Ci telegrafano da Pietroburgo, 6, ore 10,5: Le Noresti annunziano la creazione di una agenzia diplomatica al Marocco e di un'altra consolare a Gibuti, che sarà molto utile per i numerosi russi che intendono recarsi in Abissinia e che ora si lagnano di non trovare a metà via nessun appoggio dal proprio Governo.
Abissinia di Roma e d'Italia!». A lanciare l'accorato «grido di dolore» non poteva essere che Umberto Bossi, ai suoi primi passi in qualità di direttore politico nonché editorialista della neonata Padania. Non quella geografica, purtroppo per lui: stiamo parlando del quotidiano della Lega - «quotidiano del Nord», come riporta in bella evidenza sotto la testata - in edicola da qualche giorno. D'accordo, ma che c'entra l'Abissinia vittima dell'espansione coloniale italiana - rievocata dal leader del Carroccio nell'editoriale di ieri («Padania, Abissinia d'Italia») - con la Padania virtuale vagheggiata dalla Lega?, ci si chiederà. Quali sono le linee-guida che uniscono in un solo capitolo la nostra disavventura coloniale - dall'occupazione di Massaua fino alla disastrosa sconfitta inflitta dall'esercito etiopico agli italiani presso Adua (1896, rimangono sul campo 4 mila tra ufficiali e soldati italiani e 2.600 ascari)) - con le pretese del Palazzo? Il paragone c'entra eccome, a sentire Bossi, «Negus padano» per l'occasione. Perché nelle sue previsioni il «sistema politico messo in piedi dalla democrazia cristiana e quindi dalla Chiesa vaticana» - di fronte al rischio di rimanere escluso dall'Unione monetaria - sceglierà «una ricetta economica di estremo rigore e della durata di almeno un decennio». Tradotto in pratica, questo dovrebbe significare un ulteriore aumento della pressione fiscale al Nord, complice «il grado infinito di accettazione dei soprusi» mostrato in più occasioni dai padani, Possibile? «Per Roma la scelta è più che ovvia - conferma Bossi -. Fa fede della nostra mansuetudine il fatto che le abbiamo consegnato senza reagire, se non con sterili borbottii, persino tribunali, carabinieri, polizia e insegnanti, cioè tutto il controllo presente e futuro della nostra società». Riaffiorano tra le linee gli echi delle più recenti e controverse campagne leghiste. Ma il futuro potrebbe anche riservare di peggio. Sono in arrivo tempi grami per i padani-abissini, vessati da un'Italia che «continua ad assomigliare all'Est comunista, all'Italietta fascista, al Regno Pontificio, molto più che all'Occidente liberista», si dilunga il senatùr in un intreccio di azzardati riferimenti storici. Con buona pace di quanti pensavano che il vero erede dell'Abissinia dovesse essere, semmai, il Mezzogiorno d'Italia, degradato nell'editoriale a patria dello statalismo e dei privilegi dell'assistenzialismo. «L'indipendenza della Padania, non la Bicamerale e il presidenzialismo», ammonisce Bossi. Ma attenzione: all'epoca gli italiani sfruttarono le incongruenze presenti nel trattato firmato insieme al neoimperatore d'Abissinia Menelik (Trattato di Uccialli, 1889) per rimettere in discussione i termini del protettorato italiano sull'Etiopia e far precipitare la situazione. Galeotte furono le due versioni dell'accordo, redatto in italiano e in aramaico. Oggi, nei rapporti diplomatici sempre più tesi con «Roma ladrona», meglio affidarsi a una lingua sola, evitando le traslazioni in lumbard. La Storia insegna.
Dalla soverchia fidanza del Crispi, che avrebbe voluto applicare in Abissinia i metodi garibaldini, all'esagerata cautela del Giolitti, che tarpava le ali alle migliori iniziative, sarebbe stato necessario trovare un giusto mezzo. Non si trovò, la campagna fini col prolungarsi e complicarsi assai oltre il previsto; né mancarono episodi dolorosi, che impressionarono l'opinione pubblica, anche straniera, perché sembravano dimostrare negli Italiani una incapacità quasi organica dì combattere offensivamente con resultati concreti. Le nostre forze parvero ovunque assediate e sulla difensiva, mentre strategicamente parlando non era vero, perché esse in realtà dalla costa assediavano l'interno.