La questione interpretativa posta dall'art. 36-bis del d.p.r. n. 600 del 1973, nella formulazione anteriore all'entrata in vigore del d. legisl. 9 luglio 1997, n. 241, concerne la natura del termine (meramente acceleratorio o decadenziale) posto dalla predetta norma per la liquidazione della maggiore imposta determinata in esito all'accertamento cartolare. La controprestazione tra la posizione espressa dalla dottrina e giurisprudenza dominante da una parte (natura perentoria del termine) ed amministrazione finanziaria dall'altra parte (termine puramente acceleratorio), sembrava definitivamente composta a favore della prima, specie in seguito a due pronunce con cui la Corte di cassazione (n. 7088 del 1997 e n. 12442 del 1997) aveva statuito la natura decadenziale di tale termine. Il legislatore è tuttavia intervenuto in materia con l'art. 28 della legge n. 449 del 1997, che, rubricato norma di interpretazione e dunque munito di efficacia retroattiva, ha stabilito che il termine di cui all'art. 36-bis «deve essere interpretato nel senso che il termine in esso indicato, avendo carattere ordinatorio, non è stabilito a pena di decadenza». Numerose commissioni tributarie, considerata la natura retroattiva di tale disposizione, ne hanno denunciato l'illegittimità costituzionale invocando, in particolare, la violazione degli artt. 3, 24, 53, 97, 101, 102 e 113 Cost. Da ultimo, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 229 del 1999, ha respinto le varie censure di illegittimità sollevate dalle suddette ordinanze di rimessione, confermando dunque, in ragione della sua natura interpretativa, l'efficacia retroattiva dell'art. 28.
TAR non tiene conto che la dimidiazione dei termini processuali è un'eccezione rispetto alla regola ordinaria e che, perciò, tale disposizione va interpretata in senso restrittivo: l'applicazione della norma anche ai motivi aggiunti riduce la tutela di una parte processuale, senza peraltro produrre l'effetto acceleratorio, che, comunque, non può mai prevalere sui principi del giusto processo.
Perché possa escludersi la sussistenza del nesso causale rispetto alla lesione del particolare bene che viene in rilievo, occorre che l'inadempimento del sanitario non l'abbia causato anche dal punto di vista squisitamente "acceleratorio". c) La quantificazione del danno da perdita di chance. Distaccandosi opportunamente dal coefficiente mediano del 50% di probabilità come spartiacque tra ristoro integrale e risarcimento commisurato alla perdita di chance, la risarcibilità del danno è legata alla sussistenza di una possibilità, anche minimale, purché dimostrata e positivamente apprezzabile. Accanto alla statistica, dunque, il giudice deve far riferimento ad indizi, presunzioni semplici o massime d'esperienza e tipicità sociale, per operare una valutazione di prognosi necessariamente proiettata nel futuro.
La litispendenza come fattore acceleratorio delle liti sui licenziamenti ex L. n. 92/2012
Oltre a varie modifiche di dettaglio (non sempre egualmente apprezzabili) ed oltre alla drastica decurtazione degli indennizzi, la novità più cospicua con riguardo al contenzioso civile consiste nella imposizione in capo alle parti di un vero e proprio onere di adottare, o meglio, sollecitare l'adozione del rito sommario di cognizione, concepito alla stregua di "rimedio acceleratorio" che condiziona l'accesso alla tutela indennitaria. La previsione, insieme a quella che fa leva sull'istanza "ex art. 281 sexies c.p.c.", si espone a serie censure di irragionevolezza e di sostanziale inefficacia.