Ella sentiva la polvere e i sassi penetrare nelle sue scarpine. Le tenebre calde l'avvolgevano come un sogno. - Non vi chiedo di comprendere o di perdonare. Io stesso non mi comprendo, e non mi perdonerò mai questa idiozia. In fondo, mi secca di trovare in me ancora tanto donchisciottismo. Ma i nostri bei Paesi del Sud hanno bisogno di ogni uomo. Non lo ha detto anche il nostro bravo governatore Brown? Ma non importa. Vado alla guerra. Rise improvvisamente, un riso squillante che destò gli echi nel bosco nero. - «Non ho potuto amarti, cara, piú di quanto amassi l'onore.» Un bel discorso, no? Certo migliore di quel che sarei capace di fare io in questo momento. Perché vi amo, Rossella, malgrado quel che vi ho detto quella sera sotto il porticato, un mese fa. La sua voce era carezzevole e le sue mani calde e robuste, le lisciavano le braccia nude. - Vi amo, Rossella, perché ci somigliamo tanto; rinnegati, tutti e due, e profondamente egoisti. A nessuno di noi due importa che il mondo vada in rovina, purché noi ci salviamo. Ella udiva le parole, ma non ne capiva il senso. Cercava di rendersi conto della tremenda verità: egli la lasciava sola, ad affrontare gli yankees. Il suo cervello le diceva: «Mi lascia, mi lascia.» Ma non provava emozione. Allora le braccia di lui le circondarono la vita e le spalle, ed ella sentí i suoi muscoli saldi, e i bottoni della sua giacca che le premevano contro il petto. Un senso di calore, di stupore, e di sgomento la invase offuscando in lei ogni cognizione di tempo e di luogo. Si sentiva come una bambola di stracci debole e rilassata; e le piaceva sentirsi sorretta da quelle braccia vigorose. - Non volete cambiare idea a proposito di ciò che vi dissi quella sera? Non vi è nulla di meglio del pericolo e della morte per dare una spinta. Siate patriottica, Rossella. Pensate che manderete un soldato alla morte con un bel ricordo. Ora la baciava. E i suoi baffetti le sfioravano la bocca; la baciava con le labbra ardenti, lentamente, come se avesse avuto a sua disposizione tutta la notte. Carlo non l'aveva mai baciata cosí. E nemmeno i baci dei Tarleton e di Calvert le avevano dato quella sensazione di caldo e di freddo e l'avevano fatta tremare cosí. Le riversò il corpo all'indietro e le sue labbra le accarezzavano la gola, fin dove il cammeo le chiudeva la scollatura. - Tesoro - mormorò egli - tesoro... Ella scorgeva vagamente il carro nell'oscurità. A un tratto udí la vocetta acuta di Wade. - Mamma! Wade ha paúla! Alla sua mente confusa tornò improvvisamente la realtà ed ella ricordò ciò che aveva dimenticato per un attimo: che aveva paura e che Rhett, quel maledetto mascalzone, stava per lasciarla. E per colmo aveva la sfacciataggine d'insultarla con le sue infami proposte. Ira e odio s'impadronirono di lei; con uno sforzo ella si strappò alle sue braccia. - Mascalzone! - esclamò; e cercò di ricordarsi i peggiori insulti, quelli che aveva udito adoperare da Geraldo contro Lincoln, contro McIntosh e contro i muli testardi: ma le parole non vennero. - Abbietto, vigliacco, odioso! - E non riuscendo a trovare altre parole abbastanza sferzanti, alzò un braccio e lo colpí sulla bocca con tutta la forza che le rimaneva. Egli indietreggiò portandosi la mano al viso. - Ah! - fece soltanto; e per un attimo rimasero a fissarsi nell'oscurità. Rossella udiva il suo respiro pesante; ed ella pure ansimava come se avesse corso. - Avevano ragione; tutti avevano ragione! Non siete un gentiluomo! - Cara ragazza, come siete inopportuna! - Andatevene! Andatevene subito! Non voglio vedervi mai piú! Spero che una palla di cannone vi colpisca, che vi faccia a pezzi. Che... - Il resto non importa. Accetto la vostra idea. Ma quando sarò morto sull'altare della patria, spero che la vostra coscienza vi rimprovererà. Lo udí ridere, mentre, voltava le spalle, si avviava verso il carro. Lo vide fermarsi e lo udí parlare con la voce rispettosa che usava sempre quando parlava a Melania. - Mrs. Wilkes? La voce spaventata di Prissy rispose: - Madre di Dio, capitano Butler! Miss Melly essere svenuta rovesciata indietro. - Non è morta? Respira? - Sí, signore. Respirare. - Allora, è meglio cosí. Se fosse cosciente, forse non potrebbe sopravvivere a tutto questo. Abbi cura di lei, Prissy. Questo è per te - e le diede una banconota.... Cerca di non essere piú stupida di quello che sei. - Sí, signore. Grazie, signore. - Addio, Rossella. Si era voltato a guardarla, ma ella non parlò. L'odio l'aveva ammutolita. Udí il suo passo sui ciottoli della strada e per un attimo vide le sue larghe spalle disegnarsi nel buio. E dopo un momento, era scomparso. Udí allontanarsi il rumore dei passi, fino a cessare completamente. Allora tornò lentamente verso il carretto, con le ginocchia che le tremavano. Perché se n'era andato cosí, nel buio, a mescolarsi alla guerra, a una Causa che sapeva perduta, a un mondo impazzito? Perché era andato, Rhett che amava il piacere, le donne, i liquori, il buon vino e i letti comodi, i bei vestiti e le belle scarpe, che detestava gli Stati del Sud e derideva gl'imbecilli che combattevano per essi? Ora le sue scarpe verniciate lo portavano su una strada dolorosa, su cui la fame camminava con passo instancabile, e che le ferite, la debolezza, l'angoscia percorrevano come un branco di iene urlanti. E all'estremità di quella strada era la morte. Non doveva andare, lui che era ricco e tranquillo. Ed era andato, invece, lasciandola sola in una notte nera come la fuliggine, con l'esercito yankee fra lei e la sua casa. Ora si ricordò tutti gli insulti che avrebbe voluto lanciargli, ma era troppo tardi. Appoggiò il capo sul collo curvo del cavallo e pianse.
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- Il tenero babbo aveva piene zeppe le valigie di belle cose per le sue care che lo aspettavano a Roma; e alla Marietta, in particolare, portava un assortimento di quanto la novità offriva di più grazioso: tra le altre galanterie, un pettine di tartaruga bionda e oro, rotondo, per tener dietro le tempie que' capelloni ricciuti d'un castagno a riflessi rossastri, ch'erano, a dir il vero, la più grande bellezza della bimba; poi un ventaglio di velo color di rosa tutto lustrini d'acciaio, che abbagliava; poi un ombrellino di raso bianco, col manico d'avorio; poi una scatola da lavoro; poi... non lo sapeva neanche lui, il babbo, tutto quello che aveva comprato. Senza avvedersene, si trovò a un tratto in un agglomeramento di persone ferme a guardar una magnifica mostra di giocattoli, in uno de' principali negozi della Galleria. Ce n'eran di tutti i generi e per tutti i gusti. Tra la folla lì pigiata qualcuno sollevava su le braccia i ragazzi, perché potessero veder lo scimmiotto, grande al vero, col pelo naturale, far gravemente la calza, e ogni tanto fermarsi, guardare in viso gli spettatori e, improvvisamente, con un buffo garbo, mostrare i denti e metter fuori la lingua. Tutti scoppiavano a ridere. Piaceva anche il cane barbone che sonava l'organetto, voltando la testa ora a destra ora a manca, mentre accompagnava il valzer con un abbaiamento che voleva essere un canto. Non meno originale sembrava il vecchietto con una veste da
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- Il tenero babbo aveva piene zeppe le valigie di belle cose per le sue care che lo aspettavano a Roma; e alla Marietta, in particolare, portava un assortimento di quanto la novità offriva di più grazioso: tra le altre galanterie, un pettine di tartaruga bionda e oro, rotondo, per tener dietro le tempie que' capelloni ricciuti d'un castagno a riflessi rossastri, ch'erano, a dir il vero, la più grande bellezza della bimba; poi un ventaglio di velo color di rosa tutto lustrini d'acciaio, che abbagliava; poi un ombrellino di raso bianco, col manico d'avorio; poi una scatola da lavoro; poi... non lo sapeva neanche lui, il babbo, tutto quello che aveva comprato. Senza avvedersene, si trovò a un tratto in un agglomeramento di persone ferme a guardar una magnifica mostra di giocattoli, in uno de' principali negozi della Galleria. Ce n'eran di tutti i generi e per tutti i gusti. Tra la folla lì pigiata qualcuno sollevava su le braccia i ragazzi, perché potessero veder lo scimmiotto, grande al vero, col pelo naturale, far gravemente la calza, e ogni tanto fermarsi, guardare in viso gli spettatori e, improvvisamente, con un buffo garbo, mostrare i denti e metter fuori la lingua. Tutti scoppiavano a ridere. Piaceva anche il cane barbone che sonava l'organetto, voltando la testa ora a destra ora a manca, mentre accompagnava il valzer con un abbaiamento che voleva essere un canto. Non meno originale sembrava il vecchietto con una veste da
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