Non so bene per quale associazione di idee, pensai a una di quelle nobili figure di Garibaldini del 60 che avevo conosciute nelle pagine indimenticabili di Cesare Abba, e mi fissai nel capo ch'egli avesse fatto quella campagna, e che dovesse essere lombardo. Mentre guardavo lui, il mio vicino di sinistra sbattè la forchetta sulla tavola, dicendo: - È inutile.... se mangio, crepo. Costui era un ometto mingherlino, con un viso di dolor di corpo e una gran barba nera, troppo lunga per lui, che gli pareva appiccicata, come quelle dei piccoli maghi che saltan fuori dalle scatole a molla. Gil domandai se si sentisse male. Mi rispose con la pronta familiarità dei malati, a cui si parla della loro malattia. Non si sentiva male o, per dir meglio, non soffriva propriamente il mal di mare. Soffriva d'una malattia particolare, più morale che fisica, che era un'avversione invincibile al mare, un'inquietudine irosa e triste che lo pigliava al primo salire sul piroscafo, e che non l'abbandonava più fino all'arrivo, se anche avesse avuto sempre il mare come un lago e il cielo come uno specchio. Aveva fatto parecchie traversate dell'oceano, perchè la sua famiglia era stabilita nell'Argentina, a Mendoza; ma pativa all'ultima le medesime torture che alla prima: di giorno una spossatezza e un'agitazione morbosa, e di notte un'insonnia incurabile, tormentata dalle più nere immaginazioni che possano passare per mente umana. Odiava a tal segno il mare che era capace di star sette giorni di seguito senza guararlo, e ogni volta che trovava in un libro una descrizione marina, la saltava a piè pari. Mi giurava, infine, che se si fosse potuto andare in America per terra, egli avrebbe viaggiato un anno in carrozza piuttosto che far quella traversata di tre settimane. A tanto era ridotto. Un medico suo amico gli aveva detto per celia, ma egli credeva fermamente, che quella violenta avversione al mare non poteva derivar da altro che da un presentimento misterioso di dover morire in un naufragio. - Sciâ se leve queste idee da a testa, avvocato! - gli disse il suo vicino dall'altra parte. L'avvocato scrollò il capo, accennando con l'indice il fondo del mare. Vedendo che aveva già conoscenze a bordo, gli domandai informazioni. Come avevo indovinato giusto! Il mio vicino di destra, in fatti, doveva essere lombardo : egli l'aveva inteso parlare lombardo con un amico, sulla calata di Genova: e un antico garibaldino, senza dubbio: glie l'aveva detto Ia mattina il Commissario. - Ma come lo sa lei?- mi domandò. - lo insuperbii della mia facoltà divinatrice. Egli continuò a darmi notizie. La famiglia che era in fondo alla tavola, composta di padre e madre, e di quattro figliuoli, era una famiglia brasiliana, che andava al Paraguay. Il giovane coi baffetti biondi, che sedeva accanto al brasiliano più piccolo, credeva che fosse un tenore italiano (era il mio vicino di camerino) che andava a cantare a Montevideo. Quello che parlava forte in quel momento, dalla nostra parte della tavola, era un cattivo originale di mugnaio piemontese, che, diventato ricco nell'Argentina, vi ritornava ora per sempre, dopo aver fatto un breve soggiorno in patria, dove pareva che non avesse trovato l'accoglienza trionfale che s'aspettava; e fin dalla sera innanzi era stato inteso raccontar a un cameriere la sua storia, e dir corna dell'Italia, la quale non avrebbe avuto le sue ossa. Qui s'interruppe, e mi disse a bassa voce: - Guardi quel braccio. Accennava alla ragazza pallida, con Ia croce al collo che avevo già notata. Guardai, e provai un senso quasi di ribrezzo: non era un braccio il suo, ma un povero osso bianco che pareva uscito da un sepolcro. E osservai nello stesso tempo i suoi occhi velati; e quasi svaniti, d'un'espressione di tristezza e di dolcezza infinita, che sembrava guardassero tutto e non vedessero nulla. E osservai che anche il Garibaldino la fissava cogli occhi socchiusi, forse per nascondere il sentimento di compassione che inspirava a lui pure. La compagnia, in somma, presentava una varietà abbastanza soddisfacente per un osservatore. Notai fra gli altri uno strano viso di color bronzeo, d'un uomo sui trentacinque anni, di fisionomia grave, e vagamente malinconica, dal quale non potei staccare gli occhi per un pezzo quando l'avvocato m'ebbe detto ch'era un Peruviano; poichè mi pareva che la forma oblunga del capo e la grande bocca e Ia barba rada rispondessero alle descrizioni che si leggon nelle storie di quegli Incas misteriosi, che m'avevan sempre tormentato la fantasia. Me lo raffiguravo vestito di lana rossa, con una benda intorno al capo e gli orecchini dorati, inteso a segnare i suoi pensieri coi fili variopinti d'una cordicella a nodi, e vedevo sfolgorare dietro di lui le gigatesche statue d'oro del palazzo imperiale di Cuzco, circondato di giardini scintillanti di frutti e di fiori d'oro. Ed era invece il proprietario d'una fabbrica di zolfanelli di Lima, che discorreva prosaicamente della sua industria col commensale che gli stava di faccia. Alle frutta le conversazioni s'animarono un poco. Sentii che il Comandante raccontava un'avventura di quando era capitano di bastimento a vela; un'avventura il cui scioglimento, a giudicarne dal gesto, doveva essere una solenne distribuzione di scapaccioni fatta da lui in non so che porto straniero a non so quale mascarson, che gli aveva mancato di rispetto. In fondo alla tavola gli Argentini provocarono più volte delle risate sonore pigliandosi spasso, a quanto mi parve, d'un commesso viaggiatore francese dai capelli grigi, il solito commesso che si trova in tutti i piroscafi, il quale rispondeva con la disinvoltura imperturbabile d'un vecchio monello, profondendo le spiritosaggini del solito prontuario, che tutti i suoi colleghi hanno a memoria. Mentre servivano il caffè, il piroscafo fece due o tre mosse più forti, e allora s'alzò da tavola, guardata da tutti, una bella signora argentina, che non avevo ancora veduta; ma essendosene andata barcollando, sorretta da suo marito, non mi potei accertare della "grazia maravigliosa d'andatura" che gli scrittori di viaggi attribuiscono alle donne del suo paese. Mi potei però accorgere, dalla curiosità ammirativa di tutti gli sguardi, che già le doveva esser stato riconosciuto il primato estetico tra le signore del Galileo, e che difficilmente sarebbe stata scoronata nel corso del viaggio. Poco dopo tutti gli altri s'alzarono, tornarono a guardarsi da capo a piedi, con la coda dell'occhio, come all'entrata, e poi si sparpagliarono a poppa, nel fumatoio e per i camerini, mostrando già sul viso la noia delle sei ore eterne che li dividevano dal pranzo.
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