La sentenza, comunque, offre lo spunto per approfondire la questione circa la detraibilità dell'IVA sulle spese relative agli immobili destinati all'attività agrituristica, quando questi non siano ancora accatastati come beni strumentali.
L'interpretazione dell'Agenzia del territorio, secondo cui gli impianti fotovoltaici devono essere accatastati nella categoria degli opifici, solleva considerevoli perplessità per le motivazioni tecniche e giuridiche che la supportano, non fosse altro per il fatto che detti impianti, proprio per la loro natura, non dovrebbero nemmeno essere considerati dei "fabbricati". Tale interpretazione, portata alle estreme conseguenze, coinvolgerebbe a cascata ogni comparto dell'imposizione indiretta ed appare criticabile perché potrebbe aggravare notevolmente il carico fiscale degli impianti installati su terreni.
Negli ultimi due anni, a queste difficoltà si sono sommati una serie di interventi da parte della Corte di Cassazione, che ha individuato esclusivamente nella qualificazione catastale dei fabbricati rurali il requisito per la sussistenza del diritto all'esenzione dall'Ici, che sta creando ancora maggiori difficoltà, in quanto tale orientamento permetterebbe ai comuni di considerare imponibili tutti i fabbricati che siano stati accatastati in modo ordinario, con un evidente contrasto con le interpretazioni fornite non soltanto dal catasto, ma anche dallo stesso legislatore. La problematica risulta allo stato ancora irrisolta a fronte del mancato intervento interpretativo da parte del legislatore e richiede una attenta analisi da parte degli enti locali, per evitare che l'emissione di atti impositivi legati all'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione possa portare ad un ulteriore aumento del contenzioso in materia, che rappresenta già uno dei nodi più complessi nell'applicazione dell'Ici.
Con l'approvazione dell'art. 19, commi 7-13 del d.l. 78/2010, convertito in legge 122/2010, il legislatore ha nuovamente aperto la caccia agli immobili non accatastati, per cercare di ridurre quanto più possibile le sacche di evasione sotto il profilo immobiliare, non essendo più accettabile, in uno Stato moderno, che alcuni immobili di unità immobiliare, presenti fisicamente sul territorio non vengano assoggetti ad imposizione, in quanto non ancora registrate a livello catastale, ovvero registrate sulla base non corrispondenti alla loro reale consistenza e/o destinazione d'uso. La normativa adottata per rendere possibile tale recupero ad imposizione si scontra peraltro con parecchie difficoltà interpretative ed applicative, ma costituisce allo stesso tempo un trampolino fondamentale per l'attribuzione di effettivi margini di autonomia a favore di comuni, nell'ottica dell'introduzione di qualsiasi forma di federalismo fiscale, che deve porsi, quale primo obiettivo la corretta e compiuta conoscenza del territorio.
I parchi eolici devono essere accatastati come le altre centrali elettriche
Nella sentenza n. 19 del 2012 la Commissione tributaria provinciale di Savona ritiene che i capannoni adibiti a deposito oggetto di concessione a terminai (merci) portuali, in quanto utilizzati nel quadro della complessiva gestione dello scalo marittimo, non presentano ''autonomia funzionale e reddituale'' e devono quindi essere accatastati nella categoria E/1, con conseguente esenzione da ICI (oggi IMU). La pronuncia ha il merito di avere - di fatto - superato il principale ostacolo all'inclusione nel gruppo E dei terminai marittimi, mettendo da parte il principio che riserva l'esenzione alle sole unità immobiliari strumentali all'erogazione di un ''servizio pubblico''.
Dal 1º gennaio 2014 si considerano di lusso, ai fini dell'inapplicabilità delle agevolazioni previste per l'imposta di registro con riferimento alla prima casa, gli immobili accatastati A1, A8 e A9. Ai fini IVA continuano invece ad applicarsi i criteri attualmente in vigore previsti dal D.M. 2 agosto 1969. Il condivisibile chiarimento è stato fornito dalla circolare dell'Agenzia delle entrate n. 2/E del 2014. Una soluzione diversa avrebbe significato la modifica "tacita" del D.P.R. n. 633/1972; tale modifica normativa (non espressa) non è sostenibile se si considera l'origine comunitaria dell'IVA, dovendo ogni intervento del legislatore essere conforme alle previsioni contenute nelle direttive comunitarie.